Un inverecondo pippone su cosa vorrei da ciò che resta della Sinistra

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Nella narrazione passivo-aggressiva che delimita il campo espressivo della Destra, Giorgia Meloni ha fatto sapere che, grazie a lei, la parola “patriota” non è più una vergogna. È ovviamente un grossolano falso. Patriota è un aggettivo, o sostantivo ove lo preferiate, che data ai tempi del Risorgimento. Dunque alla nascita dell’Italia unita. Dunque a uno dei due miti fondanti di questo Paese, dacché l’altro – la Resistenza – rappresenta, quello sì, una vergogna per chi al momento timona la nostra democrazia.

Giorgia Meloni in total black alla parata del 2 giugno (Istituto Luce)

Nulla di strano in questa ricostruzione che serve a individuare nemici, tipica di un partito che ha abiurato la svolta di Fiuggi e oggi rappresenta di fatto, rivendicandola, la continuità col Movimento Sociale. Cioè con una traslazione appena più blanda, ma solo perché sconfitta dalla Storia, del Partito Nazionale Fascista. Un po’ come se il Pd rivendicasse l’invasione dell’Ungheria. O Schlein tenesse a casetta, in bella vista, il busto di Stalin. O la massa degli elettori progressisti avesse nostalgia della Cortina di Ferro. Manco Peppone, manco.

Diverso è il discorso di Nazione, una categoria novecentesca che, a proposito di apparenti sofismi lessicali è, banalmente, la madre dei nazionalismi. Ossia di ogni conflitto, compreso quello russo, varato da chi fino a dodici secondi fa rappresentava un punto di riferimento per chi ci governa. Un problema in politica estera – l’Austria che chiude le frontiere con noi dentro, i Paesi di Visegrad che ci rimbalzano sui migranti, l’atlantismo vassallo per accreditarsi a Washington – che basta e avanza come schermo interno per ogni torsioncina autoritaria, per ogni passetto verso la commistione dei poteri, per ogni occupazione rivendicata, per ogni controllo che salta nel nome di un valore impalpabile, di un arroccamento emotivo ma fascinoso: la Nazione, appunto.

In tutto questo, a preoccupare, è principalmente l’opposizione. La debolezza, dell’opposizione. Sulle parole, sui fatti.

Il MoVimento Cinque Stelle è da tempo alla ricerca di un nuovo jolly, un Reddito di Cittadinanza o qualcosa del genere, da calare sul tavolo della propaganda per ridarsi un’identità. Ché, nel trionfo dei partiti personalistici, Giuseppe Conte appare anche a molti sostenitori per quello che è: una figura opportunista che bada principalmente alla propria conservazione, alla competizione interna nel campo della cosiddetta sinistra, rispetto alla quale è peraltro un corpo estraneo per storia personale, obiettivi, formazione politica. 

Giuseppe Conte Uno (Ansa – Crispi)

Il Pd, invece, resta al momento preda del peccato originale che in quarant’anni di Governo Mediaset l’ha spinto ad arroccarsi in una specie di Sagunto culturale: farsi dettare le parole dagli altri, con ciò che ne consegue in termini di marginalità e depressione post votum. Ne è rimasto vittima pure l’eccellente sindaco di Bologna, allorché voleva appunto cancellare la parola “patriota” dalle vie dedicate ai partigiani. Se l’erano presa gli altri – il percorso del ragionamento – tanto valeva lasciargliela e mettere il cappello sui partigiani. Che invece sono di tutti, morirono per tutti.

Ne è vittima, in questi primi passi, Schlein, che affida l’analisi della sconfitta a sette minuti di video, girato con una qualità tra il Super 8 e le rivendicazioni dell’Isis. Un pasticcio che coopta in peggio la disintermediazione prima grillina, poi salviniana, ora meloniana, e comunica, al netto di una retorica da spogliatoio calcistico, un vuoto propositivo. Che tra l’altro, ed è forse ancora più grave, forse nemmeno c’è.

Al netto delle bufale di governo sul predominio culturale e informativo della Sinistra (la Destra ha il controllo dell’immaginario collettivo dacché l’informazione mainstream, Rai in testa, è diventata un’immensa Rete 4), la segretaria del Pd ha ora un imperativo categorico: non ascoltare nessuno. Ovviamente me compreso.

Non la parte del suo partito che minaccia l’uscita a destra: un saldo zero, in termini elettorali. Come minimo. Non chi le intima di abbandonare i temi civili per sostituirli con quelli sociali, dacché si possono, si devono, affiancare. A patto però di trovare parole nette. Ad esempio per dire che il cosiddetto utero in affitto è già reato, dunque non è un problema di cui vale la pena occuparsi. Di specificare con chiarezza che sostenere Kiev coi soldi del Pnrr è un problema non perché si debba armare l’Ucraina, ma perché il Pnrr non sanno manco dove si comincia a scriverlo. Di rivolgersi direttamente a chi sorregge questo Paese con le proprie tasse, dipendenti e autonomi, quando qualcuno parla di “pizzo di Stato”.

La segretaria Pd durante il suo video su OnlySchlein (Ansa – Zuckerberg)

Manifestando per dir loro grazie, per rivendicare il tax pride di chi patriota lo è davvero, in carne e Irpef.

Una battaglia che, ove la si voglia affrontare, si vince creando stilemi e luoghi propri, fossero anche le desuete piazze, o un pullman alla Prodi con cui palesarsi, da qui alle Europee, all’Italia per cui non si esiste più. Specie al Sud.

Pacificazione e buongoverno non sono sexy, sui social. La buonafede non lo è. Nemmeno un Morisi o un Longobardi potrebbero mai rendere appetibili equità sociale e senso dello Stato. Né intrupparsi nei talk show rissaioli può essere la via: in tv ci si va a farsi intervistare, anche dalla stampa nemica, ma da soli. O duellando con gli altri leader.

C’è una parte non minoritaria del Paese che ha bisogno di non sentirsi sola. Va cercata, compattata, con una sorta di veltronismo radicale, uno spietato buonismo, una vocazione maggioritaria che, se proprio deve colpire qualcuno, va indirizzata contro le disuguaglianze. Contro chi se ne frega del riscaldamento globale e taccia di gretinismo chi semplicemente non vuole andare arrosto. Anche perché odia i giovani. Contro chi il pizzo di Stato se lo prende ogni giorno dalle tue tasche, facendoti concorrenza sleale, derubandoti dei servizi che gli regali. Contro chi in trent’anni ha abbassato le retribuzioni e moltiplicato i profitti, facendo molti più danni degli elusori come Google o Amazon. Contro chi dall’Europa vorrebbe solo argent de poche e nessun dovere. Contro la mentalità mafiosa, proattiva o rassegnata che tutto ottunde e tutto blocca. Contro chi spaccia per merito l’essere nati dai lombi giusti: il merito si misura quando si parte da posizioni di partenza simili, se non uguali.

Proponendo un’Italia di uguali, ecco. E non di uguali a Budapest.

In tutti i luoghi, e in tutti i laghi. Avendo cura se possibile di proteggerli, i laghi: ché cementificare il territorio, anche quello, fa parte di una subalternità culturale i cui esiti tutti stiamo pagando e pagheremo, se qualcuno non avrà il coraggio di praticare l’impopolarità finché non diventa popolare.

Da patrioti. Ché, come diceva, Mark Twain citato dal Pojana: “Essere patriota significa sostenere la tua terra sempre, e il tuo governo quando se lo merita”.

3 pensieri su “Un inverecondo pippone su cosa vorrei da ciò che resta della Sinistra

  1. Flavia

    Non so se abbandonarmi al pianto o mantenere viva la speranza. Cerco di resistere sempre, da sempre. Cerco di capire cosa possiamo fare e come possiamo agire noi singoli per non essere più tali e per fare in modo che la nostra azione sia utile. Come ritrovarsi e unirsi contro le guerre fratricide, quella contro i poveri, contro il pianeta, e tutte le altre guerre fatte di armi che alimentano le prime due. Ho necessità di dare un senso a questo mattone sul cuore e sullo stomaco. Non mi basta scendere ogni volta in piazza, dove mi pare che siam sempre troppo pochi. I nostri giovani bistrattati, e le loro Libertà e diritti, costruiti con lotte e fatica, che vengono cancellate e distrutte giorno per giorno. Dov’è l’Unione? Politica persa nell’egocentrismo incapace di lavorare per il bene comune, ed inerme pure contro il male dilagante. Resisterò e proverò ogni volta, partecipando ed essendoci. Partecipiamo tutti, per favore

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