Mi sono tenuto l’episodio per il dopo-vacanze, perché non ero neppure sicuro di raccontarlo. Ma siccome c’è in giro anche nel cosiddetto Centro chi teme più l’Irpef che i fan di Benito, vi ruberò qualche secondo.
Muggia, una decina di giorni fa.
C’ero stato ai tempi del libro “Tutti al mare vent’anni dopo” e mi pareva un posto molto ospitale. Mi avevano messo pure il Pastis a due euro, regalandomi l’elettricità per scrivere l’ultimo pezzo della serie, che veniva pubblicata su l’Unità.
Nel frattempo è passato un ventennio, nello stesso bar il pastis non c’era più, ma soprattutto non molto lontano c’è una farmacia. Quella del dottor *****, come da inappuntabile pin sul camice bianco. Che noterò a buriana finita, ragionando sull’ironia involontaria dei dettagli.
Entro in quella farmacia per comprare un cerotto, serve a mia figlia per il suo bel nasino. Ci son un paio di clienti e uno lo sta servendo proprio il dottor *****. Cercherò di trattenermi, nel descriverlo, da dettagli che potrebbero indulgere al body shaming: un nano di merda. Non proprio nano, diciamo sul metro e sessanta. E grasso. E brutto. Ovviamente questi aspetti sarebbero del tutto trascurabili (non che io sia slanciato, e sono grasso, e sono brutto) se il figuro non fosse completamente vestito di nero, con le braccia istoriate di tatuaggi tra i quali spiccano: una croce celtica, un’enorme svastica, l’ascia bipenne di Ordine Nuovo, ossia l’organizzazione che con ogni probabilità ha macellato 85 persone vicino a casa mia, in stazione. Un’ascia bipenne, per la precisione, in campo bianco su bandiera rossa.
Un nazista del cazzo. O un wannabe nazista. Comunque del cazzo.
E qui comincio a sbagliare. Perché, dopo aver chiesto i cerotti, piccoli, mi va il sangue alla testa. E perché, soprattutto, cerco un minimo di complicità negli astanti. “Roba da matti”, sussurro. “La svastica, ma come si fa”. Silenzio. La farmacista, che comprende il possibile casino, mi sollecita: allora, come li vuole i cerotti? Ripeto: “Piccoli”. Mi dice che piccoli non li ha, quasi a volermi accompagnare fuori: “Solo scatole complete. Allora?”. Le chiedo il tempo di calmarmi.
Poi mi avvicino al nano di merda e gli dico, sorridendo: “Sa una cosa?”. Sorride anche lui, non ha ancora colto. Continuo: “Mio padre fu mandato in un campo di concentramento dal tizio che lei esalta. Spero si reincarni in un piccione e gliela faccia in testa”. Risposta: “Il mio è stato cinque anni prigioniero degli inglesi”. Al netto dell’informazione spiazzante (siamo così scarsi da farci catturare la gente a guerra appena iniziata?), è il momento che entri in scena il dottor *****.
Che mi intima: “O compra o se ne va”.
Gli dico: “Ma le sembra normale una cosa del genere?”. Il dottor *****– un uomo elegante, ben vestito, barba curata, sui quaranta/cinquanta portati con italica fierezza – mi spiega che noi comunisti dobbiamo smetterla, poi alza la voce e mi intima nuovamente di andarmene. Gli rispondo che il contrario di fascismo è democrazia, non comunismo. Il dottor *****, sempre più alterato, mi informa urlando che in Italia non c’è democrazia. E mi dice che se non me ne vado chiama i carabinieri. Rispondo di chiamarli, così posso fare una bella denuncia per apologia di fascismo e nazismo. Abbozza. Ma subito dopo ricomincia a urlarmi che devo andare.
E qui sbaglio di nuovo, perché è da mentecatti rispondere “Sennò cosa fai?” a uno che ti provoca e sta difendendo un nazistello. Ma rispondo: “Sennò cosa fai?”. Il dottor ***** abbandona il bancone per passare a vie di fatto ma viene fermato dalla collega. Al che, al culmine degli errori che ho commesso, abbandono il campo, nel silenzio dei due clienti presenti, non prima di aver definito “botolo di merda” il tizio, che in tutto questo è sempre stato immobile e spaventato dal contesto, e “fascisti di merda” lui e il dottore.
Indi, riprendo le mie vacanze.
Ripeto: ho proprio sbagliato. Soprattutto perché prima o poi qualcuno mi mena. Come il tizio che ad Ascoli, dopo che avevo presentato il libro di Ermal Meta, in un’osteria di fianco al teatro, si presentò ai commensali facendo il saluto romano. Accolto dagli applausi. Quello non era neanche un nano di merda, ma un pelatone discretamente fisicato, cui mi avvicinai dicendo che mio padre purtroppo non poteva essere presente, altrimenti gli avrebbe detto di infilarsi quel braccio nel culo. Stranamente, farfugliò qualcosa e mi lasciò andare. Forse era seduto tra il pubblico poco prima, chissà. Perché questa è gente normale, che in democrazia è solo relativamente pericolosa. Ma che in fondo sarebbe felice se in democrazia non fossimo più, cresciuta com’è in quarant’anni di rimozione e derisione di chi salvò il nostro onore di camerieri del Führer. Con la Resistenza.
Gente che esiste, vota, e tra un mesetto – a ragione o no – si sentirà vincitrice e chiederà a chi governa di sollevarci dal giogo del regime comunista.
Sarebbe bello che i vincitori non soffiassero sul fuoco. Foss’anco una fiamma. Chissà se accadrà.
In ogni caso, colgo l’occasione per scusarmi pubblicamente col dottor ***** e col nano di merda.
A presto.