Buon campionato a tutti!

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lo lo so che Israele è passato dal genocidio singolo alla simpatica combo gratuita comprendente deportazione e pulizia etnica, che l’Europa scodinzola alle terga di Trump nonostante costui sia con scintillante evidenza un servo sciocco di Putin, che ci sono mille altri argomenti di cui parlare tra cui quelli che si oppongono ai vaccini sul cancro, gli sgomberi fascistoidi per i nemici e la tolleranza per i fascistoidi amici, persino il dissennato proliferare dell’ananas sulla pizza. Oggi però ricomincia il campionato di calcio e a quello, noi cisgender di mezza età passata, dedichiamo il 97 per cento circa delle nostre energie psicofisiche. Ore a fare refresh sui siti di balle spaziali solo per sapere chi ingaggerà chi, appigliandosi persino a quelle tv di solo sport sulle quali un tourbillon di esperti con enormi cravatte si parla addosso stando sempre attenta a non parlare addosso a chi conta. Ieri sera sono finito su quella diretta da un tizio che era culo e camicia con Moggi, ognuno stabilisca i ruoli, quella in cui le giornaliste sono inquadrate come a Colpo Grosso. C’era lui che santificava un capo ultrà lasciato fuori dallo stadio dal Milan, per tre settimane, mica per sempre, perché tra le altre cose, il giorno delle condanne nel processo per le infiltrazioni mafiose nelle curve, guidava la manifestazione di solidarietà, davanti al tribunale, a con quelli che (l’ha detto subito dopo, e l’altro annuiva) sono elementi estranei al calcio. Quindi sono estranei, ma lui era lì a dar loro manforte.

Entrambi, il tizio, l’aedo, dicevano che senza il tifo organizzato il calcio è morto, che lo stadio non è un teatro, che oggi il Milan giocherà nel silenzio… Infatti fino agli anni Settanta seguiva le partite in religioso silenzio, assisa sugli spalti in smoking e parrucca da lord inglese.

Comunque, no; lo stadio non è un teatro. È spessissimo un posto infrequentabile non solo perché 90 minuti di vaffanculo, insulti e minacce, alla fine risultano un filo stucchevoli, ma soprattutto perché ci sono società che da decenni, dopo aver cercato di usare le curve per tenersi il consenso, ne sono finite ricattate. Un po’ come quando la mafia a un certo punto ti ciula il negozio, tipo.

Senza dimenticare la responsabilità dei giornalisti sportivi che, naturalmente, non solo tollerano, ma applaudono gli equilibri attuali e spiegano che loro sono a favore di Milan e Inter, certo, ma che le società devono capire, che le squadra ha bisogno di sostegno, che i Banditi – l’allegro nome del tifoso ospite in studio – devono poter rientrare al loro posto di combattimento. Questo perché il problema non è (non solo) il tifo organizzato, tanto che in giro per l’Europa è pieno di gruppi inclusivi, antifascisti, senza slogan mussoliniani ogni 2×3, ma il fatto che sia un tifo organizzato italiano. E ci rappresenta perfettamente. Un po’ come i cronisti che, vedendosi da fuori, tipo da un Paese civile, forse si vergognerebbero un po’.

Buon campionato.