Diuedonné è un comico francese antisemita.
Usa il linguaggio della satira per dire cose disturbanti, che in massima parte mi risultano irricevibili.
Anzi, mi fanno proprio incazzare.
Non mi fa ridere. Per i cultori del genere, mi sembra Martellone mandato a sbattere contro Mario Borghezio.
Qualche mese fa gli fu proibito di esibirsi in pubblico e pensai: “I francesi sono persone serie, ci sono limiti invalicabili”.
Ho cambiato idea.
L’ho cambiata questa mattina quando l’hanno arrestato.
L’accusa: ha fatto apologia di terrorismo pronunciando la frase “Je suis Charlie Coulybaly”.
Attenzione: il tizio in questione resta un orrendo coglione che si fa scudo con la questione palestinese per veicolare contenuti al confine col nazismo.
Ma se c’è una cosa che possiamo invidiare agli amici transalpini, da sempre, è il senso dell’opportunità.
Per quanto terrificante possa essere il suo dire, non si arresta un autore satirico a una settimana dalla strage di Charlie Hebdo.
Non è opportuno.
E’ il senso dell’opportunità è mobile. E (pazzesco) giustifica una tantum la peggiore delle malattie: il benaltrismo.
Non è opportuno fare orrende battute razziste su un palco.
Ma mettere al gabbio un comico per le sue enormità intacca quel senso di comunità laica cui ci siamo iscritti in questi giorni, grazie al martirio degli eroi disarmati di Charlie Hebdo.
Quindi è ancora meno opportuno.
Perché la libertà di espressione non è un club dal quale si possa entrare o uscire a seconda che l’interlocutore ci piaccia o no.
Altrimenti si rischia di essere come Sallusti, Salvini, Toti, la Santanché.
Hypocrite.
A me Dieudonné fa schifo.
Ma oggi #jesuischarliecoulibaly.