Morire di satira. Che fare?

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CHARLIEHEBDO-LogoChe fare?

Che fare ora, dopo aver asciugato le lacrime per i camarades di Charlie Hebdo?

Che fare dopo aver pensato a quella volta con Wolinski, a Cuore, a cospetto del mito?

Che fare dopo aver realizzato che il dolore più insensato ti sembra che un senso quasi ce l’abbia, una giustificazione inconscia che passa per la rimozione, fin quando non tocca te, la tua vita, qualcosa che ti compete, che ami?

Oggi mi sono tenuto una frase che volevo scrivere: “Avete seppellito noi, noi seppelliremo voi. Con una risata”.

Era una risposta, alla domanda su cosa fare.

Ma era sbagliata.

Era la logica del noi e voi.

Esattamente ciò che sperano di introdurre quelli che qualcuno ha efficacemente definito “fascisti teocratici”.

Io, che fare, in fondo non lo so.

So cosa vorrei fare.

E so cosa mi piacerebbe facesse chiunque frequenti a qualunque titolo la satira, il pensiero diverso, il dubbio intinto nello sghignazzo.

Continuare.

Se possibile meglio di così.

Con più coraggio, e più equilibrio.

L’equilibrio che serve a evitare l’atteggiamento ritorsivo, la guerricciola battutara di religione, l’intolleranza di ritorno applicata al lavoro che ci è dato di fare.

Ma anche il coraggio di evitare l’autocensura che su certi temi si era scavata un posticino al caldo in ognuno di noi.

Perché un conto sono i monoteismi da operetta che un autore di qualunque cabotaggio affronta ogni giorno, quelli politici, sportivi, musicali, un conto è il quieto vivere nei confronti di un corpaccione insondabile di cui non si conoscevano le reazioni.

Ora le conosciamo, le reazioni.

E per onorare chi ha pagato la propria onestà intellettuale con la vita, abbiamo un piccolo imperativo categorico: tentare di essere all’altezza di chi è morto per la libertà.

Per l’uguaglianza.

Per la fraternità.

Potrebbe persino essere terapeutico per le nostre ferite.

Forse.

Perché quello siamo noi: l’esercito del forse.

Se non ora, dopo

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monclerStamattina a Lateral ho fatto una battuta sul caso Moncler, su come l’ha trattato il Giornale, e sulle oche. Ho detto che non si capisce perché Sallusti attacchi Report (e dunque non difenda le oche) visto che la Minetti potrebbe aversene a male. O qualcosa del genere. Abbastanza scontata.

Non è successo niente.

Più tardi ho riciclato la battuta, ma tornare sulla Minetti mi sembrava banale. Ho pensato a quale donna politica mi comunicava maggiore incompetenza in questo periodo (incompetenza, avessi dovuto parlare di trasformismo avrei optato per la forzista-bersaniana-cuperliana-civatiana-renziana Alessandra Moretti, che mo’ vuole pure la Regione Veneto) ed ero indeciso tra Marianna Madia e Maria Elena Boschi.

C’erano foto grandi solo della Boschi, ho scelto la Boschi e ci ho fatto una vignetta.

Alcuni hanno apprezzato la battuta e l’hanno condivisa.

Altre hanno squadernato l’accusa di sessismo. A una delle critiche – tutte legittime, ci mancherebbe – ho risposto che le consideravo valide solo se analoga indignazione era stata spesa, al tempo, appunto per la Minetti. Ma forse si trattava di un paragone infelice. In realtà, a mio modesto parere, il punto è proprio un altro:

essere belli non significa essere scemi (altrimenti io, che sono un cesso, avrei un Q.I. spaziale) però non esime neanche dalle battute sulla propria eventuale insussistenza politica.

Secondo me, e così continuerò a comportarmi nel mio piccolissimo, si può dubitare delle capacità boschiane anche se è donna, si può scrivere che Balotelli è un pirla anche se è nero, si può scherzare su Formigoni anche se è daltonico.

Non che freghi qualcosa a qualcuno, però ci tenevo a comunicarlo.

Vivamarxvivaleninvivalasatiramasolosuglialtri.

Una cartolina per Laura Boldrini

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Gentile dottoressa Boldrini,

la presente per significarle che, tacciando di sessismo l’arcinoto sketch di Virginia Raffaele a Ballarò, lei ha platealmente esorbitato dai doveri che la carica le assegna.

Segnatamente:

In quanto editore della Rai (che è espressione del parlamento) ha messo in atto, per tramite della medesima, un atto intimidatorio nei confronti della rete e della testata che la ospitava.

Approfittando della sua carica, ha né più e né meno utilizzato gli stessi temi, lo stesso linguaggio e le stesse pressioni indebite, che Silvio Berlusconi mise in atto durante l’editto di Sofia.

Ha ammantato con una presunta rivendicazione femminista (come se la Raffaele fosse un pupazzo di uomini complottisti) un banale tentativo di interferenza politica, che non era stato richiesto per analoga imitazione svolta appena una settimana prima ai danni di Francesca Pascale.

Infine, ed è questa forse l’accusa più intollerabile, per una volta nella mia vita mi ha costretto a essere d’accordo con Beppe Grillo.

La satira è satira.

Lo sketch non coglionava la ministra in quanto donna ma in quanto citofono fuffoso di Renzi. Ma anche se fosse andato oltre, non sta alla Terza carica dello Stato (o a un membro della Commissione di vigilanza, del Pd, che chiede provvedimenti) sindacare su cosa sia giusto o no mandare in onda.

Perché anche se viene da una donna e da una persona dabbene, questa si chiama censura.

La saluto cordialmente e la invito a una frugale colazione quanto prima, durante la quale – come promesso – le regalerò il laserino verde per accecare Di Battista quando le balla il tip tap sugli zebedei.

Con viva cordialità

Luca Bottura