Un’analisi naïf della piazza “proPal” di ieri, con una buona dose di velleitarismo in omaggio. Enjoy.

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Tentare un’analisi non tifosa della manifestazione di ieri è un’impresa ardua, ma perché non provarci? Con tutto il rumore che c’è intorno, ragionare a giochi fatti può ancora avere un senso. Forse.

Vediamo. Primo punto: il “divieto” di Piantedosi non ha mai avuto nulla a che fare con l’ordine pubblico.

Il prefetto Piantedosi dopo aver saputo che in realtà il Ministro è sempre Salvini

Serviva, e c’è riuscito perfettamente, a far passare l’idea che i “pro-pal” moderati, quelli per cui Israele certo che deve esistere, il 7 ottobre certo che è stato un pogrom agghiacciante, l’antisemitismo mai e poi mai, però non è che si possa tenere tutta la Palestina in un campo di concentramento e fare strage di bambini, ora anche in Libano, per la carriera politica di Netanyahu… a suggerire l’idea, dicevo, che un minimo di contestualizzazione li (e ci) apparenti ai tizi che sfilano inneggiando alla Shoah.

Punto secondo: in piazza c’era tanto letame ideologico.

Elly Schlein sul Giornale dei Giusti, quello che dà patenti di antesemitismo agli altri

C’erano l’estrema sinistra che nulla ha a che fare col centro-sinistra moderato, dunque è inutile che si chieda a Schlein, una che è stata accolta facendone notare il naso camuso, di dissociarsi. Dissociarsi da cosa? Quelli sono suoi nemici, sono nemici di una sinistra liberale, erano in piazza contro di lei e contro tutti noi che cerchiamo di dare al nostro confuso essere progressisti una prospettiva, da sconfitti totali quali, al momento, siamo.

Un simpatico travestimento del sottosegretario Bignami (a destra)

Punto terzo: in quel materiale organico che inneggiava alla strage di giovani inermi, quella di un anno fa, spiccava l’estrema destra che vede nella destra di Governo, allo stesso modo, un nemico, ancorché si guardi bene dal contrastarla, scioglierla, sgomberarne le sedi. Ma c’è un ma: la “conversione” del partito che sta a palazzo Chigi è recente, di comodo, un po’ come l’atlantismo meloniano che viene dopo decenni di guerra alle “plutocrazie”, inserita in un contesto (l’antimondialismo) che rappresentava la versione neofascista dei no-global. I primi, in divisa, hanno fatto sparire i secondi, a Genova, vent’anni fa, a suon di botte. Ora governano, ma nelle chat, sui social, nei consigli comunali, restano quelli: inni al Duce, a Hitler, all’Asse (non quello del water, anche se gli somiglia).

Punto quarto, e ultimo. Può darsi che il punto terzo sia sbagliato, frutto dell’imprinting progressista, addirittura post comunista (italiano), dello scrivano cui si devono queste righe. Così fosse, l’Italia avrebbe da trovare una posizione originale nella confusione che circonda la questione Medio-Orientale. Qualcosa per cui, ovvio, sacrosanto, l’Iran è uno Stato canaglia, la teocrazia cui abbiamo lasciato violentare una generazione che vuole cambiamento, parità di genere, libertà. Certo, il Libano non è il miglior vicino del mondo ma bombardarlo significa creare nuovi jihadisti. Certo, Hamas è il peggio e rivedere le immagini del 7 ottobre è una ferita, profonda, ogni volta, ma quello che stanno subendo i palestinesi innocenti è terribile e, oltretutto, controproducente.

Bill Clinton insieme a due pericolosi semiti

La sovrapposizione tra l’invasione russa dell’Ucraina e quello che sta combinando Netanyahu sono un cavallo di battaglia dei liberali alle vongole (liberisti al curaro, in realtà) ma la situazione è profondamente diversa. Nel primo caso, trattare la pace, ora, significherebbe dare alla prepotenza putiniana il sigillo della comunità internazionale. In Palestina, riaprire un canale di dialogo è necessario: anche il tremebondo Biden, con le sue balbuzie, ha cercato di farlo capire. Ignorato da quel losco figuro che governa Israele: corrotto, autoritario, criminale di guerra.

Rabin e Arafat, entrambi uccisi, erano riusciti a trovare una sintesi per dare ai due popoli (semiti, entrambi) una prospettiva di pace. Oggi ci sembra impossibile, assiepati in curva come siamo. Ma Netanyahu non è Israele, Hamas non è – ancora – la Palestina. Gli uomini di buona volontà (e così abbiamo rimesso insieme muro del pianto, calvario e spianata delle moschee che a Gerusalemme stanno praticamente nello stesso posto), dovrebbero impegnarsi per questo.

Stefano Benni diceva, e temo abbia ragione, che Dio (o Allah) farebbe meglio a non esistere. Ci farebbe una figura migliore. Proprio perché sono ateo, mi permetto di sperare. Nella fine delle guerre sante. O almeno, intanto, che da queste parti la si pianti di fare gli ultrà. Forse, più facile la prima.

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