Con Beppe Grillo per difendere la Costituzione

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https://i0.wp.com/www.unita.tv/wp-content/uploads/2016/09/Grillo-755x400.jpg?resize=720%2C381Caro Beppe,

la devi smettere.

No, dico, la devi proprio smettere di additare nemici ad minchiam a un popolo che non vede l’ora di menare le mani. Poi finisce come a Palermo che i tuoi adepti più facinorosi se la prendono con chi fa il proprio lavoro, all’insegna del “tutti uguali” con cui non a caso cominciasti la tua campagna: l’obiettivo del primo secondo Vday non erano i cattivi politici. Era la stampa (ai tempi) sovvenzionata. Volevi, oggi come allora, fare informazione solo tu. Radere al suolo le differenze tra chi nobilitava la professione e i corrotti. Azzerare, disintermediare, promuovere una voce sola. Quella pura e giusta di chi ha la verità in tasca. Una roba – chiedo scusa per il francesismo – che di solito accade nei regimi fascisti.

La devi smettere perché state per governare. E se certe cazzate autoritarie le fai da un blog o da un palco, è comunque arietta da Ventennio applicata alla politica quotidiana e, per usare un altro francesismo, un atteggiamento squadrista. Ma quando le squadracce vanno al potere (già visto) comincia il pericolo vero. Perché c’è il caso che si vogliano regolare dei conti. E io Erdogan al pesto, potendo, me lo eviterei.

Ma soprattutto sai perché la devi smettere? Perché bisogna difendere la Costituzione. Certo, l’articolo 70. Certo, tutti gli altri che Renzi e i suoi vogliono cambiare (con una concentrazione di poteri che ti gioverebbe, ed è nobile da parte tua volerla evitare) ma anche quel cazzo di Articolo 21. Quello di cui hai fatto strame in questi anni raccontando e ripetendo la celebre panzana acrobatica della libertà di stampa in pericolo perché i giornalisti sono servi, quando la famosa classifica – basta leggerne le motivazioni – ci vede in coda perché troppo spesso i giornalisti bravi sono umiliati, offesi, aggrediti. Anche dai politici. Anche con roba tipo “Il giornalista del giorno”. O addirittura “Il satirico del giorno”. Che quando finisce sul blog, diventa un bersaglio. Ora anche fisico. Tra il giubilo dei colleghi più puri che intravvedono nuove quote di mercato e nuovi spazi per dimostrarsi i più cristallini e i più intangibili.

Quell’articolo 21, quello sulla libertà di espressione, recita una cosa semplice e non negoziabile: ognuno può dire quello che gli pare, e pubblicarlo, senza vincoli. Ma ne sottende un’altra ancora più semplice: ognuno ha il diritto di esprimersi anche quando non è d’accordo con te e con l’altro tizio che è salito sul palco ieri per diritto dinastico. Anche se onestamente (onestà-onestà-onestà) non vede in Di Maio il nuovo Eisenhower, anche se crede che Rocco Casalino dovrebbe tornare al Grande Fratello e la Raggi non ci stia, al netto di certe opacità, semplicemente capendo un cazzo. E questo non fa di lui un corrotto, un venduto, un tizio cui mettere le mani addosso.

Siccome vincerete, perché state raccogliendo il consenso unanime di tanta brava gente ma anche di chi ha respirato berlusconismo per vent’anni (come Renzi, peraltro) e ora non sa vivere senza un nemico, citerò il celebre filosofo statunitense Ben Parker: da grandi poteri nascono grandi responsabilità. Imparate da ora cos’è a democrazia vera, non quel patetico simulacro online che vuole mettere le manette ai deputati e riaprire le case chiuse e, finché siete in tempo, cercate di capire che avrete la libertà di un Paese per le mani. La riceverete in dono. Anche da me.

Quella libertà che è come l’aria: di tutti, pulita, necessaria. Dunque alla mercé di chiunque voglia sporcarla. Ma per fortuna, come si è già visto qualche decennio fa, anche nella disponibilità di chi voglia difenderla. Gli stessi che te l’hanno consegnata. Per rispettarla.

In alto i cuori. Impara. Il tempo stringe. Ciao.

Che cos’è(ra) la libertà di stampa

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Mi capita quotidianamente di sfottere il giornalismo dal volto disumano di Libero e il Giornale.

Ogni tanto titillo il Fatto Quotidiano perché usa gli stessi schemi, con l’importante differenza che le notizie del Fatto sono quasi sempre vere.

Non sono i miei giornali preferiti, come non la è la nuova Unità, di cui faccio la parodia in radio usando come sottofondo “Springtime for Hitler”.

Perché preferirei, ma è un limite mio, che sotto la testata l’Unità ci fosse davvero l’Unità.

Penserete: e chissenefrega.

Esatto.

Perché io sono io, cioè un tizio con un modesto seguito pubblico, che fa satira e non detiene alcun potere.

Ma il Presidente del Consiglio, lui, non può farlo.

Non può perché è appunto un potere.

Dunque non può attaccare un contropotere.

Non può perché usa gli stessi stilemi da dittatura amichevole che, sul fronte opposto, incarna perfettamente Beppe Grillo.

Quelli della presunta etica da imporre agli altri perché non rompano i coglioni a noi.

Perché in Italia siamo tutti legalitari, tolleranti, democratici, ma con le notizie degli altri.

Che invece dovrebbero restare separate dalle pressioni della politica, specie quella che comanda.

E’ il motivo per cui Roberto Saviano può chiedere le dimissioni del Ministro Boschi, che abbia ragione o no, e a nessun politico può e deve saltare in mente di scatenargli contro la contraerea dell’informazione allineata e coperta e del web.

La ragione per cui gli orrendi titoli di Libero o il Giornale possono essere perseguiti solo se violano il codice penale e non se stanno sui coglioni a chi ci governa.

Il dato ultimo per cui non doveva essere Silvio Berlusconi a decidere i titoli dei quotidiani, i direttori di rete, i padroni del vapore, anche se gliel’abbiamo permesso per anni nell’acquiescenza di un popolo che votava Berlusconi come oggi vota Grillo o Renzi.

Perché delega. E ne asseconda gli strali.

Purché i giornalisti non rompano i coglioni a lui. Magari riempiendosi la bocca col servilismo di alcuni cronisti, alibi perfetto per quando i servi siamo noi, e per dare contro a chi il mestiere lo fa davvero. E magari ridurlo in silenzio.

La libertà di stampa o è totale, o non è.

Detto questo, il quiz della Leopolda sul titolo da censurare non è fascista. E’ fisiologico. E’ la cultura di questo Paese che si fa azione.

Forse per stracciarsi le vesti è tardi. Ma non lo è per chiedere a chi si dice nuovo di difendere la libertà d’espressione che ha permesso anche a lui di scalare democraticamente un partito e un Paese.

Di ascoltarsi, quando dice certe cose. Quando fa certe promesse. E di #cambiareverso.

Ps Il concorso per la peggior prima pagina si intitolava “Worst front page”. Ricordate sempre che quando si usano parole inglesi ad minchiam in luogo di quelle italiane, spesso è una robusta catch for the asshole

 

Chiedo ufficialmente l’espulsione di Beppe Grillo dal MoVimento Cinque Stelle

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Per aver violato la prima regola del MoVimento, quella del semplice portavoce, diventando nei fatti la seconda gamba di una diarchia composta da lui e Casaleggio

Per aver violato la seconda regola del MoVimento – “Uno vale uno” – decidendo che una blanda critica al suo comportamento nello streaming con Renzi andava punita con l’espulsione di quattro senatori.

Per aver violato la terza regola del MoVimento – nessuno deve arricchirsi – portando nelle tasche di Casaleggio attraverso il traffico generato dal voto, e nelle proprie, per la pubblicità che il Blog ospita dei suoi spettacoli a pagamento, denari privati.

Per queste tre e molte altre ragioni, tra le quali l’aver perso per strada ormai una ventina tra senatori e deputati, annichilito la democrazia nel MoVimento, aver perso ogni singola occasione di incidere davvero sulla politica, e aver portato sull’orlo del collasso la forza più intrinsecamente onesta e innovativa del parlamento italiano, favorendo di fatto la Casta e i partiti tradizionali…

Chiedo ufficialmente l’espulsione di Beppe Grillo dal MoVimento Cinque Stelle. La votazione è aperta e terminerà domani mattina alle ore 8. I dati verranno resi noti nella trasmissione Lateral, alle ore 8.20, in onda su Radio Capital, che abbiamo occupato per cantarle chiare a Cdb.

Non è un’esercitazione. Ripeto: non è un’esercitazione.

In alto i cuori.

Peppe, la polentina e la prossima fermata

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Ieri ho scritto un pensierino in cui difendevo Beppe Grillo dalle accuse giudiziarie del quale è oggetto, dicendo – era una provocazione – che certamente è in atto un complotto per fermare la (legittima, e questo lo penso davvero) battaglia No Tav e l’unico Movimento politico che (e anche questo lo penso, anzi: è una realtà incontestabile) si sia messo di traverso rispetto a quel progetto pieno di pesanti incognite (eufemismo) che sta investendo la Val di Susa.

Siccome però sono per la legalità come atto politico individuale, quotidiano, ho concluso che se mai capitasse a me, di commettere un reato, farebbero bene a indagarmi, processarmi ed eventualmente condannarmi.

Lo stile capzioso del mio componimento ha provocato commenti di vario genere. Alcuni pentastellati hanno applaudito, senza cogliere il riferimento finale. E in fondo hanno fatto bene: penso che sia un giorno triste quello in cui il leader indiscusso di un grande partito rischia la galera per qualcosa che riguarda, in qualche modo, la sua azione politica.

Altri hanno negato il fatto, rimbalzando la grottesca versione di Grillo, quella della gita per la “polentina” e dei sigilli violati a sua insaputa.

Altri ancora hanno contestato, dicendo – semplifico – che non tutti i reati sono uguali. Che anche durante il fascismo c’era chi finiva in carcere per aver violato brutte leggi con ottime ragioni. E meno male che c’erano. I renitenti, non le leggi.

Ecco, questo mi sembra il punto.

Il bello dei social è che una provocazione spesso porta a una sintesi. C’è, per una parte dei sostenitori di Grillo, la convinzione che commettere reati sia normale in presenza di battaglie che li giustifichino. E’ uno dei caposaldi di Thoreau, che la mia amica Arianna Ciccone ha avuto la gentilezza di ricordarmi.

Si chiama disobbedienza civile: i diritti che prevalgono sulle leggi costituite perché non le riconoscono.

È un concetto perfettamente chiaro a Grillo, che conosceva benissimo motivi e conseguenze del suo atto, come è del tutto evidente, peraltro, da questo filmato. Solo che poi s’è ben guardato dall’assumersene la responsabilità.

È, anche, un fulcro della battaglia No Tav, della Lega e dei vari movimenti antitasse, e, da come si muove, dell’accoppiata Grillo-Casaleggio: esistono cause giuste per cui commettere reati diventa una necessità difensiva, inevitabile.

Quali? Chi lo stabilisce? La battaglia contro un treno vale, per citare un esempio che mi è stato fatto, quella per i diritti civili nella Russia di Putin?

Grillo deciderà di compiere questo salto di qualità anche in altri campi?

Quando?

Avrebbe ragione?

Mentre ne dibattiamo – cortesemente, magari senza preconcetti – sarebbe quantomeno opportuno non prendersi per il culo con la polentina.

In alto i cuori.

Ps  Qualcuno mi ha chiesto se sono favorevole alla Tav. Non sono favorevole. Se interessa sapere il perché, l’ho spiegato qui tempo fa.

Quello che lorsignori non ci dicono per difendere i soliti noti. Clikka qui!

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Ma no, niente. E’ che ogni tanto mi diverto a vedere se ‘sta tecnica del menga di peppe e dei siti come il suo funziona davvero. Se sei arrivato cliccando da Facebook o Twitter, pare proprio di sì. Vabbe’, buone cose. Ci becchiamo in giro. Stay hungry, stay un po’ più attento. Ciao.

* Il cagnetto nulla ha a che fare con alcunché, ma serve solo per appagare la tua voglia di colonna destra