Politica estera for dummies: riportare a casa gli eroici Marò. Ecco come

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(ANSA – PITTIBANG) I nostri ragazzi durante la celebre comparsata alla Fiera del bianco di Viterbo

La vicenda dei Marò è la musica balcanica della politica estera: è bella e tutto quanto, ma alla lunga, eccetera.

Mi permetterei perciò si suggerire una soluzione per riportarli velocemente in patria. Con una premessa: finora l’Italia ha fatto in modo che i due non andassero alla sbarra. Si imputa agli indiani il ritardo nel formulare il capo d’imputazione, quando le lungaggini sono dovute principalmente al nostro improbabile fuoco di sbarramento diplomatico “berlusconiano”. Finora, puntando tutto sulla giurisdizione, cioè su CHI deve processare i due militari, si è preferito difenderli non “nel” processo ma, come appunto faceva Silvio, “dal” processo.

Si può fare, invece, così:

li lasciamo processare agli indiani, che verosimilmente, con tutto il clamore mediatico mondiale intorno al caso e la concreta possibilità che la Pinotti plani nuovamente a mangiarsi un pollo tandoori, li assolveranno.

Se non li assolvono, posto che la pena di morte per il caso in questione è esclusa, lavoriamo già da ora perché possano scontare la pena in Italia.

Quando arrivano in Italia, mandiamo la Pinotti, ma anche la Mogherini e Lapo Pistelli, ad accoglierli, come fece Diliberto con Silvia Baraldini, in modo che capiscano come anche qui c’è sofferenza e disperazione.

Dopo un annetto di arresti domiciliari li liberiamo fischiettando.

Sono intimamente convinto, così, senza prove, per l’opinione che mi sono fatto leggendo le diverse ricostruzioni, che siano colpevoli. Penso inoltre che militari pagati con le mie tasse non dovrebbero fare da scorta a navi private in giro per il mondo.

Però, visto che ci tenete tanto, credo di avervi dato la soluzione.

Un abbraccio. Viva l’Italia (che non è un Paese di merda. Non tutto, almeno).

La linea delle palme / The line of palm trees / La ligne de palmiers / Die Linie der Palmen / La línea de palmeras

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Tolti Youporn e i video di Sio, Internet non ha poi ‘sto gran senso.

Talvolta però è quantomeno utile a consolidare i propri pregiudizi.

Oggi, ad esempio, riportavo su Facebook un brano dell’omelia domenicale di Eugenio Scalfari su Repubblica.

Questo:

“Un’osservazione voglio ancora aggiungere che riguarda l’inclusione che si farà in tutta Europa ma che è un vero e proprio shock per l’Italia, del reddito malavitoso nella contabilità nazionale. Contabilizzando il reddito che le varie mafie ricavano dalla droga, dagli appalti, dai bordelli, dalle sale da gioco, il Pil nazionale aumenterà di almeno 60 miliardi di euro. Non combattendo il formarsi di quel reddito ma contabilizzandolo. Ne avranno un vantaggio e ne saranno tutti contenti all’Istat, all’Eurostat, al Tesoro. A me sembra una pura e semplice vergogna”.

Tra i commenti, mi ha colpito chi andava oltre il fatto etico, sostenendo che i soldi versati dai singoli Paesi all’Ue vengono calcolati in base al Pil. E che, dunque, l’Italia avrebbe tratto da questo upgrade un piccolo salasso economico.

Sono andato a controllare: è vero. L’Italia dovrà pagare di più. Parecchio di più, a differenza di altri Stati in cui il sommerso, malavitoso e non, non è così soverchiante.

Naturalmente, però, il surplus non potrà essere preso dall’intero Pil (regolare/irregolare) ma solo da quello legale. Del resto sarebbe difficile andare dalla ‘ndrangheta e chiedere di contribuire al benessere dell’Unione.

Quindi accadrà che i miei soldi di cittadino onesto, e quelli di tutti gli imprenditori perbene, del Pil pulito, ufficiale, andranno a finanziare la qualità della vita – e magari le attività, pulite e non – di chi delinque e di chi non paga le tasse.

Esattamente come accade in Italia.

Leonardo Sciascia ci aveva azzeccato: finalmente la linea delle palme è arrivata a Bruxelles.

L’agenzia delle entrate di favore

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(ANSA – ARNOLD’S) Matteo Renzi nella celebre esecuzione di Splish Splash alla Leopolda

In una lunga intervista al Corriere, la nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate spiega che gli evasori fiscali vanno fermati ma non rincorsi. Che è un po’ come se, durante una rapina in banca, la polizia dicesse: “Dovevamo fermarli prima, mo’ è inutile che gli andiamo dietro”.

Dev’essere un combinato disposto del Governo Renzi, il più retrivo. Quello più vecchio e democristiano, altro che #cambiaverso. Lo riassumerei così: “Non ti sono bastati gli 80 euro? Non li hai avuti perché non hai uno stipendio? Rubacchia come tutti, chettefrega. Arrangiati. E sta’ tranquillo: non vogliamo rincorrerti. Casomai ti fermiamo prima”.

Cosa fa il governo Renzi per fermarli prima? Come si batte contro i grandi evasori (“Il guaio saranno mica due scontrini? Il problema è ben altro”) che paiono il vero obiettivo del nuovo corso?

Al momento, ma posso sbagliarmi, nulla.

Mi pare di non aver mai sentito l’espressione “lotta all’evasione fiscale” tra le pur roboanti dichiarazioni di questo premier. E anche “lotta alla criminalità” non mi pare gettonatissima.

Obiezione: si fa ma non si dice, funziona di più.

Possibile.

Ma ‘sto 41 per cento di cui ti bulli, ‘sto consenso alla Erdogan del lampredotto potresti pure usarlo – opinione mia – per propagandare un minimo di legalità, e non solo per litigare con Draghi o tirare due calci agli stinchi sempre appetibili di grillini e dissidenti.

Sì, lo so, le tasse troppo alte, eccetera. E’ un ritornello che può permettersi chi le paga, o almeno ci prova. Ma Renzi (e mo’ pure la nuova direttora dell’Agenzia delle Entrate, che bolla i blitz tipo Cortina – due evasori su tre controllati, cazzo – come inutile protagonismo) non parla a loro. Parla agli altri, a chi arrotonda.

Per i quali inaugura una specie di condono verbale. Un po’ come le riforme della Giustizia che da noi si fanno sempre cercando il consenso degli imputati e mai di chi il reato lo subisce.

Che poi è vero: chi si ritrova il 60 per cento da pagare è un martire. E la burocrazia. E lo Statuto dei lavoratori troppo protettivo, per carità. I diritti dei lavoratori sono cose arcaiche, da abbattere, magari insieme al tizio che scrisse il Lodo Alfano per salvare il culo a Berlusconi.

Ma se nessuno investe da noi, oltre che per l’articolo 18, sarà mica perché siamo un Paese senza regole, che titilla ladri ed evasori, e ha una fetta di economia in mano alla mafia?

Mentre ci pensiamo, via con un’altra canzoncina scout.

Sigla.

 

 

Ma voi chi? (Un cordiale saluto al professor Alberto Bagnai)

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(ANSA – BILDEBERG) Il professor Bagnai in un pacato saluto ai lavoratori de l’Unità

Che poi io sarei pure in vacanza.

Però poi leggo questo, e purtroppo non mi tengo.

Cioè: prima vado a vedere chi è l’estensore di queste cartelle scritte con eloquio da ragazzo di seconda media e non dei primi banchi (cit.) e scopro trattarsi di uno stimato professore universitario. E lì sì che mi spauro.

Capisco se a esultare per la morte del quotidiano in cui imparai il mestiere è un Bugani qualunque. Ha i mezzi che ha, povero. Non puoi davvero volergli male.

Ma ‘sto bullismo accademico? Ma ‘sta gente che si esprime come sul muro di un Autogrill davvero insegna in un’università? Gente che – seriamente – sostiene come l’Unità abbia chiuso perché:

1)    Era una manica di criminali affossatori del popolo;

2)    Non era d’accordo con lui, (mentre lui sì che scriveva cose giuste e dunque aumentava i clic)

Perché poi non m’interessa tanto quel che dice il prof in questione su Monti. Deprivato della salsa complottista, il mio giudizio su quel governo non è lontanissimo dal suo. Anzi: per me Monti a Palazzo Chigi manco doveva esserci, l’ho scritto e detto in tutti i luoghi e tutti i laghi (cit.) anche se poi – sempre sponda il Fatto – mi toccò di discutere con uno stimato collega che mi diceva “voi che avete difeso Monti…”.

Ecco, appunto: ma voi chi?

Voi che andate in onda sulla radio di Repubblica? Voi che scrivete minchiate anche sul Corriere? Voi che spacciate motteggi anche a qualche (bravo) comico. Voi che tifate Bologna? Voi che siete sovrappeso?

bagnai 1No, perché lo stesso professore prima mi ha risposto alla Minzolini (“Certo: meglio ballare sulla bara del Paese come voi, si sta più comodi”) poi si è dato perché magari aveva di meglio da fare, mentre intanto diversi suoi fan mi spiegavano che avevo pestato una merda perché lui sì che era cazzuto (cit.), partivano con qualche insulto, in generale ritwittavano la stramba teoria per cui io (sì, proprio io) portavo la responsabilità personale di aver affossato l’economia del Paese.

La cosa divertente – io sono un paria dei social, ma qualche meccanismo forse l’ho capito – è che in molti casi bastava rispondere con calma perché il “coglione!” iniziale diventasse “e dire che leggevo sempre Cuore”. Argomentavano. Dopo. Perché in rete va così: se metti dei fiori nei cannoni spesso arriva qualcuno che se li fuma.

Quindi, per tornare a bomba, dai navigatori casuali mi aspetto tutto e il suo contrario. Da uno che si presume abbia letto due libri, sappia far di conto, insegna pure, esigo (spero, va’) che sappia distinguere tra i rutti da curva e un minimo di analisi. L’Unità non ha affossato niente. L’Unità non fa parte di alcun complotto globale. L’Unità non ha distrutto questo Paese ed era un giornale povero, fatto da poca gente, che chiude perché è arrivato alla fine di una parabola molto interna al Partito Democratico.

Non piaceva? Amen.

Si può dire e scrivere senza suonare “Romagna mia” con le ascelle, senza spalmare pece e piume su chi ci lavorava, senza scambiare una legittima linea editoriale (e politica) come adesione acritica a un nuovo ordine mondiale che ambisce alla distruzione del popolo. Quelle sono cazzate (nel caso in questione, pure scritte male) che però alimentano, in rete e non solo, tutto quel ragionamento ad alzo zero che porta consenso ma intossica chi ne viene investito.

I lavoratori (lavoratori: bella parola) de l’Unità non sono carnefici, semmai sono vittime. E facevano un giornale decente nelle condizioni date. Personalmente, credo non esulterei manco per la chiusura di Libero – anche perché mi regala tanta ciccia per la mia attività satirica – ma certamente, ove trapassasse, eviterei di ornarne la tomba con una vasca di letame solo perché al 99 per cento non sono d’accordo con quello che scrive.

Al massimo, siccome sulla carta d’identità alla voce professione ho scritto “pirla” , cercherei una battuta decente. Perché quello faccio.

Secondo me c’è una parola che abbiamo perso per strada, in questi anni in cui il Berlusconi in noi (cit.) ha definitivamente preso il sopravvento: opportunità. E’ normale, legittimo, plausibile che un’intera classe intellettuale – giornalistica, accademica – chiosi qualunque notizia con una salva di peti atti a generare like, inviti in radio e tv, una qualche rubrica da confondere tra mille altri urli.

Però non è opportuno.

Questo volevo dire al professor Alberto Bagnai, che saluto caramente.

 

 

Satira! Delusione! Giochi di parole! Palestina! CLICCA QUI!

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(ANSA - BLASFEMIA) La vignetta di Natangelo sul Fatto Quotidiano di oggi

(ANSA – BLASFEMIA) La vignetta di Natangelo sul Fatto Quotidiano di oggi

Pràt! Poroproz! Prà prà prà!

Oh, fatto. Due belle scoregge in testa al pezzo e con la parte ludica siamo a posto.

No, perché se ti industri ogni tanto con la satira, a quello devi limitarti. Ehi bello: non scassarci la minchia con la poesia, non farci la morale, non urtare suscettibilità tirando qualche bella ginocchiata nei coglioni.

Facce ride. Dicci che Renzi è autoritario, che Grillo è un mitomane. Belen? Hai niente su Belen?

La Palestina no. Lì ci stanno i morti, cristo. Nun se fa. Stavolta mi hai deluso. Stavolta hai esagerato. Stavolta…

No, non è capitato a me.

E’ capitato a una vecchia compagna di bagordi satirici che può piacere o non piacere, ovvio. Una a cui capita di scrivere cose eccelse e vaccate, come tutti.

A me soprattutto vaccate.

Solo che io, normalmente, faccio incazzare categorie trasversali – tassisti, grillini, tassisti grillini, renziani, juventini, Napoli secondo estratto 2 – ma non indigno. Purtroppo.

L’indignazione la si riserva a Lia Celi, parlo di lei, quando twitta così:

“Ora in corso la finale #Israele#Palestina. Si profila lo spettro dei supplementari”.

Può darsi che io sia fuorviato dall’antica vicinanza fisica nella redazione di Cuore, ma a me la lettura del vergognoso tweet sembra palmare.

La translittero:

1)    Parliamo di Mondiali e quelli si ammazzano, ma chissenefotte.

2)    I pochi che ne parlano si esprimono da ultrà: curva Netanyahu, curva Hamas.

3)    Non è finita qui, si profila una continuazione del conflitto.

Un editoriale, in 140 caratteri.

Però lei non poteva, battutara che non è altro. Come s’è permessa. E allora giù con i commenti:

  • ti dovrebbero mettere a Gaza e spararti tutti i giorni in testa. Idiota
  • ma si deve cazzeggiare proprio su tutto?
  • senza vergogna vergogna!
  • ma sei così di tuo o prendi delle pasticche?
  • ma sei cogliona????
  • sei una donna misera.
  • ma sei solo cretina @LiaCeli o lo fai apposta?
  • Questa non fa ridere. Si può far satira su tutto, anche sulle guerre e sulla morte. Ma non con giochi di parole banali.
  • squallida.
  • questa battuta mi fa letteralmente schifo
  • ha cagato fuori dal boccale…questo è tutto
  • ti adoro da sempre. Ma questa è una battuta fuori luogo.
  • Secondo me banalizza soltanto. Non c’è nessuna pietà verso le vittime, né distinzione tra vittime e carnefici

Eccetera.

Riassumo: non puoi parlarne, devi parlarne come voglio io, comunque non hai preso posizione e quindi non hai diritto di trattare il tema perché non sei politicamente corretta.

Per soprammercato: ti accuso di fare giochi di parole l’unica volta che non ne fai.

Svelerò  un piccolo segreto: la satira è una bettola del pensiero, che esprime il pensiero medesimo circondandolo di peti.

E’ moralista (ha sempre un punto di vista) ma si travisa con l’imbecillità. Però, a proposito di morale, tolti i benemeriti momenti di puro cazzeggio, contiene di solito una motivazione più o meno profonda.

Quando la si depriva dei meteorismi di accompagnamento, prevale perciò quella sorta di malessere che solitamente sfocia in battuta – parlo per me – ma talvolta diventa una piccola riflessione amara. Spesso retorica.

Lo ha fatto Lia, lo ha fatto oggi Natangelo sul Fatto Quotidiano. Solo che lì sono il disegno e i colori, il tratto infantile, lo stacco netto tra motto di spirito e linguaggio con cui lo si racconta, a stabilire i confini della provocazione satirica.

Dunque spero che non gli abbiano troppo frantumato i bagigi, come ho fatto io, scrivendo questo pletorico pezzo. Che potrei riassumere così: poco m’importa dell’impopolarità, sennò me ne starei zitto. Ma dimmelo senza augurarmi che mi sparino in testa.

Pràt! Poroproz! Prà!