Ma voi chi? (Un cordiale saluto al professor Alberto Bagnai)

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(ANSA – BILDEBERG) Il professor Bagnai in un pacato saluto ai lavoratori de l’Unità

Che poi io sarei pure in vacanza.

Però poi leggo questo, e purtroppo non mi tengo.

Cioè: prima vado a vedere chi è l’estensore di queste cartelle scritte con eloquio da ragazzo di seconda media e non dei primi banchi (cit.) e scopro trattarsi di uno stimato professore universitario. E lì sì che mi spauro.

Capisco se a esultare per la morte del quotidiano in cui imparai il mestiere è un Bugani qualunque. Ha i mezzi che ha, povero. Non puoi davvero volergli male.

Ma ‘sto bullismo accademico? Ma ‘sta gente che si esprime come sul muro di un Autogrill davvero insegna in un’università? Gente che – seriamente – sostiene come l’Unità abbia chiuso perché:

1)    Era una manica di criminali affossatori del popolo;

2)    Non era d’accordo con lui, (mentre lui sì che scriveva cose giuste e dunque aumentava i clic)

Perché poi non m’interessa tanto quel che dice il prof in questione su Monti. Deprivato della salsa complottista, il mio giudizio su quel governo non è lontanissimo dal suo. Anzi: per me Monti a Palazzo Chigi manco doveva esserci, l’ho scritto e detto in tutti i luoghi e tutti i laghi (cit.) anche se poi – sempre sponda il Fatto – mi toccò di discutere con uno stimato collega che mi diceva “voi che avete difeso Monti…”.

Ecco, appunto: ma voi chi?

Voi che andate in onda sulla radio di Repubblica? Voi che scrivete minchiate anche sul Corriere? Voi che spacciate motteggi anche a qualche (bravo) comico. Voi che tifate Bologna? Voi che siete sovrappeso?

bagnai 1No, perché lo stesso professore prima mi ha risposto alla Minzolini (“Certo: meglio ballare sulla bara del Paese come voi, si sta più comodi”) poi si è dato perché magari aveva di meglio da fare, mentre intanto diversi suoi fan mi spiegavano che avevo pestato una merda perché lui sì che era cazzuto (cit.), partivano con qualche insulto, in generale ritwittavano la stramba teoria per cui io (sì, proprio io) portavo la responsabilità personale di aver affossato l’economia del Paese.

La cosa divertente – io sono un paria dei social, ma qualche meccanismo forse l’ho capito – è che in molti casi bastava rispondere con calma perché il “coglione!” iniziale diventasse “e dire che leggevo sempre Cuore”. Argomentavano. Dopo. Perché in rete va così: se metti dei fiori nei cannoni spesso arriva qualcuno che se li fuma.

Quindi, per tornare a bomba, dai navigatori casuali mi aspetto tutto e il suo contrario. Da uno che si presume abbia letto due libri, sappia far di conto, insegna pure, esigo (spero, va’) che sappia distinguere tra i rutti da curva e un minimo di analisi. L’Unità non ha affossato niente. L’Unità non fa parte di alcun complotto globale. L’Unità non ha distrutto questo Paese ed era un giornale povero, fatto da poca gente, che chiude perché è arrivato alla fine di una parabola molto interna al Partito Democratico.

Non piaceva? Amen.

Si può dire e scrivere senza suonare “Romagna mia” con le ascelle, senza spalmare pece e piume su chi ci lavorava, senza scambiare una legittima linea editoriale (e politica) come adesione acritica a un nuovo ordine mondiale che ambisce alla distruzione del popolo. Quelle sono cazzate (nel caso in questione, pure scritte male) che però alimentano, in rete e non solo, tutto quel ragionamento ad alzo zero che porta consenso ma intossica chi ne viene investito.

I lavoratori (lavoratori: bella parola) de l’Unità non sono carnefici, semmai sono vittime. E facevano un giornale decente nelle condizioni date. Personalmente, credo non esulterei manco per la chiusura di Libero – anche perché mi regala tanta ciccia per la mia attività satirica – ma certamente, ove trapassasse, eviterei di ornarne la tomba con una vasca di letame solo perché al 99 per cento non sono d’accordo con quello che scrive.

Al massimo, siccome sulla carta d’identità alla voce professione ho scritto “pirla” , cercherei una battuta decente. Perché quello faccio.

Secondo me c’è una parola che abbiamo perso per strada, in questi anni in cui il Berlusconi in noi (cit.) ha definitivamente preso il sopravvento: opportunità. E’ normale, legittimo, plausibile che un’intera classe intellettuale – giornalistica, accademica – chiosi qualunque notizia con una salva di peti atti a generare like, inviti in radio e tv, una qualche rubrica da confondere tra mille altri urli.

Però non è opportuno.

Questo volevo dire al professor Alberto Bagnai, che saluto caramente.

 

 

Amen (l’ennesimo sermone più che perfetto di Scalfari su Renzi)

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(ANSA – 80 EURO) Matteo Renzi mentre sta per rispondere alla tradizionale domanda: “Sai chi ti saluta un casino”

Eugenio Scalfari da la Repubblica del 27 luglio 2014

Dopo tanti nomi, dalla Bolognina di Occhetto in poi, il Partito democratico ha subìto una rilevante modifica, non ufficiale ma reale: si chiama ormai partito democratico renziano. Non mancano i contestatori ma sono pochi e discordi tra loro. Manca un gruppo dirigente di cui il leader sia l’espressione ma non il padrone. I luogotenenti sono numerosi, giovani, uomini e donne, ma nessuno di loro ha una voce propria, salvo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ma questo si sapeva e il suo ruolo tende a restringersi.

Fa bene Napolitano a dichiarare che non esiste un rischio d’autoritarismo; fa bene chi si oppone al contingentamento del dibattito; fa bene chi non vuole l’ostruzionismo. Fa bene chi vede addirittura mettere un termine di calendario alla riforma del Senato: 8 agosto, a costo di non dormire neppure la notte di domenica. Fanno tutti bene ma attenti perché con tutti questi divieti, a volte chiamati ghigliottina e altre volte tagliola senza che sia chiara la differenza tra quelle due parole, l’autoritarismo rispunta inevitabilmente. Rispunta non perché qualcuno lo voglia ma perché se ne creano le condizioni. Se parla e decide solo il capo, la democrazia dov’è? Dice Renzi: ne parliamo da tre anni di queste riforme. Ma chi ne ha parlato? E di quali riforme?

I tre governi “presidenziali” di Monti, Letta, Renzi, alcune riforme le hanno fatte e il Parlamento le ha approvate. I tempi non sono stati particolarmente lunghi; il preteso balletto tra Camera e Senato che sarebbe il male numero uno della democrazia italiana, non ha rallentato le leggi, ne abbiamo già fornito le cifre. Ma ora ne diamo un’altra di cifra, estremamente significativa: 800 leggi, approvate da entrambe le Camere durante i tre governi sopraindicati, non sono ancora entrate in vigore. Pensateci bene: 800 leggi approvate da entrambe le Camere non vengono attuate. Perché? Perché mancano i regolamenti attuativi che dovrebbero essere studiati e ufficializzati dalla burocrazia ministeriale. Ottocento leggi. E poi si parla di balletto tra le due Camere, magari, ma il balletto non è quello: riguarda la burocrazia ministeriale, in gran parte in mano al Consiglio di Stato.

Si vuole abolire il Senato per snellire il potere legislativo e farlo diventare monocamerale. Ma non è affatto questa la ragione. Se la burocrazia resta quella che è, il monocameralismo non farà diminuire i tempi nemmeno di un giorno.

Ricordo ancora la mia ultima intervista con Aldo Moro, quindici giorni prima del suo rapimento. Mi spiegò perché l’alleanza tra la Dc e il Pci di Berlinguer era inevitabile: «Bisogna modernizzare e rifondare lo Stato. È ancora quello della destra storica, poi modificato dal fascismo. Ci vorrà almeno un’intera legislatura, forse non basterà. Quando avremo adempiuto a questo compito, i due grandi partiti riprenderanno il loro posto e si alterneranno democraticamente. Ma non prima e non bastano pochi mesi per ottenere un risultato storico di questa natura».

Forse Renzi non ha mai letto quel documento. Forse, con grandi intese e tre mesi di tempo dati alla Madia pensa di farcela. Ma nel frattempo perché non prova a far attuare quelle 800 leggi paralizzate? Quanto alle tagliole e alle ghigliottine: il presidente del Senato ha il potere di abolire alcuni emendamenti chiaramente ripetitivi, ma la procedura prevista dai regolamenti è estremamente gravosa. Non varrebbe la pena di modificare e dare a Grasso (e alla Boldrini) il potere di cassare gli emendamenti volutamente ripetitivi? Probabilmente gli ottomila previsti si ridurrebbero a poche centinaia e si lavorerebbe col tempo necessario.

Ma in realtà non è per questo che Renzi vuole abolire il Senato. Vuole potenziare l’Esecutivo e ridurre al minimo il Legislativo. È vero che c’è la trovata del referendum confermativo ma è, appunto, una trovata: gli elettori dei partiti delle larghe intese voteranno in massa l’abolizione del Senato; non gliene importa nulla di quella riforma. Provate a mettere a referendum una legge che abolisca il prolungamento dell’età lavorativa o che aumenti gli 80 euro a 100 e vedrete il risultato.

Renzi vuole il monocameralismo, dove agirà come presidente del Consiglio e leader del partito. Berlusconi farà altrettanto. Così andremo avanti fino al 2018. Se almeno riformassero lo Stato, ma temo sia l’ultimo dei loro pensieri.

In Europa però le cose non vanno molto bene e l’Italia è guardata con giustificato sospetto. Insiste molto sulla flessibilità, ma intanto il Pil scende, la produzione scende, i consumi scendono, la natalità scende. Dovrebbero abbassare le tasse, ma quali e come? Hanno bisogno di soldi da investire e volete che abbassino le tasse? Semmai dovrebbero tassare un po’ di più i ricchi e alleggerire i poveri. Le rendite le hanno toccate, anche le pensioni che superano un certo tetto. Ma sono quisquilie, c’è l’evasione da stroncare. C’è molto e molto da fare. Abolire il Senato non serve a niente e all’Europa non interessa affatto.

Draghi ha detto quali sono le leggi di riforma da attuare: competitività, produttività, aumento della base occupazionale, equità sociale. Lo ripete quasi ogni giorno. Renzi non gli dispiace, anzi gli piace. Se farà quelle riforme che, tanto per dire, la Spagna ha portato avanti e infatti sta andando meglio di noi. La Spagna ha ricominciato a crescere, noi no.

Speriamo nella Madia. E nella Boschi. E nella Pinotti. E nella Mogherini. Se il pifferaio suona bene, loro faranno un buon coro, ma se il pifferaio stona, il concertone rischierà di diventare una gazzarra. Il pericolo è questo.

Quelo che il Pd ci comunica (no, non è un errore)

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Equilibrio, fantasia, tempismo sono tre doti – rare – che stanno bene in qualunque involucro umano.

Se comunichi, sono fondamentali.

Se sei il responsabile comunicazione di un grande partito, sono decisive.

Francesco Nicodemo stamattina ha twittato ‘sta roba che le stritola tutt’e tre.

nicodemo

Equilibrio: non puoi scrivere #mentreloro perché:

1)    Alzi un muro, specie a sinistra, col 60 per cento che non ti ha votato (e, anche, con l’X per cento che ti ha votato solo perché temeva Casaleggio ministro per i cappellini)

2)    Alimenti i timori di autoritarismo che le riforme piddine spargono qua e là. Il mondo non è buoni e cattivi, non è gufi e rosiconi contro popolo eletto, non è voi e loro. Quella è sintassi berlusconiana.

Fantasia: no, ma davvero? Davvero il responsabile comunicazione del Pd scimmiotta il capo e s’inventa un hashtag divisorio solo ad uso dei fanatici? Puntando sulla presunta derisione, sul vittimismo, sul “noi sì, invece gli altri…”. Quella è sintassi grillina.

Tempismo: c’è anche caso che il Porcellinum superi trionfalmente le avversità esterne e interne (curiosità mia: ma quindi Mineo è ‘sto coglione?) però è pure possibile che tutto slitti a settembre quando magari metterete il cappello su una riforma non più Pd-Forza Italia ma Pd-Pdl.

Famo così, Nicodemo. Famo che #mentrenoi ci chiediamo se sapete quando stiamo andando, quando stiamo facendo, due domande ve le fate pure voi.

E magari smettete di cercare la risposta dentro di voi, perché è anche possibile che sia sbagliata.

 

Satira! Delusione! Giochi di parole! Palestina! CLICCA QUI!

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(ANSA - BLASFEMIA) La vignetta di Natangelo sul Fatto Quotidiano di oggi

(ANSA – BLASFEMIA) La vignetta di Natangelo sul Fatto Quotidiano di oggi

Pràt! Poroproz! Prà prà prà!

Oh, fatto. Due belle scoregge in testa al pezzo e con la parte ludica siamo a posto.

No, perché se ti industri ogni tanto con la satira, a quello devi limitarti. Ehi bello: non scassarci la minchia con la poesia, non farci la morale, non urtare suscettibilità tirando qualche bella ginocchiata nei coglioni.

Facce ride. Dicci che Renzi è autoritario, che Grillo è un mitomane. Belen? Hai niente su Belen?

La Palestina no. Lì ci stanno i morti, cristo. Nun se fa. Stavolta mi hai deluso. Stavolta hai esagerato. Stavolta…

No, non è capitato a me.

E’ capitato a una vecchia compagna di bagordi satirici che può piacere o non piacere, ovvio. Una a cui capita di scrivere cose eccelse e vaccate, come tutti.

A me soprattutto vaccate.

Solo che io, normalmente, faccio incazzare categorie trasversali – tassisti, grillini, tassisti grillini, renziani, juventini, Napoli secondo estratto 2 – ma non indigno. Purtroppo.

L’indignazione la si riserva a Lia Celi, parlo di lei, quando twitta così:

“Ora in corso la finale #Israele#Palestina. Si profila lo spettro dei supplementari”.

Può darsi che io sia fuorviato dall’antica vicinanza fisica nella redazione di Cuore, ma a me la lettura del vergognoso tweet sembra palmare.

La translittero:

1)    Parliamo di Mondiali e quelli si ammazzano, ma chissenefotte.

2)    I pochi che ne parlano si esprimono da ultrà: curva Netanyahu, curva Hamas.

3)    Non è finita qui, si profila una continuazione del conflitto.

Un editoriale, in 140 caratteri.

Però lei non poteva, battutara che non è altro. Come s’è permessa. E allora giù con i commenti:

  • ti dovrebbero mettere a Gaza e spararti tutti i giorni in testa. Idiota
  • ma si deve cazzeggiare proprio su tutto?
  • senza vergogna vergogna!
  • ma sei così di tuo o prendi delle pasticche?
  • ma sei cogliona????
  • sei una donna misera.
  • ma sei solo cretina @LiaCeli o lo fai apposta?
  • Questa non fa ridere. Si può far satira su tutto, anche sulle guerre e sulla morte. Ma non con giochi di parole banali.
  • squallida.
  • questa battuta mi fa letteralmente schifo
  • ha cagato fuori dal boccale…questo è tutto
  • ti adoro da sempre. Ma questa è una battuta fuori luogo.
  • Secondo me banalizza soltanto. Non c’è nessuna pietà verso le vittime, né distinzione tra vittime e carnefici

Eccetera.

Riassumo: non puoi parlarne, devi parlarne come voglio io, comunque non hai preso posizione e quindi non hai diritto di trattare il tema perché non sei politicamente corretta.

Per soprammercato: ti accuso di fare giochi di parole l’unica volta che non ne fai.

Svelerò  un piccolo segreto: la satira è una bettola del pensiero, che esprime il pensiero medesimo circondandolo di peti.

E’ moralista (ha sempre un punto di vista) ma si travisa con l’imbecillità. Però, a proposito di morale, tolti i benemeriti momenti di puro cazzeggio, contiene di solito una motivazione più o meno profonda.

Quando la si depriva dei meteorismi di accompagnamento, prevale perciò quella sorta di malessere che solitamente sfocia in battuta – parlo per me – ma talvolta diventa una piccola riflessione amara. Spesso retorica.

Lo ha fatto Lia, lo ha fatto oggi Natangelo sul Fatto Quotidiano. Solo che lì sono il disegno e i colori, il tratto infantile, lo stacco netto tra motto di spirito e linguaggio con cui lo si racconta, a stabilire i confini della provocazione satirica.

Dunque spero che non gli abbiano troppo frantumato i bagigi, come ho fatto io, scrivendo questo pletorico pezzo. Che potrei riassumere così: poco m’importa dell’impopolarità, sennò me ne starei zitto. Ma dimmelo senza augurarmi che mi sparino in testa.

Pràt! Poroproz! Prà!

Una cosa demagogica sul fatto che gli evasori sono dei ladri

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(ANSA – E LE FOIBE?) Un tipico cittadino italiano

La cosa più divertente è che ti danno del demagogo.

Davvero: in un Paese nel quale evadere, e rivendicarlo, è ormai patrimonio culturale di tutte le ideologie, danno del demagogo a te quando dici che, santiddio, le tasse vanno pagate. E le sanzioni pure.

Sennò vuol dire che rifiuti di far parte della comunità. E allora, bello, all’ospedale, nelle scuole pubbliche, sulle strade statali, ci metto la tua foto con la scritta “io non posso entrare”.

Tipo le contravvenzioni, no? Cioè: tu prendi una multa da, poniamo, 80 euro. Andavi oltre i limiti. Mi dirai: il limite era assurdo. Anzi: lo scriverai a un giornale lamentandoti. E quelli te lo pubblicheranno pure. Ti coccoleranno. Va bene. Magari hai pure ragione. Però la prossima volta va’ più piano.

Prendi la multa – che potresti regolare entro i 5 giorni con lo sconto – e non la paghi. Quella sera lì avevi lo spritz.

Allora ti mandano un avviso che ne alza l’importo. Non paghi. Te ne mandano un altro: non paghi. La cosa passa a Equitalia o chi per lei e i tuoi 80 euro diventano il doppio, poi di più, poi di più.

Allora vai in tv e spieghi il tuo dramma, magari insieme a uno di quei tizi dei comitati consumatori che te li raccomando. E poi la cartella pazza. E il fisco vampiro. E lo stato di polizia fiscale.

Beh, sei un coglione. Un coglione cui tutti chiedono il voto, perché sei maggioranza. Ma un coglione.

Tu che evadi i contributi e poi vai nei talk show “antagonisti” a spiegare che difendi il lavoro dei tuoi operai. Beh, sei un ladro. Di futuro, tra l’altro, agli operai che fai finta di difendere.

Tu che hai doppi o tripli lavori in nero e intanto lucri uno stipendio pubblico, sei un bandito.

Tu che non fai scontrino, ricevuta, fattura… Bravo: delinquente pure tu.

Rubi ai tuoi concorrenti, e allo Stato. E a me. Che tra poco, chez Renzi, pagherò le medicine in base al reddito. Come già per gli esami. Ma mica in base al reddito vero. A quello dichiarato. Cioè le pagherò agli evasori che se le porteranno a casa gratis. Alla faccia mia. E di tutti quelli che provano comunque a pagarle, le tasse. Anche se dall’alto sparano sempre nella tonnara di quelli che sono tracciabili e non possono scappare. 

Conosco l’obiezione: parli perché hai il culo nel burro. Perché le tasse puoi permetterti di pagarle. Ed è vero, posso certamente ritenermi un privilegiato perché faccio il lavoro che amo e (quasi sempre) me lo remunerano pure. Ma è pieno di privilegiati che le tasse mica le pagano. E io stesso, se avessi fatto un po’ il furbo oggi sarei ricco. Avrei giù supplito in qualche modo alla pensione che non avrò mai, per dire.

Sì, sì: conosco anche le altre litanie, quelle sulle priorità: le banche, i grandi evasori, le multinazionali cattive. Tutto vero. Andiamo a stanarli, di corsa. Però  ‘sticazzi delle banche, dei grandi evasori e delle multinazionali cattive quando diventano attenuante generica: se sono ladri gli altri, nulla ti autorizza a esserlo pure tu.

E poi, aspetta, parliamo dell’evasione di necessità. L’evasione di necessità è quella roba di chi non mette insieme il pranzo con la cena. Ci sto. E’ giusto. Ed è sacrosanto che lo Stato, quel carrozzone spesso debolissimo coi forti e fortissimo coi deboli, metta in condizione chi rasenta o supera la povertà di mettersi in regola con calma. Che tenga conto delle contingenze. Che dimostri umanità. Che condoni e cancelli il debito, se è il caso.

Specie – e capita spesso – quando è colposo e non doloso.

Ma l’evasione di necessità da noi è un concetto lasco. Chi lo stabilisce, il confine della necessità? Il piccolo o grande imprenditore, commerciante, professionista che in tempi di vacche grasse faceva nero a raffica e oggi deve ridurre i propri consumi perché l’illegalità – tra le altre cose – s’è mangiata tutto, è in stato di necessità?

Necessitare di mantenere un altissimo tenore di vita, è necessità?

Alcuni parenti avevano un piccolo mobilificio. Gli aprì accanto un mercatone. Potevano fare bancarotta subito, magari portando qualche soldino all’estero che poi avrebbero scudato nella massima allegria. Spesso fallire (cfr. The Producers) è un vantaggio per te e un dramma solo per i tuoi creditori. Pagarono tutti. Fallirono dopo. Divennero poveri.

Però fecero il loro dovere, cristo.

Perché si chiama impresa, non passeggiata di salute. Perché sei responsabile di quello che fai, delle tue scelte, dei rischi che ti prendi.

E se non ce la fai (succede) magari non è colpa del gruppo Bildeberg. Hai avuto sfiga. Non sei stato capace. Ti sei ritrovato tutti contro. Magari sei stato strozzato dalle stesse banche che – chez Berlusconi – hai votato per vent’anni. Dai politici che non ti danno infrastrutture, legalità, certezze, vera competizione. Ma finché c’era una mancia anche per te si potevano votare.

Per questo sei un ladro.

Perché chi non paga le tasse e avrebbe modo di pagarle è un cittadino di serie B. E’ un suddito che se ne sta buono finché non toccano lui. E’ la malattia di questo Paese. Parlo soprattutto con te, tipo “di sinistra”. Tu che te la sei presa fino a ieri con Berlusconi e in realtà volevi essere come lui. O lo eri già. E finalmente c’è qualcuno anche dei tuoi che ti dà ragione.

Come quegli altri, quelli che “ma che schifo la casta”, ma anche “che schifo il Pos”. Dai, su, non lo useresti manco se i costi fossero a zero. E non vedevi l’ora, pure tu, di applaudire un tizio che ti dicesse, anzi ti urlase: “Ma no, tranquillo, non è colpa tua”.

Beh, è colpa tua. Che ti credi assolto e sei totalmente coinvolto.

E’ colpa tua che ti ricordi di essere un cittadino solo quando ti arriva la cartella di Equitalia.

E’ colpa tua.

Ma chissà quante generazioni ci vorranno per capirlo, in un Paese nel quale i demagoghi sono quelli che anelano uno spicciolo di onestà.

Cazzo.