Non sono mai stato in Tunisia.
Mi piacerebbe andarci ora.
Avere il piccolo coraggio necessario.
Mi piacerebbe – di più – che una campagna d’opinione internazionale riempisse la Tunisia di turisti.
Mi piacerebbe che insieme, con un gesto concreto, rispedissimo al mittente la strategia rozza ma chiarissima dell’Is: uccidiamo la normalità per imporre la dittatura fondamentalista.
Al momento, è molto probabile che ci riescano.
L’ovvia reazione delle ambasciate, dei Ministeri dell’Interno, dei tour operator, è stata quella di avvisarci (ora: bravi) che quel luogo del mondo è pericoloso. Dunque è giusto stare a casa.
Ma così facendo abbandoneremo il bambino che barcolla sulla via della democrazia compiuta. E lo lasceremo in balia di chi i bambini li fa esplodere, li disprezza, come le donne, cui nega l’identità, come gli uomini di buona volontà, di tolleranza, chiunque preferisca la luce dell’imprevisto alle tenebre della certezza teocratica.
Andiamo in vacanza in Tunisia.
Andiamoci adesso. Compiamo un gesto non violento eppure fortissimo per contrastare chi spara agli indifesi.
Andiamo in Tunisia.
Cerchiamo le tracce dei berberi, dei romani, degli arabi, dei fenici, prima che qualcuno arrivi a ripulirle. Andiamo a inseguirle su una spiaggia, nel parco nazionale di Ickeul, tra le rovine di Cartagine, dentro un piatto che somiglia ai nostri e neppure siamo perché.
Andiamo in Tunisia. Magari da non soli. Magari in modo visibile, in tanti.
Visitiamola.
Prima che la Tunisia sia costretta a fuggire di casa.