Ieri ho scritto una cazzata sui social.
Mi capita.
Me la sono blandamente presa con i commentatori Sky che, all’atto di raccontare un’ottima gara della Ducati in MotoGp, mi pareva parlassero d’altro. Va detto che sono di Bologna, qui si gode poco e raramente per lo sport. Quindi avevo proiettato su di loro un eccesso di aspettativa. Però è vero che se quell’eccesso di aspettativa lo carichi su chi sta lavorando e prova a fare il meglio, magari combini qualche danno. Ho pur sempre, sembra impossibile anche a me, quei 140.000 e rotti follower. Guido Meda mi ha scritto una protesta così pacata in privato che mi sono sentito un coglione. Gli ho chiesto scusa pubblicamente e in privato. Bisognerebbe fare così.
Poi ho anche scritto una cosa in cui credo, e cioè che mi sto segnando nomi e indirizzi dei ristoratori che riapriranno in violazione delle leggi anti-Covid per essere certo di non andarci mai più quando tutto sarà passato e, finalmente, rialzeranno le saracinesche anche i loro colleghi che hanno rispettato le regole e che quindi, un po’ come quando paghi le tasse e gli altri no, stanno per subirne la concorrenza sleale.
Il tweet era ovviamente una sintesi, ma mi rappresentava. E no, non chiedo scusa. Nemmeno dopo che si è avventata su di me una shitstorm (nulla di eroico, sui social succede) di bandierini e altre figure dello stesso circondario, unite nel darmi – invento ora il neologismo – del culocaldista. Cioè del proscrittore col posto garantito che se la prende coi poveri ristoratori.
Se mi è concesso un francesismo: col cazzo. Doppio. Il primo è che non sono un culocaldista, non godendo di posto fisso da oltre vent’anni. E avendone lasciati alcuni in modo pure piuttosto traumatico.
Il secondo è che gli avversari dei poveri ristoratori siete voi. O almeno della loro frangia più civile. Che ha attraversato quest’anno di malattia, regole confuse, ristori quando capitava, tenendo dritta la barra della legalità. È loro, quando mi scrivete che dovrei scopare di più (ormai…) che state insultando. È l’Italia migliore. Quella che prova sempre e comunque a pagare le tasse. Quella che prova sempre e comunque a rispettare non solo due regole ma anche e soprattutto la comunità di cui fa parte. Con atti concreti. Onorando il patto a costo di soffrirne (o addirittura di morirne, commercialmente) e cercando di difendere la salute di tutti.
Destra e sinistra saranno concetti superati ma non è un caso che quella Destra – la stessa che oggi Galli della Loggia definisce moderna, sul Corriere – sia un po’ sempre la stessa: regole e disciplina ma solo per gli altri. Ché per quel che riguarda me, ci penso io. Una Destra che ha spinto per dare i ristori anche a chi non ne aveva diritto perché, ohibò, si calcolano su quanto si è dichiarato. Quella Destra per cui un senegalese che vende collanine no, ma il ristorante stellato che apre nonostante sia vietato, sì.
Tra l’altro il mio tweet, e questo commentino, poggiano sul libero arbitrio, mica sul comunismo.
È il mercato. E se c’è un mercato per chi aprirà le proprie cucine su base ideologica, e avrà certamente i tavoli pieni, esiste ancora un mercato residuale che premierà chi ha provato a essere un cittadino come tutti gli altri, quelli che hanno perso il lavoro in molti campi, ad esempio cultura e spettacoli, e non hanno la possibilità di riaprire anarchicamente alcunché.
Ecco: facciamo così. Siccome a quelli che fanno le liste di proscrizione piacciono solo le proprie, e tacciano di averle stilate chi ha semplicemente espresso una propria preferenza commerciale, giriamola così: io, a lockdown finito, andrò SOLO da ristoratori che abbiano condiviso con tutti noi la fatica di affrontare un anno terribile nel rispetto delle leggi. E invito chiunque a fare lo stesso.
Chiamiamole, se volete, liste di prescrizione. Quelle dei ristoratori gentili, che hanno sofferto come gli altri dei ritardi dello Stato e ora si ritrovano con le pugnalate dei loro colleghi. E col rischio che salti un minimo patto civile sotto le macerie del quale finiremmo tutti insieme.
Viva loro.
Ah, e ancora uno “scusami” a Meda e al suo collega.