Il mio amico Cristian (di Bologna Fc, bottigliate estive, e varia umanità)

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“Bianchi, ma tu non ti sei vergognato a giocare un anno così davanti ai bambini?”.

La battuta (suggeritagli, dice lui con umiltà) è di Cristian Frabboni. L’ha scritta sul web.

Ed è una grande battuta.

Si riferisce a Rolando Bianchi, centravanti per mancanza di prove del Bologna Fc 1909, che l’altro giorno ha finalmente risposto, mandando platealmente a stendere gli ultrà rossoblu che facevano a botte nel ritiro di Castelrotto – appunto davanti ai bambini – al quesito che ci ponevamo da almeno tre anni: a cosa serve esattamente Rolando Bianchi?

Siccome l’ironia unisce, posso dunque affermare che il brillante Cristian, leader del gruppo Beata Gioventù, cioè proprio quelli che facevano kickboxing a Castelrotto, è un mio amico.

Vantiamo anche un saldo rapporto epistolare. Io ho scritto, su Facebook, che chi spaventa i bambini spaccandosi la testa in mezzo alle mucche Ha.Rotto.I.Coglioni. E lui ha puntualizzato, ha postato link, mi ha mirabilmente perculato. Chapeau.

Io e il mio nuovo amico Cristian abbiamo tante cose in comune: tifiamo Bologna, per dire. Basta. E mi ha già fatto cambiare un pezzo. In queste righe, infatti, doveva esserci una lettera a Marco Di Vaio in cui lo supplicavo di trattare la vicenda di Castelrotto più o meno così: “Oh, raga: noi abbiamo già messo 45 milioni di euro e le famiglie le vogliamo paganti, non che scappano tra i boschi. O la piantate subito, o dopo Paponi vi ridiamo pure Guaraldi”.

Ma Di Vaio, che pure andava in curva pure lui, quella della Lazio (e secondo me a Cristian potrebbe non dispiacere) ha già detto cosa pensa del parapiglia di mercoledì. In modo diretto. Inequivocabile. Irrevocabile. E pure Tacopina.

Così, uniti dal sacro fuoco dell’ironia, colgo l’occasione per ribadire alcuni punti di marginale dissenso sui quali potrei certamente imbastire un pacato percorso dialettico col mio amico.

  • Fare a bottigliate con gli ultrà dello Spezia (!) in mezzo ai pascoli, a fine luglio, attiene più ai rudimenti di primo soccorso per angina pectoris che a un atto di eroismo.
  • Menarsi tra ultras della stessa squadra per questione di gemellaggi, egemonie, e diversi pareri sull’universo mondo, inerisce al campionario del bondage e non a una concezione ardimentosa della vita.
  • Se ti chiami Beata Gioventù e qualche mitomane tipo Bottura fa presente che sembri sempre sul punto di invadere la Polonia, trova il modo di fotterlo: smetti di usare simboli nostalgici del crapone così se la piglia in saccoccia.
  • Ballare sulla tomba di Dalla perché “Caruso” è troppo terrone, augurare eruzioni ai napoletani e voli dal tetto a Pessotto (che giocava con te ed è un bravo cristo), aggredire Gianni Morandi, non ti procurerà un busto al Foro Italico. Al massimo un selfie con Gianni Morandi.
  • I giornalisti sono brutte persone. Se però ventilano che Porcedda è un tizio improbabile, lo applaudi lo stesso, salta fuori che è un bancarottiere, e tu dai la colpa ai cronisti, è persino possibile, ragionando per assurdo, che, per dirla con Kierkegaard, tu l’abbia fatta fuori di alcuni chilometri.

In generale, amico Cristian, farei mia la risposta che Emilio Marrese ti ha dato nel nostro amabile thread: non è perché ho una bambina in adozione a distanza con Save The Children che posso rigare la macchina al primo che mi sta sui maroni.

Quindi tu, che ami gli animali e li curi ogni giorno, il tipo che lavora in pediatria e mi ha scritto “vabbé ma dei bambini picchiati in famiglia non parlate mai”, quell’altro di cui non conosco il mestiere per cui il filmato di Castelrotto era taroccato, continuerete a essere trattati solo come un problema di ordine pubblico (spesso malamente, perché capita che chi lo gestisce sia incapace) finché deciderete di essere principalmente un problema di ordine pubblico.

Perché quando spaventate i bambini e persino i cuor di coniglio come me, avete.rotto.i.coglioni. Sempre con ironia. E grande amicizia.

Una virile stretta di mano. A presto. Ciao.

 

Uscito sul Corriere di Bologna

DALLO STORY TELLING ALLO STORY YELLING: BREVE PIPPONE SUL NUOVO MIRACOLO RENZIANO

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Ieri sera ho avuto un breve scambio su Twitter con Francesca Puglisi, responsabile Pd della scuola.

Francesca è un’amica. E – lo scrissi per Scalfarotto – mai potrei dubitare della sua buonafede e del suo impegno politico.

All’origine di tutto, un post dell’ex deputato piddino Salvatore Vassallo (pure lui figura specchiata, oltreché molto competente) che faceva presente come la curva del consenso renziano fosse salita durante la luna di miele, stia scendendo ora che Renzi prende provvedimenti, tornerà a salire quando quei provvedimenti avranno effetto.

Ho commentato che da un anno e mezzo è proprio quello l’unico obiettivo di Renzi: il consenso.

Francesca mi ha risposto che se avessero cercato il consenso, non avrebbero fatto la riforma sulla scuola.

Ho allora argomentato che quella riforma, poi molto annacquata, è stata scritta contro una categoria invisa ai più – gli insegnanti – e che quindi anche quella legge parla a quelli di cui Renzi desidera il voto. Cioè, specifico, l’italiano medio che vede nello Stato un coacervo informe di privilegiati fannulloni da colpire.

La mia risposta ha avuto qualche commento a favore, purtroppo protogrillino. E nessun retweet. Il commento di Francesca è stato ampiamente ritwittato.

Questo piccolo dato empirico (il suo successo “social” ai miei danni) conferma, o almeno credo, la mia tesi: Renzi vince quando indica nemici. Gufi, rosiconi, la ditta, i giornalisti, i commentatori, i media stranieri. Perché questo compatta un consenso in gran parte livoroso contro categorie polverose e mal tollerate, del tutto sovrapponibile a quello che sosteneva Berlusconi.

O Craxi, che forse gli somiglia pure di più.

Oggi, all’Expo,  Renzi ha ribadito lo schema elencando tutti gli ostacoli sulla via del nuovo miracolo piddino: destra, populisti, sinistra radicale (che non esiste, e se c’è è dispersa in mille rivoli), disfattisti.

Lasciamo stare la citazione dei disfattisti, che attiene a stilemi da Prima Guerra Mondiale (e rende bene il coté culturale del Premier) ma analizziamo lo storytelling, che – per usare vecchi schemi – rappresenta ormai una sorta di arco costituzionale ad personam: è Renzi che legittima gli oppositori. Verdini sì, Civati no. Berlusconi sì, Salvini (forse) no. Grillo sì, ma Grillo anche no.

Tutto questo infilando il maniaco delle felpe tra i “cattivi”, al solo scopo di non dire – ancora oggi – una parola chiara su un Paese largamente razzista che prima sbraitava di voler dividere i profughi dai clandestini, e adesso brucia le case e le cose dei profughi.

Di quello non si parla. Farebbe, appunto, perdere consenso. Il consenso cui Renzi tiene maggiormente.

Riepilogando: il positivo Renzi, l’uomo che si era presentato con la margherite in mano, grondando ottimismo, basa ormai la propria poetica sull’individuazione dei nemici. Nemici personali, non politici, in modo da non coinvolgere coloro che li votano o li hanno votati. Li personifica, dà loro un nome, proprio per non urtare nessuno di quelli che, soprattutto da destra, ne amano il decisionismo e potrebbero votarlo. Tenta di compattare i fan contro qualcuno, sperando di arrivare a fine campionato, tra una promessa e l’altra, con lo scudetto. Sembra il prof Scoglio quando invitava la squadra a unirsi, anche contro di lui. Ma, meglio, contro gli altri.

Come spesso gli accade, ha una tattica per arrivare alla fine della stagione, o alla prossima promessa, ma non una strategia che vada al di là di un applauso in più da coltivare in vitro.

Ha uno storytelling, ma non ha la story. O se ce l’ha è la stessa di Berlusconi. Però lui la urla, in una sorta di story-yelling. Mentre le menti migliori del suo partito, o di quello che fu, si prestano con entusiasmo alla logica del “questo abbiamo, allora tenetevi Salvini”.

Salvini, o Grillo, che facilmente avremo al governo fra tre anni, quando l’elettorato di destra si compatterà contro quel resta dei “comunisti” e farà vincere, grazie alla disastrosa legge elettorale modulata sul Pd al 40 per cento, uno dei populisti che Renzi dice di voler combattere.

A meno che Renzi non riesca, in questo periodo, a dimostrare che anche nel campo del populismo di destra è molto migliore di loro.

Buona fortuna.

Un breve saluto romano

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furio camillo sit itLa vicenda è nota e tristissima: un bimbo muore a Roma nelle viscere della metro, ucciso da un cumulo di imperizie e dalla fatalità.

Alcuni giornali di destra descrivono Marino come il killer del piccolo.

Successivamente, l’ascensore viene impacchettato con parole di circostanza firmate da un lettering inconfondibile. Quel lettering è patrimonio di buona parte del mondo ultrà ma deriva direttamente dall’estrema destra. E’, ad esempio, quello storicamente utilizzato da Forza Nuova.

Faccio notare la cosa, su Twitter. Il vicedirettore de Il Giornale Nicola Porro, quello che voleva mandare i segugi contro la Marcegaglia, quello che voleva abolire il canone Rai ed è finito negli spot per invitare a pagarlo, perché in Rai adesso ci lavora, quello che mi ha querelato perché l’avevo un po’ sfotticchiato in radio, attiva la macchinina del fanghino e mi ritwitta additandomi.

In breve ricevo diversi messaggi di critica – nessun problema: si chiamano social – che vertono tutti sulla mia presunta ossessione, sul fatto che quel font lo usano per esempio anche gli ultrà del Livorno, eccetera. Nell’impossibilità di rispondere a tutti, utilizzo questo breve scritto per un’analisi sintetica e onnicomprensiva che dedico per primo a Porro: ma chi volete prendere per il culo?

No, dico: ma quella scritta l’hanno fatta forse gli ultras del Livorno?

Analogo problema mi era capitato quando feci notare l’utilizzo di quel font nella curva del Bologna. La mia. Ne guadagnai minacce e insulti. Però io sono così: me ne frego (cit.) e se capita, lo faccio notare. Perché quella cultura mi spaventa. E lo rivendico.

A ben guardare, però, il dato interessante è un altro: in Italia l’estrema destra, o il pastiche di paranoia ignorante e paracula nel quale si è da tempo trasformata, ha monopolizzato le curve, le periferie, in città come Roma può vantare una specie di egemonia trasversale in strati vastissimi della popolazione, “firma” in modo incidentale o voluto persino messaggi di solidarietà come quello di cui sopra, ma quando gli ricordi che sono fascisti s’incazzano ancora.

E, con loro, i vicedirettori col culo al caldissimo che, anche se non lo sanno, qualcosa in comune con Forza Nuova ce l’hanno: pure loro mi querelarono, pure loro se la pigliarono in saccoccia.

Ciao Nicolino. Fatti uno spritz alla mia salute. Te lo offro con la mia parte di canone.

Alla tua.

Anzi: a noi*.

*Sia chiaro che “A noi” non è affatto un implicito riferimento a una frase spesso usata durante il Ventennio fascista ma un generico invito a sorbire insieme una bevanda, peraltro spesso utilizzato anche nella curva del Livorno.

 

Hotel Garbatella

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Roma, taxi.

L’auto è una Chevrolet Captiva.

Io non la comprerei mai, una Captiva. Ha un nome del menga ed è troppo aggressiva. Ma così, per il puro gusto della conversazione, comincio a informarmi su come funziona chiacchierando col tassista.

Ne parla bene. Per mostrarmi quanto sia efficiente, me ne magnifica l’impianto stereo. Lo pompa al massimo, proponendomi in sequenza alcuni brani dal suo tablet: “Il mare d’inverno” di Ruggeri, versione Bertè. Poi quella roba di George Michael ed Elton John (“Don’t let the sun eccetera”) e infine “Hotel California” degli Eagles in quella che definisce con un certo orgoglio una versione reggae, scaricata dal web.

Non è reggae. E’ solo live. Acustica.

E l’impianto fa schifo. Gracchia.

Transit.

A un certo punto suona un telefono. Non è il mio. Non è il suo. Chiede se è il mio. No. Poi estrae un iPhone (5, direi) dal cruscotto. Sul display campeggia un numero col +1 davanti. E’ americano. Il taxista non fa una piega. Poi, non richiesto, si giustifica: l’hanno lasciato quelli di prima, che aveva portato a Fiumicino.

Gli dico: se vuol rispondere… magari glielo riporta e gli pagano la corsa. Abbozza qualcosa. Ma non risponde.

Dopo qualche minuto (nel frattempo siamo quasi a Termini: ha comunque allungato la corsa parecchio: spenderò 25 euro per un tragitto che di solito pago 16/17) il telefono torna a squillare. Stavolta prende la chiamata. Dall’altra parte parlano inglese. Lui risponde “Go back in airport. No, no possible. Go back in airport”. Non è in grado di capire cosa gli dicono, né di accordarsi per la riconsegna.

Sta recitando, per me.

Mi offro per tradurre nel mio inglese stentato. Dice che non importa. Che ora va. Che quei due però, uno al terminal 1 e l’altro al terminal 3… che “se hai fretta – testuale – il taxi non lo devi prendere”. E ‘sti due fresconi, eccetera. E me tocca pure de parla’ inglese. E via così.

Arrivati.

L’americano non rivedrà mai più il suo telefono e un signore molto fiero del suo stereo del cazzo, con della musica opinabile, che però si crede normale, che crede normale essere un po’ ladri, perché in fondo noi siamo così, dolcemente complicati, avrà chiuso la giornata derubando un tizio che si era affidato a lui.

Non so a voi ma a me, più che Hotel California, sembriamo un Paese Desperado.

Matrimoni gay: Ivan, magna pure tranquillo

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Conosco Ivan Scalfarotto da anni. Superficialmente, ma abbastanza per stimarne il nitore personale e la passione politica.

A suo tempo gli feci pure endorsement per le primarie Pd.

Però.

Però, quando ho letto che è in sciopero della fame per ottenere il riconoscimento delle unioni civili ho assistito al curioso fenomeno fisico del mio apparato riproduttivo che precipitava verso il centro della Terra.

Questo perché, credo di non sbagliarmi, Ivan Scalfarotto è al Governo. Quindi, invece di – o oltre a, veda lui – rinunciare ad alimentarsi, basterebbe che prendesse la parola durante il Consiglio dei Ministri e dicesse: “Raga, ma ‘sta roba incivile quando la mettiamo a posto?”.

In alternativa – o inoltre, veda lui – potrebbe prendere la parola in parlamento e cercare una maggioranza sui matrimoni (questo devono essere: matrimoni) per dimostrare che in Italia non solo la legge, ma nemmeno le parole, possono essere rivendicate da una sola religione.

Potrebbe tentare di stanare quelli che “uno vale uno” su una modesta proposta di civiltà. Gli regalo anche lo slogan: “Due valgono due”.

Invece (per ora) ha smesso di mangiare.

Coraggiosamente,

Per motivi nobili, incontestabili, condivisibili.

Però quello potrei farlo pure  io, e forse mi farebbe bene. Solo che sono meno coraggioso di Ivan. Ma ho anche meno possibilità di cambiare le cose. Perché a differenza sua non sono al Governo.

Anche se, come lui, nessuno mi ha votato per esserci.

O, perlomeno, nessuno ha votato per mandarmi al Governo con quelli che una legge sui matrimoni gay non la voteranno mai.