Del perché ritiro la mia donazione annua ventennale a Greenpeace, cui auguro ugualmente ottime fortune

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Brevemente.

Sabato leggo questo articolo firmato da Greenpeace sul Blog di Grillo e salto sulla sedia: Greenpeace, che finanzio da oltre vent’anni, firma una sorta di editoriale sul megafono di un capo di partito?

Chiedo spiegazioni via Twitter. Non rispondono. Qualcuno mi fa presente che è la ripresa di un comunicato stampa. Allora aggiorno la mia richiesta a Greenpeace: ve l’ha chiesto? L’ha fatto a vostra insaputa? Perché se un capo politico prendesse un mio testo e lo ripubblicasse a mio nome senza chiedermi il consenso, m’incazzerei di brutto. È un endorsement.

Non rispondono.

Dopo altri commenti, e un paio di giorni, ecco che Greenpeace si palesa, rispondendo senza rispondere: “Mandiamo i comunicati a tutti”.

Chiedo ulteriori lumi. Nulla. Allora, per la collezione di sticazzi del web, annuncio che i miei 100 e rotti euro l’anno li darò altrove (ho deciso or ora: a Save the Ch

ildren) e di nuovo mi rispondono che si dispiacciono ma sì, insomma, ecco. Sostanzialmente nulla. Nel frattempo arrivano pure i grillini (una in particolare, che quando erano all’opposizione mi mandava persino messaggi affettuosi in privato) a valutare la mia come una figura di merda. Ad additarmi. In questo sono bravissimi.

Ecco, no: non è una figura di merda. È il pensiero di uno che ha fatto una domanda, ha ricevuto risposte evasive ma che confermavano il suo dubbio di partenza, e preferisce non finanziare chi si affianca a partiti politici (anche ammesso che non se ne renda conto, ma mi prendo il privilegio di non crederci), specie se quei partiti sono al Governo con gente che farebbe dell’Italia un unico grande parcheggio, amici di Trump e Putin.

Si chiama libero arbitrio. E se non vi secca, ce lo vorremmo tenere.

Buon lavoro a Greenpeace, che fa tante cose meritevoli – e che ho sostenuto convintamente – per tanti successi e tanta indipendenza.

 

Siamo Morti Democristiani (versione para amigos)

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I Muppets

Bruno Pesaola, indimenticato allenatore argentino, divideva le sue dichiarazioni in “para prensa” e “para amigos”. Para prensa, il tal giocatore era un buon prospetto. Para amigos, “Una mierda!”. Oggi su Repubblica c’era un mio commento, più serio del solito, sul come e perché siamo morti democristiani. Siccome andava su un giornale vero, l’ho emendato di alcuni botturismi che sono solito usare. Posto sul mio blog la versione para amigos. E per la vostra collezione di chissenefrega. Enjoy.

Spiace per gli amici del Terzo Segreto di Satira, autori di un recente e bel film dal titolo “Si muore tutti democristiani”, ma erano stati ottimisti: siamo già morti democristiani. Il decesso di stampo doroteo risale al 30 giugno 2018 (data mediatica, primo luglio). È stato il giorno in cui le espressioni “a titolo personale” e “non era nel contratto” hanno definitivamente superato la diga – bassina – della decenza e sono entrate con la fanfara nel Pantheon espressivo del Governo dei Giusti che, com’è noto, è sormontato da un’iscrizione dorata, lampeggiante e in carattere Impact: “Sì, ma il Pd invece?”.

Un tempo fino a Mani Pulite, vigeva la cosiddetta maggioranza silenziosa. Votava Dc e e se ne vergognava. Arrivò Berlusconi. Li disprezzava, li vedeva come bambini di seconda media degli ultimi banchi. Ma disse loro: non abbiate paura, parlate. Silvio si legò a Bossi, che chiedeva la stessa cosa – consensi – con un simpatico sottofondo di peti e rutti. Li invitavano, nel nome dell’antipolitica, a votare contro chi avevano sostenuto per anni, di cui erano stati complici consapevoli. Una valida alternativa a un esame di coscienza – del resto non lo facemmo manco nel ’45 – che Grillo e Salvini hanno sublimato e perfezionato. Beppe, alla maggioranza silenziosa, ha chiesto di mandare tutti affanculo. Il toyboy dei razzisti si è contentato di mandare affanculo i migranti. Applausi. Tripudio. Un altro mojito, grazie.

Ma c’è un “ma” che manco Andreotti, ai bei tempi, avrebbe saputo gestire meglio. La Dc non era un partito: era uno Stato. Che andava da Dossetti a Salvo Lima. Parlava a ognuno con la voce che avrebbe preferito sentire: valori cristiani, la promessa di un impiego alle Poste, un timer di seconda mano… Il linguaggio ampolloso, le convergenze parallele, la non sfiducia, erano solo fumo negli occhi di chi spesso non aspettava altro.

I nuovi elettori sono più esigenti. Devono potersi credere antagonisti per bastonare questo o quell’altro sui social. Ergo vanno dotati di sistemi efficaci da spendersi in un post o in una risposta tranchant. Sei o ti credi di sinistra? “Non siamo razzisti: Fico ha chiesto di aprire i porti”.  Ma allora siete comunisti? “No, Di Maio ha spiegato che Fico parlava a titolo personale”. Nel tempo libero indossi cappucci bianchi? “Visto, Salvini vuole schedare i Rom! A casa! Calci in culo!”. Sei grillino e il cappuccio ti casca male sugli occhi? “Non accadrà, non era nel contratto”.

Tutto e il contrario di tutto, come la vecchia Dc. Ma credendosi comunque fuori dal coro, in direzione ostinata e contraria. Come quei giornali che hanno costruito le loro fortune raccontando magistralmente gli inciuci della seconda repubblica e oggi, di Conte, scrivono “Meglio di niente”.

Finalmente, pure loro, democristiani.