
Tommaso Longobardi viene dalla Casaleggio Associati. Anche per questo, è bravissimo. Anni di training nelle tecniche di distrazione delle masse, da quando l’antica grilleria del corso diffondeva (fatturando) tonnellate di balle russe sui siti Fucine e TzéTzé. Oggi quei siti di “informazione” rivivono in canali televisivi come Byoblu, di Claudio Messora, naturalmente ex pentastellato pure lui, più o meno con le stesse posizioni moscovite, novax, e via complottando. Anche lì, introitando assai.
I portali del depistaggio sono invece scomparsi dal web meglio di una traccia della mano di Andrea Sempio. Ma la tecnica rimane. Quella del “giornalista del giorno”, del “satiro del giorno”, del “politico del giorno”. Sempre un nuovo bersaglio da additare a una platea ogni volta più ideologica, incattivita, ribollente di rancore. Una tecnica che ha in qualche modo preceduto la comunicazione trumpista: i social italiani stanno al Maga (e a tutte, nessuna esclusa, le campagne dell’estrema Destra europea) come le tv di Berlusconi stanno a Fox News.
Da qualche anno, Longobardi si è ripreso tutto quello che era suo e che Luca Morisi, l’inventore della Bestia salviniana, gli aveva in qualche modo usurpato. Morisi portò un partito morente dal 4 al 30% senza nemmeno passare per gli inventori del MoVimento Cinque Stelle. Longobardi ha fatto lo stesso. Terminando la riscrittura della propaganda II.0, dove i social sono diventati un terreno di battaglia in cui l’indicazione del nemico è una costante. L’odio virtuale si compatta e diventa concreto. Si fa programma politico e tutto investe, tutto peggiora. Oppositori compresi.

Recentemente il MinCulPop meloniano è passato nelle mani dei giovanotti di Atreju, i fan di Steve Bannon che fino a poc’anzi postavano la loro “satira” contro i “sinistri” sui loro account, e che ora utilizzano gli stessi stilemi direttamente del partito di Governo. Danno del mafioso a Roberto Saviano, postano foto mortificanti di Elly Schlein, attaccano gli attori dissidenti a botte di un post all’ora, ripetono per filo e per segno, in un lavoro sinergico e capillare, il linguaggio speculare e violentissimo dei giornali di partito. Anzi: di due partiti, ché il senatore Angelucci, recordman di assenze governative, editore ufficialmente leghista, è da tempo in prestito a Meloni con diritto di riscatto (che paghiamo noi, con le nostre tasse). A lui, ai suoi titoli, a gente che poi si riallaccia il nodo alla cravatta e va in tv a commentare – quasi – compita, si deve l’abbecedario che marcia compatto: le donne strillano, la Destra asfalta, la sinistra complotta. Un mondo fatato in cui l’esangue Pd e le BR sono la stessa cosa. O forse no: le BR, ai comunisti, sparavano contro.
Poi, naturalmente, c’è Rete 4.
E il cerchio si chiude.
La lunga premessa serve a inquadrare le “minacce” alla figlia di Giorgia Meloni e al figlio di Matteo Salvini, che giusto ieri ha ripostato una foto di Ilaria Salis in bikini (diceva che va al mare una settimana prima, ché la prossima andrà a votare) scatenandole addosso una betoniera di liquido organico.

Le parti in commedia ci sono tutte. A partire da un imbecille col botto, chiedo scusa per la parola “botto”, ossia il professore che ha pubblicamente augurato a Meloni junior una morte violenta. La sua pagina Facebook ospita squinternate osservazioni politiche e inviti ad adottare cani. Non per generalizzare, ma spesso chi esagera coi cuccioli sembra pronto a imbracciare armi da guerra. A destra di solito preferiscono i gattini.
Egli, il professore pazzo, è l’oppositore da sogno di qualunque governo alla ricerca di una torsione autoritaria. Figlio dei quarant’anni di guerra civile macchiettistica nella quale siamo stati immersi prima dalle tv, ora dai social. Più le tv. Più i giornali. Tutti insieme. Leone da tastiera allo stato puro, che infatti ha chiesto scusa non appena identificato. E questo persino prima che un ex Dc come coso, Rotondi, quello, ne chiedessero il licenziamento dal MIUR perché “querelare non serve”. Invece servirebbe, per lasciare decidere ai giudici. Mantenere la separazione dei poteri. Evitare le “punizioni esemplari” proprio come ha richiesto sempre coso. Tanto più che questa maggioranza denuncia ogni giorno le voci critiche, a manca e a manca.

Ora però attenzione alle date. Venerdì, l’account ufficiale di FDI posta un grottesco video propagandistico in cui ChatGpt difende il decreto sicurezza, spiega che la sinistra difende i ladri, propone una foto di Giorgia Meloni come unica salvezza per il Paese. Tecnicamente è fatto benissimo. Il contenuto è surreale, ma si tratta esattamente di quello che lo stesso account dice tutti i giorni. E uno dei problemi della vera AI è proprio che a volte ti risponde proprio ciò che vuoi sentire. Quindi, per un certo pubblico, quel post è credibilissimo.
Di più: il giornale di Bocchino dà la notizia per vera, a testimonianza dell’obiettivo iniziale: disinformare, scientemente. Peraltro disprezzando il Q.I. dei propri elettori.
La vicenda guadagna una minima notorietà: come può un account di Governo spacciare una sostanza tossica del genere? Nel frattempo, i referendum si avvicinano, falliranno ma – forse – meno sonoramente dell’Inter a Monaco, gli ultimi sondaggi dicono che l’Armata Brancaleone del centro-sinistra ha appaiato la Destra di Governo e, imbarcando pure Bibì Calenda e Bibò Renzi sarebbe addirittura sopra di sei punti. Intanto, il Governo è sceso al 40 per cento di gradimento, Salvini dà di matto un giorno sì e l’altro pure, Forza Italia scalcia (pur mantenendo le pattine e il blazer).

Quello che segue è un come un sottopancia di “Dritto e Rovescio”: totalmente inventato. Ma piace pensare che, venerdì sera, gli amici di Tommaso, chiamino lo zio e chiedano: ma se trovassimo un pirlone sui social per sparare un bel po’ di fumo? Detto, fatto. Una solenne minchiata in un remoto post diventa una campagna social, amplificata dal battito d’ali degli Angelucci, ripresa anche dai cosiddetti giornaloni che su certe frequenze non capiscono, o sono pigri, o entrambe le cose. La fantomatica “sinistra” che va dai nostalgici della Lotta Armata a Calenda, viene inchiodata alle proprie responsabilità. L’opposizione, nel racconto, diventa una manica di facinorosi, rancorosi, potenziali terroristi. Meloni denuncia il clima “tossico”. Il dibattito politico scende un altro gradino, la ricerca dello scontro sociale ne aggiunge un altro, in forma di un nuovo nemico, per compattare le truppe di chi ci comanda.
E così, come nel cielo del megadirettore galattico di Fantozzi, una scritta si compone nel cielo: “Indignazione”. A comando. In malafede. L’ha scritta a mano proprio lui, Tommaso. Quello di cento righe fa. O uno dei suoi alacri discepoli. Quando dicevo che è un maestro della comunicazione. Per questo, facciamo come un qualunque editorialista italiano: inchiniamoci.

E tanto di cappella.