Che cos’è(ra) la libertà di stampa

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Mi capita quotidianamente di sfottere il giornalismo dal volto disumano di Libero e il Giornale.

Ogni tanto titillo il Fatto Quotidiano perché usa gli stessi schemi, con l’importante differenza che le notizie del Fatto sono quasi sempre vere.

Non sono i miei giornali preferiti, come non la è la nuova Unità, di cui faccio la parodia in radio usando come sottofondo “Springtime for Hitler”.

Perché preferirei, ma è un limite mio, che sotto la testata l’Unità ci fosse davvero l’Unità.

Penserete: e chissenefrega.

Esatto.

Perché io sono io, cioè un tizio con un modesto seguito pubblico, che fa satira e non detiene alcun potere.

Ma il Presidente del Consiglio, lui, non può farlo.

Non può perché è appunto un potere.

Dunque non può attaccare un contropotere.

Non può perché usa gli stessi stilemi da dittatura amichevole che, sul fronte opposto, incarna perfettamente Beppe Grillo.

Quelli della presunta etica da imporre agli altri perché non rompano i coglioni a noi.

Perché in Italia siamo tutti legalitari, tolleranti, democratici, ma con le notizie degli altri.

Che invece dovrebbero restare separate dalle pressioni della politica, specie quella che comanda.

E’ il motivo per cui Roberto Saviano può chiedere le dimissioni del Ministro Boschi, che abbia ragione o no, e a nessun politico può e deve saltare in mente di scatenargli contro la contraerea dell’informazione allineata e coperta e del web.

La ragione per cui gli orrendi titoli di Libero o il Giornale possono essere perseguiti solo se violano il codice penale e non se stanno sui coglioni a chi ci governa.

Il dato ultimo per cui non doveva essere Silvio Berlusconi a decidere i titoli dei quotidiani, i direttori di rete, i padroni del vapore, anche se gliel’abbiamo permesso per anni nell’acquiescenza di un popolo che votava Berlusconi come oggi vota Grillo o Renzi.

Perché delega. E ne asseconda gli strali.

Purché i giornalisti non rompano i coglioni a lui. Magari riempiendosi la bocca col servilismo di alcuni cronisti, alibi perfetto per quando i servi siamo noi, e per dare contro a chi il mestiere lo fa davvero. E magari ridurlo in silenzio.

La libertà di stampa o è totale, o non è.

Detto questo, il quiz della Leopolda sul titolo da censurare non è fascista. E’ fisiologico. E’ la cultura di questo Paese che si fa azione.

Forse per stracciarsi le vesti è tardi. Ma non lo è per chiedere a chi si dice nuovo di difendere la libertà d’espressione che ha permesso anche a lui di scalare democraticamente un partito e un Paese.

Di ascoltarsi, quando dice certe cose. Quando fa certe promesse. E di #cambiareverso.

Ps Il concorso per la peggior prima pagina si intitolava “Worst front page”. Ricordate sempre che quando si usano parole inglesi ad minchiam in luogo di quelle italiane, spesso è una robusta catch for the asshole

 

Un tutorial che scrissi per Civati a novembre e che mi pare ancora discretamente attuale

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L’autogollonzo da centrocampo di Civati (annunciare una mozione di sfiducia, non presentarla, non votare quella di Peppe per disciplina di partito) è un colpo di piccone non tanto a Civati medesimo, quanto a quell’ampia area di Pd che non crede alle scie chimiche ma s’è frantumata i cabasisi di essere rappresentata da una classe dirigente imbelle e incompetente, nonché per quelli che voteranno Renzi l’8 dicembre ma speravano quantomeno in un pungolo da sinistra a un partito che sta diventando la prosecuzione della Dc con meno mezzi.

Cosa deve fare Civati (ora: prima di essere terzo alle Primarie):

Uscire dal partito, dopo aver chiamato alla lotta la parte della base che lo sostiene – la migliore – e aver radunato un esercito bastante a non renderlo residuale.

Fondare una forza che rappresenti il vero Pd, quello tradito dai 101. Un’operazione più sincera di quella dei Fratelli d’Italia meloniani, ma sostanzialmente sovrapponibile. Un nuovo Pd. O un nuovo Ulivo.

Acquisire un reale potere contrattuale, esterno al Pd, in modo da condizionare la linea politica renziana di qui alle elezioni e quella governativa dopo l’eventuale vittoria. Rendersi necessario.

Garantirsi un posto centrale se si tratterà di governare, in modo da indirizzare con pari dignità l’eventuale governo Renzi.

Scalare con il nuovo Pd quello vecchio, o quantomeno riempire di contenuti (non quelli di Civati, i contenuti di chi lo sostiene e l’ha sostenuto) il vuoto di Renzi medesimo.

E’ semplice, naif, impolitico.

Ma è l’alternativa tra prendere un treno che fa il giro lungo, dopo aver perso quello principale, oppure finirci sotto. Per sempre.

Io comunque alle Primarie non voto. Questo Pd è irriformabile.

Amen.

Quello che non ha scritto oggi Matteo Renzi

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Di Matteo Renzi

Il Partito Democratico è una grande forza politica votata da milioni di italiani che ambisce al governo del Paese rispettando e cercando di rappresentare anche le istanze di chi non l’ha votato e non lo voterà mai.

Per questo una riforma epocale e ormai improcrastinabile come quella della legge elettorale va fatta con la più ampia maggioranza possibile, a beneficio e garanzia del Paese, e di chiunque, in virtù di un sistema di voto chiaro e condiviso, andrà a governare con poteri finalmente pieni.

In questa prospettiva diventa opportuno coinvolgere anche chi ha usato la legge precedente, il cosiddetto Porcellum, come una clava nei confronti di Romano Prodi, creando volutamente le condizioni per azzopparne la vittoria. Non è il momento di guardare indietro. Dunque è doveroso, anche per il rispetto degli elettori che democraticamente hanno votato il Pdl alle ultime politiche, considerare l’interlocuzione con Forza Italia.

Naturalmente, nella prospettiva di una politica finalmente nuova che ha animato la mia candidatura, mi sarebbe impossibile ripetere gli errori che il Pd ha compiuto negli anni, legittimando, come nei governi Monti e Letta, una morale andreottiana in cui la real politik prevale su concetti come la legalità e il bene comune.

Discutere il futuro dell’Italia con un condannato in via definitiva per frode fiscale sarebbe irricevibile per i nostri elettori e, in generale, un pessimo segnale lungo la difficile strada per un Paese normale. Per questo invito il presidente Berlusconi a designare un proprio rappresentante*, dotato di ampia delega, col quale il Pd possa costruire un futuro di governabilità per il Paese.

Sollecito inoltre il Movimento Cinque Stelle, se lo ritenesse opportuno, a velocizzare i tempi delle proprie consultazioni online, cosicché si possa discutere anche con loro, che rappresentano un quarto dei voti, ed evitare il voto col sistema proporzionale puro che ci precipiterebbe direttamente a Weimar.

L’Italia non ha più bisogno di tattiche, serve una strategia. Per cambiare davvero verso.

* Così ti salvavi il culo senza fare la figura del bischero