C’è un articolo di Michele Serra su Cuore che rappresentò per me una sorta di epifania della politica. O, almeno, di una mia personale concezione della politica.
Per questo lo cito spesso.
Risale, credo, al ’92.
Riguardava la scoperta delle tangenti nell’allora Pds e le risate sguaiate della Destra, che si faceva beffe della diversità altrui tanto sbandierata e, ora, violata.
Michele ammetteva di essersi fatto delle domande, nel momento di scoprire che anche la Sinistra rubava. Di essersi chiesto in primis chi gliel’avesse fatto fare di distribuire l’Unità, cuocere le salamelle alle feste, fare vita di sezione. Di, insomma, militare. Gratis.
E si rispondeva di averlo fatto per sé. Per le proprie idee.
Così, l’impatto con la triste realtà lo colpiva ma non lo uccideva.
In questi giorni quell’articolo mi è venuto in mente per due volte.
La prima, dopo i guai grillini a Palermo. Chi ha copiato – falsificato – le firme necessarie alle candidature ha commesso un reato. E chi lo difende a suon di benaltrismo ne è in qualche modo complice: la legalità a partiti alterni è il dato dell’italianità deteriore, di chi ha trovato in Grillo il modo di emendarsi da chi votava prima. Spesso i peggiori.
Ma sono certo ci sia anche un substrato dabbene, sebbene soverchiato da troll, haters, semplici paraculi, leader diventati soubrette, che ha creduto nel MoVimento come reale forza di pulizia. Molti di loro già ne sono usciti. Ma gli altri, oggi, si stanno facendo la stessa domanda: ma se siamo uguali a chi contestiamo, chi ce lo fa fare? E forse si rispondono che lo fanno per loro stessi. E stanno meglio.
La seconda, quando Renzi ha definito “accozzaglia” il fronte del No al referendum.
Non perché non lo sia (da Forza Nuova all’Anpi c’è una teoria multicolore nella quale una campagna così cruenta affonda giustamente il coltello) ma perché valuta il fronte avverso con una lente da politica 1.0.
Partitica.
Forse si rivelerà una strategia vincente, quella di paventare il diluvio di un governo Salvini-Grillo-D’Alema. Ma non tiene, scientemente, conto del dato che in un referendum è giocoforza far convergere le proprie convinzioni in due pentoloni – mi scuso per la metafora troppo tecnica – nei quali sobbollono insieme Gasparri e Civati, o Verdini e Chiamparino.
Così, definendo accozzaglia una fazione (con la consapevolezza che pure l’altra la è) si offendono di botto tutte le persone comuni cui è stato raccontato più volte come il referendum non sia una questione di bassa politica, ma un punto alto di cui, sembra incredibile anche a me, discutono con passione nei bar veri e in quel grande e malfamato caffè rappresentato dai social.
Oggi, caduti i partiti ottocenteschi, l’unica democrazia diretta, al netto della presa per i fondelli di Grillo, sono i comportamenti personali. Tra questi, un voto consapevole. Che non andrebbe deriso, mai.
Neanche quando viene da un’accozzaglia opposta alla tua.