Una cosa lunga e noiosa su cosa mi piacerebbe fosse la Sinistra in questo curioso Paese

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Il Pd sbanda pure all'opposizione, Zingaretti e Renzi pari sono | L'HuffPost

Renzi ha ragione.

La “cabina di regia” contiana è l’idea di chi ha della democrazia un concetto turistico (cit.) ed è abituato a leadership cooptate. Culturalmente, viene dal partito di cui il Presidente del Consiglio è espressione. Lì, al netto del rivendicato egualitarismo, esiste una cerchia di prescelti che, combinata coi “tecnici” di area, ossia quelli che normalmente hanno superato almeno l’esame all’istituto alberghiero, sorvola ed esautora la fanbase – nel nostro caso, il Parlamento – poiché la riconosce inadeguata, incompetente.

Se Berlusconi portava in politica un’idea aziendalista, verticistica, dunque totalmente isolata dai meccanismi democratici (in azienda decide uno, e uno soltanto), quella dei casaleggesi è più vicina al socialismo reale. La dittatura del popolo. Una democrazia diretta in cui un satrapo, solo, cala le decisioni. Una fattoria degli animali. Anzi, più letteralmente, una factory.

Naturalmente Conte non ha ambizioni dittatoriali. Si è trovato a gestire questo considerevole troiaio (come credo dicesse Churchill) e fa quel che può e sa. Cioè poco. Uno che ha Casalino come spin doctor è conscio, nel profondo, di poggiarsi su fondamenta di argilla. La torsione autoritaria non è tale principalmente perché non alberga nelle intenzioni di chi dovrebbe operarla. Ma è del tutto evidente che un commissariamento del Governo sarebbe pericoloso.

Perché?

Perché viene dopo lo svuotamento di legittimità del Parlamento. Operato da chi, negli anni, ha governato con le regole del maggioritario estremo senza mai (mai) averne la legittimazione popolare. So bene che siamo una Repubblica Parlamentare. E che quindi il mantra grillino del “non eletto da nessuno” è vuota propaganda. Resta che, da Monti in poi, da quando cioè una situazione straordinaria portò al commissariamento di Lega, Forza Italia e Alleanza Nazionale, da quando cioè Giorgio Napolitano regalò a Berlusconi il tempo di rialzarsi e a Grillo quello di organizzarsi, il migliaio tra deputati e senatori è definitivamente diventato un timbrificio gestito da nominati.

Ma se questo è accaduto si deve principalmente alla responsabilità degli esecutivi successivi. Dei governi che hanno stravolto la dialettica parlamentare a colpi di Fiducie. Di chi ha blindato il palazzo dopo averne espettorato gli anticorpi del dialogo. Di chi ha consolidato una prassi per cui l’Aula è sostanzialmente una passerella per i collegamenti tv del question time.

Conte 1, cioè. Ossia Salvini e Di Maio. E Matteo Renzi.

Che l’ex Presidente del Consiglio sia diventato, oggi, alfiere del parlamentarismo, risulta anacronistico come un Briatore che inviti a versare l’Irpef. Ma questo è normale. Renzi ha molti pregi “politici”, quasi quanti i suoi sponsor pesanti, nascosti dall’enorme ego in cui risiede. La spregiudicatezza è certamente il principale. Gli manca una strategia, come hanno dimostrato i rovesci ripetuti degli ultimi anni. Ma è maestro di tattica. Per riacquisire centralità sarebbe capace di dire o fare cose di Sinistra. Anzi: l’ha già fatto. In passato.

Meno scontato è che il Pd ne sia ritornato completamente succube. Che lo usi come testa di ponte per manovre anche legittime che però, una volta di più, rimuovono un dato non trascurabile: il consenso. Il quale pare sia necessario per raggiungere un obiettivo che le forze progressiste non conseguono dai tempi di Romano Prodi: vincere le elezioni.

In questa traversata nel deserto che la Sinistra riformista compie con un agio imprevisto (governa) manca totalmente la percezione dello scoramento attivo che pervade il proprio popolo residuo. Le uniche tornate elettorali vincenti del recente passato derivano dalla paura di finire nelle mani di una qualche scappata di casa telecomandata da Salvini. Ma sono stati sempre e comunque voti difensivi.

Vederli agire, ora, con logiche da Prima Repubblica, leggerne le convulsioni alla ricerca del riequilibrio, del rimpasto, del predellino da cui disarcionare compagni di strada certamente modestissimi, vederli perseguire logiche che neanche Forlani ai bei tempi, e tutto mentre il loro popolo si rintana ogni giorno di più, risulta oggettivamente frustrante. E irrispettoso del loro capitale umano. Sul quale potrebbero investire, proprio come le aziende che, in tempi di crisi causa Covid, mettono sul piatto le risorse residue per rilanciarsi. O almeno dovrebbero farlo.

Il Partito Democratico, invece che baloccarsi con questioni di leadership, dovrebbe sfruttare i due anni che mancano al voto – Francia o Spagna, una maggioranza si troverà – per lavorare sulla propria identità. Dovrebbe prendere dal machiavellismo renziano il solo dato che gli manca: stare al Governo agendo come se ci fossero altri, quasi manifestando il disprezzo per la sbobba che si è costretti a ingoiare, e puntare (al contempo) a blindare la propria identità. Partendo dal dato che c’è uno zero di differenza. Cioè che la macchina del consenso vivaista, vincente ed efficace in ambiti apparentemente opposti come i social e gli uffici che contano (quelli degli Ad, o le redazioni dei giornali) ha il 2 per cento dei consensi reali. Zingaretti, che ci creda o no, il 20. È quello, il predelino, cristallizzato, su cui innestare quattro idee di buon senso, anche apparentemente impopolari, che trasformino gli elettori asintomatici in veicolo di contagio.

Prima però vanno ascoltati. Cercati, e poi ascoltati. Coinvolti in uno stato generale permanente, scovati nelle loro comode case, strappati alle loro librerie ben fornite. Rigenerati.

Anche se l’alternativa c’è: cedere alla scalata ostile di Italia Viva, stringersi alla coorte di un centro reazionario che inglobi anche i “responsabili” di Forza Italia, gettare benzina sull’inevitabile incendio populista che scaturirà, in assenza di un colpo d’ala, dalle urne, e condannare un italiano su cinque a perdere definitivamente rappresentanza.

Dall’opposizione. E senza aver mai governato per davvero.

Fate il vostro gioco. Ma presto.

 

 

 

 

Perché l’addio alla politica di Renzi ha cambiato questo Paese

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Renzi, tour nel Mezzogiorno. Il film della giornata - Campania - ANSA.itDice: epperò hai l’ossessione di Renzi.

Non verissimo. Ne scrivo, ne parlo, lo cito al bar – quando è aperto – molto raramente. Però è vero: se gli attribuissi il peso che ha nelle urne dovrei evocarne le gesta molto più di rado. La Svp viaggia più o meno allo stesso livello di consenso e mica faccio battute sugli Schützen. Anche se… Sapete come fanno quattro Schützen a entrare in una Cinquecento? Non ci entrano: hanno un’Audi.

Dunque mi sono chiesto: perché periodicamente mi sovviene? Lascia stare gli hater che appena lo sfiori si attivano come richiamati da un misterioso (mica tanto) ordine di scuderia. Spesso faccio incazzare la gente ma non ho ansia da prestazione. Non scrivo per cercare insulti. Sarò strano: mi piace di più quando qualcuno è d’accordo con me.

Sarà mica, come dicono loro, che è antipatico? No. Tra l’altro sono antipatico pure io, dovrebbe piacermi. Le peripezie giudiziarie? Garantismo a parte, gliele rinfacciano solo La Verità e Travaglio. Dimmi con chi vai, eccetera.

Il punto allora potrebbe essere è che riciccia ovunque, e che col 2 per cento manovra mezzo Pd, il Governo, mo’ tresca pure con D’Alema, e, insomma, trovo la sua spregiudicatezza così poco familiare. Fuochino.

Credo di aver risolto l’arcano oggi, quando ho riciclato la battuta che faccio ogni anno il 4 dicembre: “X anni fa Renzi perdeva il referendum e lasciava la politica. Sarò impopolare ma ammetto che mi manca”. Un usato sicuro, che si basa su un dato incontestabile. Così incontestabile che la Bestiolina è rimasta silente. Un commentatore (vero) l’ha buttata su Bersani che l’aveva boicottato. Certo: infatti i prodromi di LeU e il loro tre per cento spostarono il 60 per cento dei voti. Un altro, invece, mi ha aperto gli occhi: “Meno male che non se n’è andato. Così si è schiantato subito”.

Ecco, credo nella debacle del renzismo il dato più faticoso sia la schedina vincente (la seconda) gettata nelle acque reflue. La dabbenaggine insistita. Lo scorpione che, attraversando il guado, punge sé stesso.

L’uomo trovò nelle urne il proprio Papeete elettorale. Come diceva Bauman, fece il passo più lungo della gamba. Capita. La politica è maratona. Ebbe l’intuzione giusta: mollare palazzo Chigi Poteva (doveva) rifugiarsi sul Monte Atos il tempo di essere dimenticato, e sarebbe stato richiamato a gran voce. Sotto lo Stellone, bisognerebbe scriverci “Aridatece il puzzone”. Voglio dire: abbiamo riabilitato Berlusconi che stava per mandarci in bancarotta…

Invece no. Invece volle andare al voto da leader, invece ci fece vivere il momento magico e terribile in cui Gentiloni al confronto sembrava un incrocio tra Obama, John Kennedy e Brad Pitt. Invece prese le “cose buone” e le ammantò di superbia, mentre tutti – tranne quelli che poi hanno fatto carriera nei due partiti che comanda – gli dicevano che no, che il passo indietro serviva a prendere la rincorsa, eccetera.

Oggi potrebbe sfidare Conte senza averne fatto nascere il Governo e alle prossime elezioni, invece che Salvini e la Meloni, probabilmente vincerebbe il centro-centro-centro-sinistra. Ma non andrà così. E anche questa sconfitta avrà il marchio della cupidigia dell’uomo che volle farsi imperatore quando era re.

Ecco perché, ogni tanto, ne tratto.

Perché poteva mancare. Invece è mancato.

Attaccarsi al Caf: breve analisi su chi disprezza realmente il popolo

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E così chi celia sulle (presunte) file ai Caf per chiedere il reddito di cittadinanza ce l’ha coi poveri.

Disprezza, egli, il popolo che non vota “come si deve”.

Non solo: c’è un complotto contro gli honesti e consiste nell’aver fatto circolare sui social un modulo per la richiesta che comprendeva, tra le condizioni, quella di credere a Babbo Natale.

È il sistema che reagisce al tripudio pentastellato e…

Vabbé, basta cazzate.

Cioè: basta – dico per quel che resta a sinistra – farsi imporre l’agenda morale da questi tizi. Gente che ha ciurlato nel manico per anni sulla cuccagna per tutti e ora grida alle fake news altrui se qualcuno pensa di poter passare da subito alla cassa: “Era tutto sul sito. Mistificate”.

Va da sé (mi auguro) che nessun pentastellato un minimo aduso al (fu) blog di Peppe possa aver bevuto la colossale panzana, spacciata per vie traverse, dello stipendio per tutti.

Ma gli altri… Perché le parole sono importanti: se tu dici “reddito di cittadinanza” significa che basta essere cittadini per richiederlo. Dunque, al netto dei rudimenti istituzionali per cui bisognerebbe quantomeno attendere la formazione di un governo, c’è un botto di persone del tutto legittimata a reclamare quanto pattuito.

Chi li disprezza? Chi dopo il voto va a “Porta a porta” per spiegare che prima bisogna riformare i centri per l’impiego, che comunque non c’è la maggioranza, i cronisti che – ora – la descrivono apertamente come una riforma impossibile?

O chi pretenderebbe un corso per “votare informati” prima di accedere all’urna?

Siamo reduci dalla peggior campagna elettorale della storia, in cui anche la stampa ha abdicato al proprio ruolo: fare domande, pretendere confronti. E a questo si è arrivati anche e soprattutto attraverso la mistificazione grillina per cui i giornalisti fanno tutti schifo, sono tutti al soldo di qualcuno, sostengono sempre interessi occulti.

Solo che quando gridi alle fake news da oppositore, al massimo (è successo) modifichi la percezione della gente a tuo beneficio. Se per caso andassi al Governo, diventi tale e quale a Erdogan.

I progressisti in questo Paese sono bocconi, e grandemente per loro colpe. Ad esempio quella di aver usato linguaggi e prebende (il populismo “buono”, la politica economica a colpi di 80 euro) che gli altri padroneggiano molto meglio di loro.

Ma se a Ferrara la Lega passa dal 2,4 per cento al 24, la colpa non è solo di chi ha fatto di tutto per perdere quei voti. Perché Ferrara è Oslo, ma con più biciclette. La rabbia sociale per quattro migranti è del tutto ingiustificata. Eppure esiste. Pompata attraverso un meccanismo oliato e trasversale (grillini, Lega: la loro base infatti è per larghi strati sovrapponibile) che distilla rancore per cavarne i voti che ha puntualmente ottenuto.

Trattando una bella fetta di elettori da deficienti.

Altro che battute del Caf.

Una pacata opinione sul linciaggio della Raggi a Roma

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Non fosse grottesca, la caduta dal pero di Virginia Raggi sull’attenzione dei reporter sarebbe paradigmatica*. Simboleggerebbe perfettamente, cioè, la doppia morale grillina per cui tu puoi permetterti di mandare a fare in culo per quasi un decennio chiunque non la pensi come te, utilizzando – nel nome di una investitura divina – qualunque tipo di agguato semantico, forzatura, invenzione, complotto. Senza chiedere scusa mai. Puoi abusare delle credulità popolare indicando obiettivi da sottoporre alla lapidazione in ogni luogo e in ogni blog. Puoi alludere alle prestazioni erotiche della Boldrini, dare della vecchia puttana alla Montalcini, sguinzagliare Iene di partito contro gli avversari politici. Ma quanto tocca a te, è linciaggio. O massacro. (cit. Fatto Quotidiano).

Il guaio è che la Raggi è, forse, in buonafede. La Casaleggio and partners ha separato da tempo le azioni personali dalla responsabilità delle medesime. Ergo, ella ritiene che le debba essere risparmiato non solo ciò che il suo partito riserva quotidianamente agli altri – e in questo ha ragione, caspita se ha ragione: i toni andrebbero riscritti in toto – ma anche una qualunque forma critica, qualunque indagine giornalistica, qualunque attenzione informativa o persino satirica mediata da un’azione altrui. Potere di otto anni in cui, fingendo di voler proteggere la libertà di stampa citando classifiche ad minchiam, si è intimidito non solo il singolo giornalista ma la categoria in generale, delegittimando anche chi fa il proprio lavoro onestamente. Un lavoro nel quale è compreso andare a cercare dove stia il sindaco quando è scomparso da due giorni nel mezzo di una bufera fatta di assessori nominati con le estrazioni del bingo, avvisi di garanzia, balle spaziali, fughe da programmi televisivi – cui una volta si giurava di non voler partecipare – frequentazioni si spera incidentali coi peggiori poteri marci delle precedenti gestioni destrorse.

In questo mondo nel quale tutti hanno un prezzo, i cronisti sono creature eterodirette per mere ragioni di bottega. Sempre. Esiste un universo binario per cui ogni nota stonata rispetto alle balbuzie di una classe dirigente bugiarda (Di Maio), mitomane (Sibilia), rissosa e paracula (Taverna, Lombardi, Di Battista) serve a difendere Renzi e il partito democratico. Perché tutti teniamo famiglia. Anche io che di Renzi dico peste e corna ogni giorno col pretesto che di editori ne ho parecchi e quando posso mi edito da solo. E non ho il problema di dover guadagnare col mio blog. Quindi posso permettermelo. E se anche non posso, me ne fotto. Lo faccio lo stesso.

Ora, Virginia, dico davvero: ma l’ho firmato io o tu il pezzo di carta per cui se defletti dalla linea di un’azienda milanese paghi 150.000 euro sull’unghia? Chi è lo schiavo? Quello che fotografa incidentalmente tuo figlio, lo stesso che ti portavi sui banchi del Campidoglio quando ancora pensavi di stare nei meetup a far festa, o un sindaco che viene tenuto per la collottola intellettuale ed economica da un esagitato che vi abusa ad uso esclusivo della sua gloria, allo scopo di ottenere il pubblico plaudente per cui ogni guitto, anche il più talentuoso, venderebbe un rene?

La traduco: non siete legittimati. Non potete fare la morale a nessuno. Non siete voi che spegnete o accendete i riflettori, perché questa balla della disintermediazione per cui i giornalisti sono inutili birilli, e la sola informazione vera la fa direttamente un partito/azienda, è una cosa scurrile e pericolosa. Roba che quando avrete il potere vero, cioè tra poco, perché incarnate perfettamente l’Italia che chiagne e fotte, potrebbe diventare molto velocemente un’emergenza democratica.

Quindi adesso fa’ il favore, Virginia, di metterti il telefonino in tasca e di non riprendere chi fa il suo lavoro, lo stesso di gente che Grillo additava al pubblico ludibrio e cacciava dai comizi solo perché lavorava per la Rai. Lavoratori, gente normale, trattate peggio degli escrementi di cane. In modo classista, se capisci cosa intendo.

Perché è quello il problema: state al Governo e ancora fate i flimini, credete ancora di poter rispondere con tecniche acchiappaclic a gente che fa un altro mestiere. Un mestiere vero. Spesso nobile. Certo: ci sono giornalisti corrotti, incapaci, semplicemente acquiescenti. Ma la stampa: 1) rappresenta il Paese, proprio come gli elettori e i politici che dagli elettori vengono scelti. Quindi è fisiologicamente piena anche di brutta gente. 2)  In generale è un contropotere. E va preservato. Perché il giorno in cui l’avrete rasa al suolo, quando ti ritroverai come i Pizzarotti, le Mucci, gli Andraghetti, in mezzo a una gragnuola di cortigiani inferociti, con la bile caricata a pallettoni dalla famosa rete, non ci sarà più nessuno a difenderti dagli ordini di scuderia del Movimento.

Questo, se non un minimo di sensibilità civile, dovrebbe bastare a farti smettere con la pantomima.

Governa, se sei capace. Sei arrivata a gestire una città dove si sapeva con almeno sei mesi di anticipo che avreste stravinto. E non avevi la più pallida idea della squadra con cui avresti governato. E la Muraro dice di averti conosciuta a metà giugno, e chissà chi te l’ha indicata. Magari lo stesso che ti ha fatto il nome dell’assessore al bilancio per 15’. Altro che due fotocopie nello Studio Previti.

Al momento la giunta Raggi 1 è un Alemanno bis. E siccome tra chi ti ha votata c’è anche gente in buonafede, molta, che davvero sperava di cambiare, sarà meglio cominciare a darle qualcosa che non siano rottami di chi piazzava la pattuglia acrobatica dei suoi cognati all’Atac. Perché se avessero voluto il vecchio clientelismo o gli amichetti di mafia capitale si tenevano il Pd che ha azzoppato Marino. Col vostro decisivo contributo.

Altro che paparazzi. Altro che gossip. Altro che complotto. Smettetela di avvelenare i pozzi. E cominciate a lavorare per Roma. Perché se alla guida del Paese ci arrivate così, rischiate di raderlo al suolo. Grazie all’unico tratto che un tempo avreste avuto in comune con le Olimpiadi: il dilettantismo.

Buona fortuna. Dico davvero.

Ciao.

 

*Nota per Paola Taverna: esemplificativa.

Perché a Roma il problema non è “il milioncino” della Muraro

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(ANSA – DESIGN) Un cestino Ama vuoto. L’opera è esposta al MoMa di New York

Rispetto alla questione dei rifiuti, a Roma, il Pd dovrebbe scavare una buca molto profonda, facciamo una cinquantina di metri, lasciare lo spazio necessario per Alemanno e gli altri stupratori neri della città, ritirarvisi in blocco, chiedere cortesemente, magari all’Ama, di ricoprirla, e uscirne diciamo tra una ventina d’anni, anche venticinque. Solo allora dovrebbe riprendere la parola. Per chiedere scusa.

Altro che lanciare hashtag. Altro che mutuare tristemente linguaggio e temi altrui (i soldi, cristo, sempre l’ossessione per i soldi) chiedendo di spiegare “il milioncino” della Muraro.

Premesso questo.

Non essendo romano, so di Ignazio Marino solo quel che ho letto e ciò che mi hanno raccontato gli amici che colà risiedono. Il giudizio è abbastanza unanime e non brilla per positività. Non capendone niente, da lontano, mi sembrava davvero il marziano che diceva di essere, spesso incompetente, certamente alieno a determinate tradizioni. Prima tra le quali, proprio quella sui rifiuti. Per la gestione dei quali (ripeto: posso sbagliare) aveva operato importanti soluzioni di discontinuità, respinto al mittente vecchi caporioni privati, scelto persone nuove.

Si era fatto, Marino, parecchi nemici: il suo partito, che l’ha fatto cadere dandogli dello psicopatico. E i suoi successori in Campidoglio, che gli davano del disonesto.

La nuova gestione dei rifiuti è affidata a una persona che da oltre un decennio faceva parte del sistema, con l’onere di controllarlo. Le prime mail in cui muove rilievi risalgono all’inizio di quest’anno, e sono con ogni evidenza le mail di una persona sull’orlo di una nomina in Campidoglio. La stessa persona era consulente di aziende, cui prestava il proprio ingegno perché potessero vincere gli appalti presso il Comune di Roma per il quale lavorava. Ha guadagnato cifre molto importanti dal pubblico e dal privato, nello stesso periodo, nello stesso ambito. La persona che ne ha fatto esplodere gli emolumenti era Gianni Alemanno. Il suo sponsor in Ama era Franco Panzironi, coinvolto in mafia capitale, che aveva intestato una società alla segretaria la cui presidente era Virginia Raggi. Cerroni, il ras novantenne dell’immondizia, finito in galera per la discarica di Malagrotta, la adora, la elogia pubblicamente, e ne sostiene la decisione di riaprire il tritovagliatore di Rocca Cencia perché probabilmente con tre tovaglie si magna-magna-magna.

Ribadito che una buona alternativa alla inumazione del Pd romano sarebbe la sua spedizione su Giove, evitando di lasciare il carburante per il ritorno, la domanda è: se questo popò di intreccio riguardasse una qualsiasi sponda opposta, avremmo la gente in Campidoglio a gridare Onestà come stesse in curva sud?

La risposta è: certo che sì.

L’altra domanda è: perché non succede?

Le risposte sono due:
1) Il beneficio del dubbio che si concede a chi è in carica da un mese (ma per nominare assessore una che cerca vendette in Ama, perdippiù in diretta streaming, bastano pochi secondi).
2) Il M5S è pulito per definizione.

Ergo: i comportamenti che si rinfacciano giustamente agli altri diventano normali se a compierli è qualcuno dei tuoi.

È il punto d’arrivo del lavacro di coscienza che ha portato i romani (e gli italiani) a scegliere quasi sempre i ladri e i corrotti girando la testa dall’altra per quieto vivere o sperando di ottenerne l’indulgenza. Salvo poi lamentarsene, abbattendoli in cabina elettorale, sempre fuori tempo massimo.

Inflessibili. Diversi. Alieni a ogni compromesso. Finché non c’è qualche contratto da firmare. E permalosissimi quando il fango tocca la squadra di cui hai appena indossato la casacca. Uguali all’Italia di sempre. Quella del “Non sono Stato io”.

Che si specchia, purtroppo, in quelli che chiedono conto del “milioncino”. Comparse bercianti in questa curiosa tragicommedia di popolo.