Diario social: la citazione di Flaiano

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Ieri sera sono andato a mangiare la pizza con mio fratello (e chissenefrega).

Tornato a casa, ho acceso la tv. C’era Daria Bignardi che congedava Alessandro Di Battista del M5S (e chissenefrega).

Poi è entrato Corrado Augias, che ha tra le altre cose fortemente criticato Di Battista (un po’ me ne frega, ma del fatto che lo racconti io, quello, e chissenefrega).

A un certo punto Augias ha parlato di una “indimenticabile citazione di Flaiano, che divideva gli italiani in ‘brillanti promesse’, ‘soliti stronzi e ‘venerati maestri'”. Solo che la citazione è di Alberto Arbasino (e chissenefrega).

L’ho scritto su Twitter e Fb, omettendo il latore dell’errore, perché fa molto inside joke tra noi pirlotti dei social (e chissenefrega).

Ne è seguita una discreta dose d’insulti: venduto, servo, cosa non si fa per la pagnotta, c’hai messo un’ora per cercarlo su Google, la prossima volta controlla prima di fare una figura di merda (e chissenefrega).

Io mica capivo perché tanta gente si scaldasse per Augias, che peraltro adoro. Comunque la citazione, tempo fa, l’avevo sbagliata pure io, attribuendola a Edmondo Berselli, ma per fortuna, quando ne trattai su La Lettura del Corriere, me lo corressero loro (e chissenefrega).

Poi qualcuno ha messo il soggetto nelle contestazioni, e ho scoperto che, appunto un’ora prima, Di Battista aveva correttamente pronunciato la più opinabile tra le infinite citazioni di Flaiano, quella sui fascisti italiani che sarebbero di due tipi, fascisti e antifascisti (e chissenefrega).

Quindi, sommessamente, volevo dire che, se tanto mi dà tanto, c’è anche caso che altre granitiche convinzioni maturate dai Cinque Stelle, o da chiunque altro, attraverso i social, non siano poi così precise (e chissenefrega).

 

Morandi e i social: nonno insuperabile

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L’altro giorno mi scrive un lettore: non stai svolgendo il compito. E io: ma il compito non era quello di scrivere stupidaggini secondo il mio estro? E lui: no, il compito sarebbe di dare qualche indicazione sugli da album da stimare o disistimare, su come impiegare il tempo libero del nostro unico padrone: il lettore. Caspiterina. Nel mio autismo da rain man della lasagna pensavo che la rubrica fosse un apostrofo verde tra le parole “scrivi un po’ quel che ti pare”. Invece si presume un servizio pubblico. Ok, ottempero. E non mi limiterò a consigliare un album (quello dopo) ma ti darò, amico lettore, amica lettrice, un indirizzo sincero dove saziare la tua voglia di buono, di un gioco e del cioccolato. Come l’ovetto Kinder.

Quell’indirizzo è la pagina Facebook di Gianni Morandi: una specie di installazione contemporanea che ha scoperto i social e ne fa un uso narrativo mirabile. E’ la prima visita che faccio al mattino, mi mette di buonumore. E non solo il solo: siamo oltre 600.000. Un giorno lo trovi che brucia il vecchione a Capodanno (no, quella battuta non la faccio: Gianni è giovane sempre), un altro che accoglie la postina e le firma un avviso di Equitalia, un altro consiglia il bel film di Pif, un altro ancora imbraccia la chitarra e produce clippini canori che Vasco manco si sogna. La meraviglia Morandi è che mentre visita i terremotati, fa la corsetta sull’argine, si immortala e si posta mentre va a parlare coi professori del figlio (“Speriamo bene”) diventa il poeta irriducibile di una normalità estinta, ma pervicace. Mi capitò di condividere un desco con lui: mentre raccontava amabilmente il lungo purgatorio degli anni ’70, e come ne era uscito, gli leggevi intorno quell’aura iperreale che ancora affascina comitive di ogni età. Senza neanche dover comiziare alla Celentano, che infatti quando ha bisogno di tornare coi silenzi per terra lo usa, a ragione, come ancora di salvezza.

Dice: e l’album? Eccolo, ma dovete fare un po’ di fatica. Ce l’ha Amazon, ce l’ha Ibs, forse qualche negozietto lo nasconde ancora. E di Morandi contiene un solo brano: Il Mondo Nei Tuoi Occhi. E’ una cover di There’s Always Something There To Remind Me, di Lou Johnson, scritta da Bacharach e Hal David, e fa parte di un album, Mo’Plen Bacharach, che anni orsono eternò la breve stagione dell’itanglish applicato alle melodie da aeroporto del celeberrimo e pettinatissimo compositore americano. Un gioiellino. La versione di I’ll Never Fall In Love Again (Io Non M’Innamoro Più) di Johnny Dorelli e Catherine Spaak è da deliquio per la gioia o da codice penale, a seconda dei gusti. Un Ragazzo Che Ti Ama (This Guy’s In Love With You) di Tony Renis è bella forte, così come reggono il confronto I Primi Minuti (I Say A Little Prayer) di Marita (chi?) e Quelli Che Hanno Un Cuore (Anyone Who Had A Heart) di Petula Clark.

Ma il punto è un altro ancora: anni fa Paul Anka rinverdì la carriera con Rock Swings!, un album che coverizzava i Nirvana, i Van Halen, gli Spandau Ballet. Me-ra-vi-glio-sa-mente. E quindi – non che Morandi abbia da rinverdire alcunché – colgo l’occasione per suggerire sommessamente analoga operazione al ragazzone di Monghidoro che mi allieta su Facebook. Prendere il rock e stringerlo tra le sue manone. Verrebbe un capolavoro. Ci spero. Anche se temo che nel prossimo post, perso per una volta l’aplomb, Gianni mi risponderà come merito, e cioè come Iva Zanicchi illo tempore nei confronti di Paul Anka medesimo: “Paul Anka Andér a caghér”.

Mi scuso per il vernacolo.

Uscito su Sette