Durante il pontificato di Benedetto XVI la Chiesa non era esattamente popolarissima. I testimoni di Geova, quando un cattolico gli suonava il campanello la domenica mattina, fingevano di non essere in casa.
L’ascesa di Papa Bergoglio ha sparigliato i santini, e oggi il successore di Pietro è un fenomenale pastore di anime e l’icona pop del nuovo millennio. Un comunicatore inimitabile che, senza intaccare i dogmi, ha riscritto la percezione di ciò che prima appariva un pachiderma addormentato slegato dalla società.
In questa ottica, la nota del cardinal Caffarra sui profughi, quella sulla necessità di assistere solo chi già si conosce, non può essere che manovra di riallineamento. Il tentativo di quello che i pubblicitari chiamano downgrade. La sassata in piccionaia per riequilibrare la luna di miele tra fedeli (ma anche no) e paramenti, e ricordare che non di solo Twitter vive l’uomo.
Certo: le cronache recenti raccontano di una frangia apertamente ostile a Francesco, cui non sarebbe estraneo anche il presule bolognese che ha vergato la piccola enciclica dell’accoglienza, sorta di “De rerum antiquarum”.
Ma da mangiapreti (e pure mangiabambini) mi rifiuto di crederlo. Preferisco pensare al perfetto accordo. Al gioco di squadra. Allo schema di cui sopra. Però.
Però, se c’è una cosa che persino gli anticlericali hanno sempre riconosciuto alla Chiesa è la diuturna assistenza a chi soffre. La Caritas dà gambe alla solidarietà ed è rispettata perché, tra l’altro, purtroppo, sgrava la coscienza di chi esprime vicinanza a parole ma poi non le abbina fatti concreti. Laico o religioso che sia.
Derubricarla a centro di accoglienza minore che identifica burocraticamente chi può essere aiutato (e chi no) rischia di rappresentare, oltre che un’aperta sfida alle parole universali del Papa, una vigorosa disillusione per chi immaginava un un entusiasmo morale condiviso tra laici e cattolici.
Un tizio importante (forse Fromm, forse Marcel Marceau) sperava in un mondo nel quale i cattolici vivessero come se Dio non esistesse e gli atei si comportassero come se ci fosse un Dio. Meglio se misericordioso.
Quindi, se quello di Sua Eminenza era marketing condiviso, rischia di essere controproducente.
A meno di non emendare quel bel libro che imparai a conoscere al catechismo. Forse ricordo male, ma non mi pare che le prime parole del buon samaritano fossero: “Documenti, prego”.
Uscito sul Corriere di Bologna