Una lettera a Repubblica che mi ha messo un po’ di pace dentro

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È UN destino amaro quello di essere travolti da eventi a cui non si riconosce neppure il merito di entrare nella memoria collettiva e poi, forse, nella Storia. Questo è accaduto agli oltre 4000 militari italiani imbarcati a Rodi l’11 febbraio 1944 e destinati ai campi di concentramento nazisti per aver rifiutato, dopo l’8 settembre del ‘43, di aderire alla Repubblica di Salò. Sommersi dall’Egeo, furono ignorati da chi decise di lasciare in balia delle onde e del silenzio quanti avevano scelto la fedeltà alla Patria. Dopo settant’anni, la pietosa intelligenza di un subacqueo greco, la tenacia di alcuni familiari non rassegnati, l’efficacia comunicativa delle nuove tecnologie, la solidarietà ellenica e qualche altra benevola concomitanza hanno riportato alla luce pezzi di verità. Gli oltre 4000 anonimi resistenti erano stati stipati sul piroscafo Oria, una “carretta del mare” in grado di contenere non più di 800 persone, travolto a poche ore dalla partenza dalla furia del mare a breve distanza dalla costa dell’isola di Patroklos. “Ma nel cuore nessuna croce manca” e la forza del cuore ha vinto. Da qualche giorno, proprio di fronte all’isola di Patroklos, a qualche chilometro da capo Sounion, un monumento ai Caduti dell’Oria guarda la bella spiaggia di Charakas e lo splendido specchio di mare che ancora ospita quel che resta degli oltre 4000 ragazzi italiani partiti da Rodi la sera dell’11 febbraio 1944.

Gabriella Serpico
Nipote di una delle vittime

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