Di farmacisti, botoli fascisti, e altri pasticci

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Al giudice il 29enne ha detto di non avere una “spiegazione ragionevole” di  ciò che aveva fatto
Una svastica tatuata su un prepuzio

Mi sono tenuto l’episodio per il dopo-vacanze, perché non ero neppure sicuro di raccontarlo. Ma siccome c’è in giro anche nel cosiddetto Centro chi teme più l’Irpef che i fan di Benito, vi ruberò qualche secondo.

Muggia, una decina di giorni fa.

C’ero stato ai tempi del libro “Tutti al mare vent’anni dopo” e mi pareva un posto molto ospitale. Mi avevano messo pure il Pastis a due euro, regalandomi l’elettricità per scrivere l’ultimo pezzo della serie, che veniva pubblicata su l’Unità.

Nel frattempo è passato un ventennio, nello stesso bar il pastis non c’era più, ma soprattutto non molto lontano c’è una farmacia. Quella del dottor *****, come da inappuntabile pin sul camice bianco. Che noterò a buriana finita, ragionando sull’ironia involontaria dei dettagli.

Entro in quella farmacia per comprare un cerotto, serve a mia figlia per il suo bel nasino. Ci son un paio di clienti e uno lo sta servendo proprio il dottor *****. Cercherò di trattenermi, nel descriverlo, da dettagli che potrebbero indulgere al body shaming: un nano di merda. Non proprio nano, diciamo sul metro e sessanta. E grasso. E brutto. Ovviamente questi aspetti sarebbero del tutto trascurabili (non che io sia slanciato, e sono grasso, e sono brutto) se il figuro non fosse completamente vestito di nero, con le braccia istoriate di tatuaggi tra i quali spiccano: una croce celtica, un’enorme svastica, l’ascia bipenne di Ordine Nuovo, ossia l’organizzazione che con ogni probabilità ha macellato 85 persone vicino a casa mia, in stazione. Un’ascia bipenne, per la precisione, in campo bianco su bandiera rossa.

Un nazista del cazzo. O un wannabe nazista. Comunque del cazzo.

File:Flag of Ordine Nuovo.svg - Wikipedia
L’accattivante logo di Ordine Nuovo

E qui comincio a sbagliare. Perché, dopo aver chiesto i cerotti, piccoli, mi va il sangue alla testa. E perché, soprattutto, cerco un minimo di complicità negli astanti. “Roba da matti”, sussurro. “La svastica, ma come si fa”. Silenzio. La farmacista, che comprende il possibile casino, mi sollecita: allora, come li vuole i cerotti? Ripeto: “Piccoli”. Mi dice che piccoli non li ha, quasi a volermi accompagnare fuori: “Solo scatole complete. Allora?”. Le chiedo il tempo di calmarmi.

Poi mi avvicino al nano di merda e gli dico, sorridendo: “Sa una cosa?”. Sorride anche lui, non ha ancora colto. Continuo: “Mio padre fu mandato in un campo di concentramento dal tizio che lei esalta. Spero si reincarni in un piccione e gliela faccia in testa”. Risposta: “Il mio è stato cinque anni prigioniero degli inglesi”. Al netto dell’informazione spiazzante (siamo così scarsi da farci catturare la gente a guerra appena iniziata?), è il momento che entri in scena il dottor *****.

Che mi intima: “O compra o se ne va”.

OLIO DI RICINO - Spezierie Palazzo Vecchio
Un noto preparato galenico in voga durante il Ventennio

Gli dico: “Ma le sembra normale una cosa del genere?”. Il dottor *****– un uomo elegante, ben vestito, barba curata, sui quaranta/cinquanta portati con italica fierezza – mi spiega che noi comunisti dobbiamo smetterla, poi alza la voce e mi intima nuovamente di andarmene. Gli rispondo che il contrario di fascismo è democrazia, non comunismo. Il dottor *****, sempre più alterato, mi informa urlando che in Italia non c’è democrazia. E mi dice che se non me ne vado chiama i carabinieri. Rispondo di chiamarli, così posso fare una bella denuncia per apologia di fascismo e nazismo. Abbozza. Ma subito dopo ricomincia a urlarmi che devo andare.

E qui sbaglio di nuovo, perché è da mentecatti rispondere “Sennò cosa fai?” a uno che ti provoca e sta difendendo un nazistello. Ma rispondo: “Sennò cosa fai?”. Il dottor ***** abbandona il bancone per passare a vie di fatto ma viene fermato dalla collega. Al che, al culmine degli errori che ho commesso, abbandono il campo, nel silenzio dei due clienti presenti, non prima di aver definito “botolo di merda” il tizio, che in tutto questo è sempre stato immobile e spaventato dal contesto, e “fascisti di merda” lui e il dottore.

Indi, riprendo le mie vacanze.

Benito Mussolini - Wikipedia
L’uomo a causa del quale mio padre s’è fatto due anni in un lager nazista

Ripeto: ho proprio sbagliato. Soprattutto perché prima o poi qualcuno mi mena. Come il tizio che ad Ascoli, dopo che avevo presentato il libro di Ermal Meta, in un’osteria di fianco al teatro, si presentò ai commensali facendo il saluto romano. Accolto dagli applausi. Quello non era neanche un nano di merda, ma un pelatone discretamente fisicato, cui mi avvicinai dicendo che mio padre purtroppo non poteva essere presente, altrimenti gli avrebbe detto di infilarsi quel braccio nel culo. Stranamente, farfugliò qualcosa e mi lasciò andare. Forse era seduto tra il pubblico poco prima, chissà. Perché questa è gente normale, che in democrazia è solo relativamente pericolosa. Ma che in fondo sarebbe felice se in democrazia non fossimo più, cresciuta com’è in quarant’anni di rimozione e derisione di chi salvò il nostro onore di camerieri del Führer. Con la Resistenza.

Gente che esiste, vota, e tra un mesetto – a ragione o no – si sentirà vincitrice e chiederà a chi governa di sollevarci dal giogo del regime comunista.

Sarebbe bello che i vincitori non soffiassero sul fuoco. Foss’anco una fiamma. Chissà se accadrà.

In ogni caso, colgo l’occasione per scusarmi pubblicamente col dottor ***** e col nano di merda.

A presto.

Il Pd e gli estremisti di Centro: un pippone

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Al netto delle motivazioni certamente ottime per cui Carlo Calenda si alleerà con Matteo Renzi, cui fino a dieci secondi fa scriveva “fesso” sulla fiancata dell’auto con un punteruolo, l’incedere della campagna elettorale, sua e di altri, pone un problema lessicale su un tema specifico: l’estremismo.

Calenda mollerà il Pd usando come casus belli la possibile presenza, nelle liste collegate ai democratici, di due avversari che considera appunto estremisti: Sinistra Italiana e Verdi. Che sono partiti ma anche parole. Impronunciabili.

Calenda annuncia il 'patto repubblicano'. Gelmini, ex FI: “Io ci sono,  vediamoci” - Corriere Etneo
Carlo Calenda in visita al tunnel del Gran Sasso

Sinistra Italiana, è innegabile, contiene il termine Sinistra. Diventato ormai, in questo Paese, sinonimo di esproprio proletario. Basti pensare che discutiamo da due giorni sulla cosiddetta Patrimoniale proposta da Enrico Letta, che non è una patrimoniale ma un contributo, sulla sola successione, e solo da parte degli italiani straricchi, da destinare a chi, per colpa della mia generazione e di quelle precedenti, si affaccia alla vita senza difesa alcuna: i nostri giovani. È un mandato della Costituzione, la progressività delle imposte. Eppure, nel comune sentire, nel racconto politico, nel giudizio sprezzante del Centro, certe cose non vanno nemmeno pensate. Figurarsi dirle. Renzi ha twittato ghignante che “bisogna morire gratis”. Il passo successivo è un cavallo di battaglia del suo alter ego leghista: la flat tax. Che è contro la Carta e non si potrà mai fare. Ma di quella, parlare si può.

A Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, che fino a ieri conoscevamo in quattro, compreso Fratoianni, Calenda imputa di aver votato contro il Governo Draghi. Cioè di aver pigolato un messaggio identitario, di equità, all’interno dell’unanimità altrui. Quattro cose, sempre le stesse, che non prevedono l’invasione dell’Ungheria ma che, ad esempio, premevano ché Draghi confermasse la tassa sugli extraprofitti derivanti dalla guerra (Eni: lo Stato ne avrebbe ricavato tre miliardi). Cancellata, ovviamente.

Il vino al veleno di Stalin - Il Sole 24 ORE
Nicola Fratoianni

Che Azione contribuisca alla narrazione vincente per cui i poveri devono limitarsi a invidiare i ricchi, a votarli, e a odiarsi tra loro, è del tutto legittimo. È il brodo di coltura in cui siamo immersi dal ’94, il conflitto d’interessi che si è mangiato il conflitto di classe, e ne siamo tutti permeati. Anzi: l’abbiamo esportato nel mondo. Ma il dato è che non tutti gli “estremismi” sono uguali: mentre la cosiddetta Destra Sociale sta per governare il Paese, il Centro mette il veto alla Sinistra Sociale.

In verità, Fratoianni ha risposto al diktat di Calenda – “Non candidatelo nel maggioritario” – in modo spiazzante: “Va bene”. Il che collide un po’ con la narrazione radicalissima cui è soggetto però, con quel simbolo rosso così sospetto, non lo dispensa dall’accusa di bolscevismo. La provocazione di assentire alle richieste altrui potrebbe essere uno dei soliti bizantinismi comunisti.

Ma se la Sinistra rappresenta una specie di mirino per i centristi assoluti, l’ostracismo per i Verdi parrebbe, a un primo e sommario esame, meno spendibile. Perché è vero che gli ambientalisti italiani hanno sempre trovato spazio nel cosiddetto campo progressista, ma attengono da sempre anche al mondo radicale, libertario, vicino più alla Bonino che alla cosiddetta sinistra radicale, dove per sinistra radicale si intende chiunque si opponga allo ius primae noctis. Trattasi di tema universale che tra l’altro porta pure denari a chi riconverte – c’era persino un ministro contro la transizione ecologica, all’ultimo giro – e voti da addirittura due categorie di elettori: chi ha a cuore l’universo mondo, e chi ha a cuore il proprio giardino.

Heidi: dietro le quinte di un mito svizzero | House of Switzerland
Angelo Bonelli

Eppure anche questo tema, presente in tutte le democrazie del mondo, specie le più evolute, da noi risulta appunto estremista. Ci si chiede se vogliamo i condizionatori o la guerra invece di chiederci se vogliamo i condizionatori o temperature per cui non basteranno più manco i condizionatori. Da noi i moderati irridono i gretini, comunicando soprattutto ai più giovani che non c’è benessere senza distruzione dell’ambiente. Tanto – semplifico, ma mica poi troppo – sono affari di chi viene dopo. Un disastro culturale che irride l’idealismo dei giovani. I quali, ammesso che non cedano alla vulgata, si ritrovano davanti a due alternative: non votare, andarsene. E spesso fanno entrambe le cose.

Concludo il ragionamento citando un mio vecchio maestro, Michele Serra, irriso dalla Destra allorquando anche il Pds venne preso con le mani (due dita, va’) nella marmellata di Mani Pulite. Gli chiedevano per chi l’avesse fatto, di spendersi per un partito che era uguale agli altri. Michele rispose che l’aveva fatto per sé stesso, di girare le salamelle alla Festa de l’Unità. E gli bastava. Credo che analogo ragionamento andrebbe fatto nei confronti della ridotta elettorale pentastellata. Al netto di una classe dirigente disperante, anche quella che se n’è andata, anche quella transfuga con cui il Pd sta ragionando sui collegi, sicuri o no, c’è un 11 per cento residuo che è arrivato a casa di Grillo perché deluso dall’ignavia della sinistra riformista. È lì rimane. Confusamente, ma chi non lo è. Gente che, basta leggere i social, non si capacita realmente della porta presa in faccia dal loro partito (e di motivi ce ne sono, primo tra tutti l’insipienza di Conte) e che vede nel Pd la sponda fisiologica alla ricerca di una parcellare giustizia sociale.

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Giuseppe Conte regge un foglio che non ha letto

Il repulisti di Grillo ha tolto di mezzo molti scappati di casa. Gli altri sono andati con Di Maio. Conte non può imbarcare Di Battista per ovvi motivi. Il centro alza barricate. Il quadro, insomma, pare molto fluido.

Uno come me, che col populismo ha incrociato e incrocerà i guantoni per sempre, coi vertici pentastellati farebbe fatica a condividere un piatto di lasagne. Ma siccome il percorso calendiano ricorda molto quello di Conte con  Draghi – alzare la posta per rompere – il Partito Democratico pare essere a un bivio: ritrovarsi in pancia chi lo eterodirige da tempo, e lo aveva portato sull’orlo dell’estinzione, o ritentare una sintesi, anche speculativa, con una platea elettorale che gli somiglia, e con un tizio che pur di restare al Governo ha dimostrato di potersi alleare praticamente con chiunque.

Nulla di esaltante. Ma siccome lo scenario, al momento, sembra quello di decidere da chi farsi ricattare, tenere accesi i due forni ancora per un po’ significherebbe riprendere in mano il gioco, e ribaltarlo, da partito di maggioranza.

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Da moderati veri, da punto di equilibrio, rivendicando come tratto fondante, centrale, proprio il senso delle istituzioni che in tutti questi anni ha abraso l’identità riformista del fu Partitone. Quel 23% somiglia al 40 di Renzi: è un bene rifugio. Per non disperderlo, o addirittura per farlo crescere, occorrerebbe riprendere in mano il pallino. Col programma in una mano, la calcolatrice nell’altro. Tanto, comunque vada, i centristi decideranno con chi stare – orbitare a sinistra, o scalare Forza Italia con ottime possibilità di successo – soltanto dopo.  

Tanto vale, forse, assecondarli. E lasciarli marciare da soli.

Buona prosecuzione.