Il discorso di Matteo Renzi al Senato (Director’s cut)

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Se Matteo Renzi mi avesse versato una cifra anche modesta, diciamo non meno di 5.000 euro, avrei volentieri messo un po’ d’ordine alla fuffa torrenziale con la quale, improvvisando, ha arringato oggi il Senato. Non conoscevo il suo programma di governo (ma da come ne ha parlato manco lui), eppure penso che avrei potuto aiutarlo ugualmente a prendere qualche applauso in più da una sala piuttosto apatica, diciamo, per capirci, tipo il teatro Ariston durante l’esibizione dei Perturbazione. Nel caso servisse per il Renzi-bis, ho comunque provveduto a stendere un testo che riassume il dire renziano evitando almeno alcune ripetizioni (Europa/sindaco/rivoluzione) ma ne conserva una certa qual gassosità e la naivitè protopopulista e un po’ molto paracula che a noi commmunisti è sempre piaciuta. Ho anche aggiunto alcune suggestioni personali (due robette di sinistra, due di opportunità istituzionale e di rispetto delle opposizioni) perché metti che lo prenda davvero, lo legga, e non se ne accorga: a quel punto è fatta. Non è un testo satirico, eh? Cinque testoni e glielo spedisco davvero. Buona lettura. 

Di Matteo Renzi

Signore senatrici, signori senatori,

prima di cominciare l’illustrazione del programma di governo, vorrei rivolgere il mio grazie a Enrico Letta e al lavoro che ha tentato di svolgere in questo difficile anno. Il contesto politico ha fatto sì che la sua corsa si fermasse prima del tempo, ma sono qui a ribadirgli la stima mia personale e del suo partito per quanto ha fatto. Vi sembreranno parole democristiane, nel senso deteriore del termine. Sono parole di buonsenso, di rispetto. Ritenevo, ritengo, che ci fosse bisogno di un cambio di passo. Ed è per questo che sono venuto meno alle rassicurazioni che gli avevo dato. Ma l’ho fatto per il Paese. E spero che la storia ci darà ragione. Stiamo prendendo un rischio importante. Tutti. Non sarò così sciocco da personalizzarlo.

Sarò breve. Vado per punti. Avrei potuto improvvisare, andare a braccio, ma il momento è troppo grave per permettersi divagazioni.

Quella che vi propongo è una rivoluzione culturale.

Abbiamo sei mesi per porre i pilastri di una ripartenza, prima di assumere la responsabilità di guidare l’Europa. Dovremo dimostrarci credibili, per recuperare la leadership che ci vide motori del continente. Perché l’Europa è un’occasione. La responsabilità, è un’occasione. Non c’è bisogno della Merkel per dirci che dobbiamo far fronte ai nostri impegni. Lo dobbiamo al futuro dei nostri figli. Un bravo comico, che imita meravigliosamente anche i politici meno bravi, diceva l’altra sera che dobbiamo uscire dalle barzellette. Possiamo farlo soltanto noi, non ci tirerà fuori nessuno. E non meritiamo di starci, nelle barzellette.

Cultura, responsabilità, futuro: sono le parole chiave di questo governo. Dovremo riempirle di contenuti. Ora. Osando, miscelando entità apparentemente lontanissime tra loro.

Per rilanciare la cultura, ad esempio, ho in mente di aprirla ai privati. Non dobbiamo avere paura di chiedere alle aziende ciò che ridaremo in termini di riduzione del cuneo fiscale e di immediata restituzione dei crediti che molte di loro vantano con lo Stato. In questo modo ci renderemo credibili verso la parte produttiva del Paese, ridaremo ossigeno alle aziende, alla produzione, ai consumi, ai cittadini. Sarà un patto. E se quel patto funzionerà, meriteremo di essere una superpotenza del turismo. Quindi economica. Quindi politica.

Ma nemmeno la migliore delle opere d’arte può emergere se intorno non c’è una coscienza di popolo. Una dignità diffusa. Quindi chiedo a voi, senatori e senatrici, di aiutare questo governo in un’opera di contrasto indefesso alla mafia e alla mentalità mafiosa, ai reati e all’omertà che ci ha impedito di raccontarci cosa rischiamo di diventare. Nessun paese può presentarsi in Europa con dignità se non sconfigge il cancro della criminalità organizzata la quale, per inciso, divora punti importanti di Pil. Quindi i nostri denari, oltre al nostro decoro.

Per questo chiederemo all’Europa di derogare al patto di stabilità per far sì che la nostra battaglia contro la mafia, tutte le mafie, sia la battaglia di un’intera nazione. Dobbiamo dare mezzi e tecnologie ai giudici, ai poliziotti. Dobbiamo rispettare le nostre divise perché rappresentano l’unità del Paese.

E’, questo, patrimonio della sinistra come del migliore centrodestra. E sicuramente lo è anche del Movimento Cinque Stelle, cui guardo col rispetto che si deve a chi ha posto in essere riflessioni importantissime sui costi  e sull’onestà della politica. Non vi chiedo di condividere questo governo. Chiedo a voi, non ai vostri leader, di combattere per un’Italia legale. Su questo mi gioco la credibilità. Ce la giochiamo tutti.

Ma la cultura è niente senza la scuola, senza un’istruzione che funziona realmente, che permetta un’opportunità per tutti, anche chi non ha nobili natali alle spalle. Il resto del denaro recuperato dal patto di stabilità, e da una politica di tagli che vi prometto sarà equa, non lineare, attenta al centesimo, verrà investito nella scuola. Sicuramente faremo qualche errore, metteremo le mani dove non dovremmo e lasceremo qualche privilegio per, magari, rimuoverlo poi. Ma l’impegno è a limitarli, e a dare a chi merita. In primis gli insegnanti, che devono tornare a sentirsi parte di una vera operazione culturale. Per farlo, dovranno essere pagati decorosamente. E questo discorso vale per tutti gli Statali. In cambio, chiediamo una mano. Chiediamo anche a voi, di firmarlo, quel patto.

Non è una mera questione generazionale. Io sono giovane, ma essere giovani non è un merito assoluto. Certo è che ai giovani bisogna dare risposte. Bisogna dir loro, ed è questo che faremo con un nuovo patto del lavoro, che non si può regolare il mercato con regole vecchie di quasi cinquant’anni. Non è un problema di articoli da cancellare, ma di tutele da estendere. E lo faremo. E condivideremo un percorso che ridia cittadinanza anche a chi è fuori dal mercato del lavoro. Ho sempre parlato di meritocrazia: deve diventare un valore. Come il rispetto delle regole. Perché se tutti rispetteranno le regole torneremo a essere un grande popolo. Come quando ci rialzammo dalla Seconda Guerra Mondiale. Ecco: la guerra è finita. Ora dobbiamo ricostruire. Insieme.

A proposito di guerra finita, non dobbiamo permettere alle contingenze giudiziarie dei nostri avversari di affossare una riforma della giustizia che non può più essere rinviata. Una riforma che la renda più snella, veloce. Garantista, certo. Laddove però le garanzie si riservano anche a chi il reato lo subisce, e ha il diritto di veder punito chi l’ha commesso. Voglio che il mio sia un governo che si rivolge soprattutto ai più deboli.

Non so quanto questo governo durerà. Se avremo il tempo di una legislatura, che certo avrei preferito bagnata da un voto popolare, o ci limiteremo solo a scrivere le regole. E questo è inevitabile, per tornare a votare con la certezza di avere un governo, e poter dare finalmente le risposte che merita chi si è sempre fidato dello Stato e in cambio ha avuto un presente incerto, di povertà e paura. Dobbiamo poterli guardare in faccia.

Certo è che quelle regole, la legge elettorale, i tempi per abolire il senato e le province, per riorganizzare la macchina dello Stato, saranno frutto di una mediazione. Perché la democrazia è questo. I principi, invece, quelli no. Il principio che una coppia non sposata, anche dello stesso sesso, deve avere diritti civili e garanzie chiare. Il principio che siamo tutti uguali davanti alla legge. Il principio che chi è nato qui è italiano, perché i suoi genitori pagano le tasse qui. E si pagano, le tasse. Significa far parte di una comunità a pieno titolo. Un fisco equo, una lotta senza quartiere all’evasione. Allo stesso tempo. Questo è ciò che vogliamo.

Queste sono linee programmatiche cui daremo gambe concrete in tempi brevi, giorno per giorno. La fortuna di una maggioranza così variegata, forse l’unica, è che le sensibilità personali e le storie diverse garantiscono rappresentanza e possono contribuire al varo di compromessi accettabili. Non fu la stessa Costituzione, un compromesso?

Giudicateci per quello che faremo, non per quello che farà Matteo Renzi. Giorno per giorno. Non trasformeremo l’Italia in una Repubblica socialista ma neanche nello scendiletto dei poteri forti. Quella è una parodia buona per i social network, ma – e lo dico io, pensate – non si cambia un Paese con i like e con i tweet.

Un grande democristiano, Amintore Fanfani, voleva per sé e per il Paese un “progresso senza avventure”. Un grande comunista, Antonio Gramsci, parlava di “pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”.

Qui, ora, vi propongo un’avventura chiamata progresso, con l’ottimismo della ragione.

Viva l’Italia, viva il Parlamento, viva la democrazia.

 

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