La vicenda è nota: Report chiede un’intervista al presidente della Regione Lazio, Zingaretti, e poi la inserisce in puntata tagliando solo la parte che riguarda recenti e poco commendevoli fatti di cronaca.
Il capoufficio stampa di Zingaretti chiama stizzito il cronista e gli rimprovera di:
1) Non aver seguito le domande concordate;
2) Aver estrapolato solo una parte;
3) Non aver dato le notizie buone – ce ne sono – che riguardano l’operato di Zingaretti.
Poi registra il tutto e lo mette online, con l’obiettivo di “smascherare” il cosiddetto metodo Report.
Orbene: anche a me, da semplice spettatore, ci sono cose di Report che non piacciono. Ogni tanto, ma è un problema mio, mi provoca la cosiddetta “Sindrome di Mi Manda Raitre”, quella che mi assaliva quando un tizio andava a lamentarsi di non aver vinto al Totocalcio acquistano santini profumati su una chat line. Dopo tre minuti cominciavo a urlare verso il video: “Te lo meriti, coglione. La prossima volta sta’ più attento. E spero ti tolgano il diritto di voto”. Poi mi portavano via.
Ed è anche vero, accusa che l’agit prop di Zingaretti muove alla Gabanelli, che a volte le inchieste sembrano partire da un assunto da dimostrare. E questo le rende un filo meno credibili.
Inoltre, cazzo, nel 2014, prima di riprendere dovete “fare il bianco” e mandare in onda interviste a fuoco.
Però.
Però prendiamo le tre accuse punto per punto e diamo loro una risposta chiara.
1) E allora?
2) E allora?
3) E allora?
Fare domande non concordate, estrapolare la parte che si tiene più rilevante, lasciare le realtà edificanti a chi deve comunicarle per mestiere (gli uffici stampa, non i programmi di inchiesta) è proprio della professione giornalistica.
Deontologia impone che si segua l’onestà intellettuale nel dare le notizie, che le si propongano al pubblico in modo trasparente, che ne si stabilisca la rilevanza su criteri di oggettività e di impatto sociale. E Report lo fa nel 99 per cento dei casi.
Altrimenti, per citare Piero Fassino, la Regione Lazio si fa una tv sua in cui ci racconta le meraviglie (ce ne sono) di Zingaretti e vediamo quanti ascoltatori prende.
Il problema di questa ansia delle disintermediazione, di questo schifo per la stampa, di questa diffusa antipatia per chi svolge con coscienza il proprio lavoro, è che le notizie vanno bene solo quando toccano gli altri. Che il “sensazionalismo” – Grillo insegna, e proprio sulla Gabanelli: da eroina a reietta – viene accettato solo se colpisce gli avversari. Che il giornalista dev’essere cane da guardia per chi ci sta sui coglioni e cane da compagnia per noi.
Sennò il Pd di Roma, quando Report scoperchiò la mafia capitale con largo anticipo – insieme a Lirio Abbate de l’Espresso – si sarebbe mosso di conseguenza, senza aspettare le sirene dei carabinieri. Invece derubricò il tutto a rottura di palle che si sarebbe presto quietata. Come accadde.
Per questo, con tutto l’affetto per Zingaretti che mi piace molto già dai tempi di Ferie d’Agosto*, trovo che il metodo Report sia preferibile al metodo smaschera Report. Anche perché se c’è una cosa che mi urta del programma di Raitre è l’abuso dei fuorionda. Lo capisco se hai l’esclusiva di chi è stato a Ustica. Meno se serve a sbugiardare un assessorino, magari già mascariato a sufficienza con le telecamere spianate.
Però è esattamente lo stesso metodo che ha usato chi Report voleva sbugiardarlo. Perché siamo tutti adamantini coi fuorionda degli altri.
Ma di come la mancanza di senso dell’opportunità abbia ucciso questo Paese tratteremo la prossima volta.
A presto.
* Nota per il senatore Giovanardi: è una battuta