Risposte non richieste: «Quali saranno le prossime mosse del governo per tutelare i risparmiatori italiani?»

Standard

(ANSA – BENEMERITA) Un risparmiatore di Banca Etruria tenta di intimidire il Bancomat indossando una divisa da Carabiniere

«Quali saranno le prossime mosse del governo per tutelare i risparmiatori italiani?»

Per proteggere i risparmiatori dalle speculazioni il Governo ha deciso di adottare il modello tedesco: le banche saranno affidabili, trasparenti e stabili, ma in Germania. Per gli arbitrati che dovrebbero risarcire i truffati, inizialmente si era pensato a Luciano Moggi. Purtroppo Moggi è molto impegnato con la scuola per guardalinee che ha aperto a Ovindoli, dal celebre slogan: “Rigore è quando arbitro riceve bonifico”. Si è così optato per Raffaele Cantone, che al momento in cui scriviamo è ex commisario di Expo, presidente dell’autorità antimafia, membro della task force governativa contro la criminalità organizzata, Gran Mogol delle Giovani Marmotte, miss Muretto 2015 e quinto dei Pooh. A causa degli impegni di Cantone, la prima udienza per l’arbitrato di Banca Etruria è prevista il 26 ottobre del 2043. Nel frattempo saranno comunque riviste in senso migliorativo per l’acquirente alcune importanti garanzie bancarie: 1) La lettura del foglio informativo sull’investimento sarà permessa per 8 secondi in più rispetto ad ora, cioè per 8 secondi; 2) Le informazioni allo sportello, oltre che in cinese, saranno comunicate in estone antico; 3) L’odiosa abitudine di trattenere l’investitore nella bussola d’ingresso finché non firma sarà sostituita da alcuni consigli amichevoli irrogati da uno o più buttafuori della discoteca Hollywood di Milano. 4) Il presidente della Consob, Vegas, cambierà nome in Montegrotto Terme. “Grazie a queste semplici misure – ha assicurato Renzi – presto le banche truffaldine saranno alle spalle. Dunque è meglio se camminate rasente ai muri”.

Leggendo questo articolo hai automaticamente sottoscritto 1780 euro di obbligazioni subordinate della Canistracci oil che mentre hai finito di leggere questa postilla valgono già 2 euro e 70 in tutto. Buon anno.

Uscito su Oggi

Di malleoli incrinati, farmaci salvavita, medici scortesi. Un’epopea fantozziana a lieto fine

Standard

Mi accade questo.

Mia madre viene a trovarmi a Milano e dimentica a casa tutti i farmaci, compresi gli anticoagulanti che la tengono in vita.

Potrei intasare il pronto soccorso e andare lì, ma non ci sono emergenze in corso. Dunque chiamo la Guardia Medica per capire come recuperare le pillole in questione.

Attendo 28 (ventotto) minuti al telefono.

Quando riesco a parlare, chiedo al mio interlocutore perché ho atteso così tanto. Dice che me lo spiegherà a fine chiamata.

Mi identifica e mi chiede di esporre il caso. Non ho ancora finito di raccontare che mi sta già comunicando i due ambulatori nei quali devo andare con la ricetta per farmi fare, se ho capito bene, un’altra ricetta.

Gli dico che la ricetta non ce l’ho, altrimenti non avrei chiamato lui. Mi tratta come un coglione e mi dice di andare comunque e sperare nel buon cuore di qualche collega.

Sta già riagganciando quando gli rifaccio la domanda di prima. Risponde alterato che devo rispettare chi lavora e, mentre sto ancora parlando (non alterato, io) mi butta giù il telefono.

Fine.

Ora, partiamo da un dato: quel medico immagino fosse sotto pressione per un lavoro non facile. Probabilmente non è pagato per quel che vale. Sconta i tagli alla sanità. Si ritrova spesso ad avere a che fare con gente quantomeno scortese se non in malafede.

Ma che cazzo c’entro io?

Perché certo, in un mondo migliore mia madre sarebbe partita con tutti i farmaci (o la documentazione) che serviva, e io mi sarei ricordato di ricordarglielo. Ma siccome esistono le eccezioni, perché non ha perso un secondo per indicarmi come risolvere il problema?

Considerare il paziente come un avversario è un problema diffuso. Da cui non era affetto uno dei medici, gentile e disponibile, che ho trovato in ambulatorio (non dico quale, perché magari passa dei guai) il quale alla vista delle copie delle ricette via mail e delle foto dei farmaci ha comunque effettuato la prescrizione.

Quando sono tornato a casa – con una caviglia sfasciata durante i giri per farmacie, ma ci torno tra poco – ho trovato i commenti al post su Facebook in cui avevo raccontato la cosa.

Ora: ho sbagliato io. Non si raccontano certe cose sui social, anche se in privato ho ricevuto molti messaggi di amici che si offrivano di risolvere la situazione. Però non dovevo scriverne. Solo che la frustrazione era così tanta che volevo condividerla. La frustrazione per il comportamento di un singolo medico. Un. Singolo. Medico.

Invece…

Invece molti commenti erano di altri medici, ed erano aggressivi come il tizio al telefono. A fronte di qualcuno che solidarizzava (parlo della categoria in camice) la maggioranza mi attaccava: “La guardia medica non è un centralino”, “Loro hanno ragione e tu hai torto”, “Hai voluto fare il Vip”, “Come Berlusconi”, “Come mai sei rimasto senza ricetta, mia madre invece…”, “Generalizzi”, “Questa botta alla Mi Manda Raitre te la potevi evitare”, “Invece di cercare ‘sti farmaci fai un pippone su Facebook?”, “Sei degno di Barbara D’Urso” e altri ancora più sprezzanti… tutti o quasi con lo stesso identico numero di like provenienti – ma magari immagino male – da una precisa branca professionale.

Ora, con la massima serenità, una caviglia gonfia, mia madre sotto controllo mi sento di dire ai signori medici che si sono adontati: sbagliate voi.

Ma lo dico senza protervia.

Sbagliate voi perché in un caso singolo leggete l’attacco a una categoria. Sbagliate voi come se io difendessi, chessò, Sallusti, perché ha la mia stessa tessera in tasca. O i Marò perché portano sul braccio la mia stessa bandiera. O un giocatore della mia squadra del cuore che si vende le partite.

Perché il punto temo non sia se io, come cittadino, avessi seguito o no la procedura corretta per ricevere il servizio a cui mia madre aveva diritto – pare di no, ma, ripeto, avevo fatto di tutto per non creare guai alle emergenze, ed evitare il pronto soccorso: ero in un’altra città e il suo medico di base non ha mai brillato per reperibilità, diciamo – ma se qualcuno si sia dato da fare per aiutare una persona in pericolo senza badare al proprio orticello.

Un altro esempio? Torniamo alla serata di cui sopra.

Alle 23.40, dopo un giro di telefonate, trovo finalmente la farmacia che aveva le pillole in questione. E mi sento rispondere: “Chiudiamo tra 10 minuti”. Alla mia osservazione che quindi chiudono alle 23.50, ribattono che chiudono a mezzanotte ma abbassano le serrande prima. Testuale. Al che mi scapicollo fuori di casa per arrivare in tempo, ma nel farlo piombo al suolo e mi incrino un malleolo, col risultato di rinviare al giorno successivo la terapia di mia madre.

Con questo ho forse detto che tutti i farmacisti sono teste di cazzo? Ovvio che no. Così come non lo sono tutti i medici di pronto soccorso. Al pronto soccorso del Rizzoli di Bologna, ore dopo, ce n’era uno vestito come a una serata del Cocoricò, camicia a quadrettini collo alto, senza camice. Ma ho anche un trovato un gentilissimo radiologo che usava i congiuntivi come un arabesco, un dottorino del triage desolato perché non riusciva a trovare una barella, un medico più esperto che mi ha salvato da un gesso di 30 giorni prescrivendomi un tutore.

Quindi, ripeto, ho sbagliato io. Che mi sono lasciato prendere dai nervi e ho raccontato sui social le mie disavventure con la Guardia Medica di Milano. Però la regola è una: bisognerebbe sempre tentare, se un minimo si ama non dico il prossimo, ma il proprio lavoro, di essere gentili. Se si ha in mano la vita delle persone, inoltre, bisognerebbe essere gentili anche con chi non ha rispettato tutte le procedure. Perché ne va della sua salute.

Altrimenti si fa il giornalista, l’autore, o un altro lavoro qualunque che non salva la vita a nessuno. Ma al massimo crea un po’ di dibattito su Internet.

Siate gentili, dunque. Fatelo anche per me che non lo sono quasi mai.

Ah, mia madre tornando a Bologna è pure volata dalle scale mobili della stazione. Ma sta bene. E abbiamo passato un pomeriggio in ospedale quasi piacevole.

Magari richiamo la Guardia Medica per ringraziare.

Il caso Diawara: di curve, insulti e prevalenza dei cretini

Standard

Ha fatto bene. No, mi correggo: ha fatto benissimo. Amadou Diawara non poteva festeggiare meglio il gol che al 92’ ha permesso al Bologna di espugnare Marassi. Disponendone, gli avrei fornito un cartello lampeggiante con la scritta “gugu fatelo a vostra sorella”. Ma mi accontento che abbia imitato le movenze di un gorilla. Perché ci voleva un ragazzino a dirci che certe convenzioni si possono abbattere. Che quella roba lì è razzista, sbagliata. E sì, certo, poi è stato espulso. E tutti i cronisti hanno subito commentato dicendo che non si fa, che deve rendersi conto, che non è questo il modo. E il portiere avversario Perin ha detto che Diawara ora imparerà come vanno le cose negli stadi. Cioè che una massa indistinta può dare del negro a qualcuno, ma che il centro di cotanta attenzione manco può sfogarsi se per caso gli capita qualcosa di bello. E per assolverlo hanno persino detto che si era confuso col rossoblu della curva del Genoa e dunque ha esultato sotto la curva sbagliata. Perché si sa come sono quelle teste calde che vengono dall’equatore o giù di lì, mica hanno il senso dell’orientamento. Ha fatto bene, Diawara. Perché ‘sta roba che ci fa ridere e disperare è un gioco. Esultare non è reato. E in un mondo normale lo stadio non è un luogo nel quale i diritti civili vengono sospesi, nel quale gente che in strada da Diawara fuggirebbe a gambe levate, può permettersi di sputare su qualcuno per la pelle che porta. Ha fatto bene, Diawara. Lo rifaccia, la prego. Magari dopo un gol suo. E forza Bologna.

Uscito sul Corriere di Bologna

Che cos’è(ra) la libertà di stampa

Standard

Mi capita quotidianamente di sfottere il giornalismo dal volto disumano di Libero e il Giornale.

Ogni tanto titillo il Fatto Quotidiano perché usa gli stessi schemi, con l’importante differenza che le notizie del Fatto sono quasi sempre vere.

Non sono i miei giornali preferiti, come non la è la nuova Unità, di cui faccio la parodia in radio usando come sottofondo “Springtime for Hitler”.

Perché preferirei, ma è un limite mio, che sotto la testata l’Unità ci fosse davvero l’Unità.

Penserete: e chissenefrega.

Esatto.

Perché io sono io, cioè un tizio con un modesto seguito pubblico, che fa satira e non detiene alcun potere.

Ma il Presidente del Consiglio, lui, non può farlo.

Non può perché è appunto un potere.

Dunque non può attaccare un contropotere.

Non può perché usa gli stessi stilemi da dittatura amichevole che, sul fronte opposto, incarna perfettamente Beppe Grillo.

Quelli della presunta etica da imporre agli altri perché non rompano i coglioni a noi.

Perché in Italia siamo tutti legalitari, tolleranti, democratici, ma con le notizie degli altri.

Che invece dovrebbero restare separate dalle pressioni della politica, specie quella che comanda.

E’ il motivo per cui Roberto Saviano può chiedere le dimissioni del Ministro Boschi, che abbia ragione o no, e a nessun politico può e deve saltare in mente di scatenargli contro la contraerea dell’informazione allineata e coperta e del web.

La ragione per cui gli orrendi titoli di Libero o il Giornale possono essere perseguiti solo se violano il codice penale e non se stanno sui coglioni a chi ci governa.

Il dato ultimo per cui non doveva essere Silvio Berlusconi a decidere i titoli dei quotidiani, i direttori di rete, i padroni del vapore, anche se gliel’abbiamo permesso per anni nell’acquiescenza di un popolo che votava Berlusconi come oggi vota Grillo o Renzi.

Perché delega. E ne asseconda gli strali.

Purché i giornalisti non rompano i coglioni a lui. Magari riempiendosi la bocca col servilismo di alcuni cronisti, alibi perfetto per quando i servi siamo noi, e per dare contro a chi il mestiere lo fa davvero. E magari ridurlo in silenzio.

La libertà di stampa o è totale, o non è.

Detto questo, il quiz della Leopolda sul titolo da censurare non è fascista. E’ fisiologico. E’ la cultura di questo Paese che si fa azione.

Forse per stracciarsi le vesti è tardi. Ma non lo è per chiedere a chi si dice nuovo di difendere la libertà d’espressione che ha permesso anche a lui di scalare democraticamente un partito e un Paese.

Di ascoltarsi, quando dice certe cose. Quando fa certe promesse. E di #cambiareverso.

Ps Il concorso per la peggior prima pagina si intitolava “Worst front page”. Ricordate sempre che quando si usano parole inglesi ad minchiam in luogo di quelle italiane, spesso è una robusta catch for the asshole

 

M5S a Bologna: i risultati ufficiali delle Buganarie

Standard

L’ho fatto.

Ho indetto le Buganarie.

Perché spero in cuor mio che Massimo Bugani diventi il primo sindaco pentastellato di Bologna.

Con due ottime ragioni. Almeno.

Intanto perché altri cinque anni di Merola equivarrebbero alla morte civile della satira. Bugani invece, con i suoi video buffi, le interrogazioni in retromarcia, le gag scippate alla Lega sugli immigrati, le lettere di raccomandazione per i videomaker amici suoi, la cancellazione sistematica di chiunque lo critichi anche velatamente sui social, sarebbe grasso che cola. Il suo. Che da quando fa il ragazzo immagine di Peppe è diventato un figurino. A differenza mia. Che ormai peso come il Nettuno. Ma sono meno mobile.

Poi perché io amo Grillo e tutti i suoi adepti. Come gesto punk, potrei persino votarli*. E dunque mi sembrava spiacevole che dopo secoli di “Uno vale uno”, di importanza della rete, di democrazia diretta, di flamenco sugli zebedei a suon di consultazioni anche sul colore del cavallo bianco di Napoleone, ci ritrovassimo a palazzo d’Accursio uno che arriva al soglio perché per Di Maio è “il candidato naturale”.

Roba che neanche Cirino Pomicino. Con tutto che Cirino Pomicino, rispetto a Di Maio, era Cavour.

Per la precisione, ho indetto le Buganarie su Twitter. In 24 ore hanno votato in 96. Ciòè 58 in più di quelli che indicarono Bugani per il consiglio comunale. E per essere sicuro che nulla andasse storto, mi sono fatto dare le opzioni direttamente da Casaleggio.

I risultati:

Massimo Bugani 13%

Bugani Massimo 6%

Il cocco di Di Maio 31%

Il fan di Nik il Nero 50%.

L’esito mi sembra definitivo e invito i pochi pidioti che non volessero prenderne atto, peraltro travestiti da iscritti al M5S, cioè quelli che infestano il web con l’hashtag #buganirispondi, a smetterla di frapporsi tra Massimo e il posto che gli spetta.

Analogo suggerimento mi tocca rivolgere a chi ha votato al sondaggio su Facebook. In quel caso, purtroppo, non mi è stato possibile inserire le quattro opzioni obbligate di cui sopra. E dunque ognuno s’è espresso liberamente sul possibile sindaco grillino.

Hanno ottenuto voti:

Beppe Maniglia, Franco Sport, Luca Bottura, Massimo Bottura, ‘stoc(censura), Ciccio di Nonna Papera, Melania del Pratello, il mio compagno delle superiori Saverio Germinara, Gianni Morandi, Joe Tacopina, Luca Carboni, Danilo Masotti**, gli umarells di Danilo Masotti, Cesare Cremonini, Vito, Roberto Donadoni, Virginio Merola, padre Gabriele Digani, Giuseppe Giacobazzi, Gianfranco Civolani, Angelo Rizzi (“Sono messo male”), il gommista di Andrea Aloi, Donald Trump, Altero, Maximiliano Ulivieri**, l’ispettore Coliandro.

La dispersione del voto è il chiaro segnale che, come dice Massimo, il Pd trema al solo immaginare una figura retta, capace e competente alla guida del Comune. Ma trema anche se ci andasse Bugani.

Dunque anche questa è fatta, il sindaco del MoVimento è stato sdoganato dalla rete, in alto i cuori. Adesso torniamo a occuparci dei fittoni sotto le Due Torri. Evviva.

*scherzo

**Scusate Max e Danilo, sul cartaceo vi avevo perso

 

Uscito sul Corriere di Bologna