Con Matteo Salvini credo di aver incrociato le lame per la prima volta nel 1999, quando avevo una rubrichetta su Specchio della Stampa sotto la direzione di Massimo Gramellini. Non ricordo neanche cos’avessi detto su di lui, ma ricordo che mi rispose per iscritto con una battuta, qualcosa del tipo “vediamoci per bere un bicchiere di rosso”. La battuta, conciliante, stava nel fatto che il rosso ero io. Le risate.
E’ umorismo padano. Me la fece tal quale Luigi Crespi, il sondaggista amico di Silvio, in un ufficio Rai nel quale stavano casualmente per affidargli un botto di ricerche pagate coi soldi pubblici. Ero lì per capire se sarebbero state usate anche nel Dopofestival di cui avrei fatto l’autore. C’era anche un funzionario di viale Mazzini, glielo presentarono solo a fine riunione. Si chiamava Bianco. “Io sono Bianco”, disse. E Crespi, dopo, stringendo la mia mano: “Tu invece devi essere rosso”. Mi vestivo e mi vesto come in un outlet albanese dei tempi di Hoxha: m’aveva sgamato così.
La lunga digressione ha un obiettivo di contestualizzazione storica: c’è stato un tempo in cui eravamo innocenti – Crespi, in seguito, sicuramente no – e le battute, anche scadenti, erano battute. Salvini era un Trota appena più brillante e se ne stava nelle acque profonde mentre Bossi saettava promesse secessioniste, Maroni si faceva fotografare mentre leggeva l’Unità (per il verso giusto: pazzesco), Boso imitava Obelix, la Pivetti imitava prima Santa Maria Goretti e poi Sukia. Per convenzione facevamo finta di credere che esistessero davvero i 300.000 bergamaschi armati e che davvero Rho volesse andarsene in Europa da sola, una villetta a schiera alla volta, ma sapevamo tutti, soprattutto loro, che l’obiettivo ultimo era trombarsi una valletta bona e spostare il rutto libero dalla Berghém fest al privée di Fortunato al Pantheon.
Lo sapeva anche Salvini, che per uno scherzo del destino oggi guida il Carroccio e non un Doblò che distribuisce felpe. Per illustrarne il peso specifico, ricorrerò a un paragone calcistico, così lo capisce anche lui: avete presente gli squadroni della serie A italiana quando giocano le Coppe? Improvvisamente diventano pippe micidiali e passano il tempo a piangere con gli arbitri che nemmeno l’Ascoli contro il Real Madrid. Perché in Europa, ecco cosa, improvvisamente ti ritrovi nudo. Ti giudicano per quello che sei. Vinci o perdi senza la mediazione del tuo potere, o del potere che ti sei costruito coi media. E così l’altro giorno il povero Matteo, a Bruxelles – non ce l’ha, la maglietta con su scritto Bruxelles: forse perché ci sta poco – è stato apostrofato da un deputato socialista con termini ottocenteschi (“Fannullone”) perché si era fiondato in aula a criticare i lavori di una commissione che lo vedeva tra i membri, ma alla quale non aveva mai presenziato. “Lei doveva essere qui a lavorare e stava sempre in tv”, gli ha detto, quello, in faccia. “Si vergogni”. E Salvini, privo delle protezioni e della buona educazione che – chissà perché – gli riserviamo qui, ha risposto come Fassino al terzo round contro Mike Tyson: “Ci sta, ci sta”.
Ci sta anche, allora, che il “rosso” ti dica in faccia che la dovete piantare, Matteo, di fare i fascisti, per qualche voto in più, pur di raccattare un fiotto d’identità nel deserto di consensi che vi siete ampiamente meritati.
Ci sta che uno che campa di battute ti dica: basta con le battute. Perché poi le menti semplici come la tua finiscono per ricadere nella profezia autoavverante e, siccome si comportano da orribili razzisti, trasformano il proprio astio ignorante in qualcosa di potenzialmente violento. Armano mani.
Non sono più anni innocenti. Il primo che toccherà un capello alla Keynge, Matteo, beh, sarà colpa tua. La terza pagina della Padania di oggi, quella contro la negritudine, è da denuncia per apologia di reato. La lista con agli appuntamenti di Cécile Kyenge (ce ne saranno di ministri scarsi, ma quella purtroppo è negra, vero?) pure. E quell’altro coglione che parla di andarla a cacciare, evocando i fucili, andrebbe zittito d’imperio. Bossi – Bossi! – avrebbe trovato il modo di smarcarsi.
Perché il linguaggio che ti sei scelto facendo finta di credere, o credendoci, e sarebbe peggio, alle palle separatiste su cui avete costruito i vostri lombi importanti, le roncolate che tiri dopo averle orecchiate tra una comparsata in tv e l’altra, è una roba da nazisti dell’Illinois, con tutto che Chicago pare sia più vivace di Varese e se per caso andaste per davvero a fare le ronde finireste come quelli del Kkk in Django Unchained. Solo che in Italia i nazisti dell’Illinois vincono le elezioni. Spesso.
Perché le parole sono importanti, Matteo. E siccome lo sai pure tu che ‘ste stronzate sulla separazione non arriveranno mai da nessuna parte, che i padani sono la prosecuzione degli italiani con mezzi più grevi, che avete retto la coda per vent’anni a uno che definivate “mafioso” su quello stesso giornale che oggi insulta e addita i négher di governo, che sei il compagno di partito di un tizio che straparla di attacco alla democrazia perché l’hanno beccato col sorcio (e le mutande verdi) in bocca, che al mattino lanci strali xenofobi al riparo del tuo bel giornalino – “Siamo quelli che la faremo dimettere, sciura”, e poi “Se ce lo sequestrassero sarebbe fascismo”: ma smettila – e la sera vai da Varriale al Processo del Lunedì a parlare di 4-4-2, potresti trovarne di più consone a mitigare quella che meglio ti definisce: inadeguatezza.
Inadeguato. Persino per propalare odio. Fannullone. Studia.
Ci sta, ci sta.
La Kyenge è stata dimessa, nessuno le ha mai torto un capello, Salvini aumenta nei sondaggi.
Dovrebbe rivedere le sue previsioni.