La linea della polenta

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Stamattina a Lateral, tra i tanti che faccio, ho commesso un errore: ho confuso Rita Atria, la collaboratrice di giustizia che si uccise dopo la strage di via D’Amelio, con Lea Garofalo, la giovane mamma testimone contro la ‘ndrangheta che fu tratta in inganno dal compagno e sciolta nell’acido.

Ne avevo parlato perché sul manifesto, a pagina 6, c’era un pezzo che raccontava i buchi nella protezione dei testimoni di mafia. Quei buchi in cui si annidano i regolamenti di conti, le vendette, ma anche e soprattutto l’abdicazione dello Stato, l’ennesima, al proprio dovere di credibilità. Dicevo, in radio, che un Paese civile non mette un articolo così a pagina 6 di un quotidiano – benemerito – da ventimila copie. In un Paese civile questa roba sta in prima pagina su tutti i giornali. Come il bimbo ucciso l’altro giorno in Puglia. Come ogni notizia di guerra, perché quella della mafia è una guerra contro di noi.

Poi mi sono destato: è una guerra? No, perché una guerra bisogna combatterla in due.

E mi sono detto – non parlo di chi fa la scorta civile ai Pm siciliani, non parlo di Telejato, non parlo di chi ogni giorno, dal basso, tenta di affermare la legalità – ma quand’è esattamente che il taglio di 100 auto blu, per l’opinione pubblica, è diventato più coinvolgente di un quattrenne che muore crivellato?

Occhio, eh? Non è benaltrismo. Non dico nulla degli spot di Renzi: è la politica moderna, e tra l’altro ha pure chiamato tra i collaboratori quel vero mastino della giustizia che è il giudice Cantone. No, parlo proprio di noi. Quand’è stato esattamente che il sangue di certe parti d’Italia ha cominciato a valere meno? Quando abbiamo ritenuto che fosse giusto farci gli affari nostri, magari senza accorgerci che quegli affari se li facevano sotto casa nostra gli stessi che sparano ai bambini?

Poi, per carità, vale tutto. Il motivo per cui non ho irriso gli 80 euro di Renzi (ma lui, un po’, sì) è che, se mai arrivassero davvero, saranno ossigeno per le fasce più deboli. E lascia stare che li spenderanno in ticket, addizionali, servizi che lo Stato ha smesso di dare. Quel che mi chiedo è invece perché chi governa – e chi fa opposizione, e sa parlare solo di casta, mai di noi e dei nostri difetti, e se va in Sicilia dice che la mafia è meglio dello Stato – sia in sintonia così profonda con gran parte del Paese quando derubrica la mafia a evento che non tira. Al massimo tira a segno.

Non ho la risposta. E ‘ste righe in fondo lasciano il tempo che trovano (nuvoloso, pure dentro, mentre scrivo) ma temo che tutto attenga a una coscienza di popolo perduta, se mai c’è stata, alla sindrome del ping pong che ci porta a girare la testa dall’altra parte, e dall’altra, e dall’altra.

Sciascia parlava della linea delle palme, della sicilianizzazione dell’Italia. Senza sapere che sarebbe arrivata in Germania, e non solo. Ma ora il problema, forse, è la linea della polenta. E’ il “cazzi loro” tutto nordico che anima i Salvini, gli economisti di Paragone, gli antieuro complottisti.

Gente che cerca un colpevole altro da sé. Che non vuole responsabilità.

Per quello Zaia pensa di portare il Veneto via dall’Italia (anzi, vuole l’indipendenza, perché in Austria, quando sfrecci a 200 all’ora, magari vai in galera). Vuole andarsene, e in tanti con lui, perché con una frontiera in mezzo sarebbe ancora più facile non vedere il problema.

Solo che, e lui non lo sa, attaccato a quella frontiera c’è un grosso specchio.

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