De Luca fuori dal Pd, #bastaunsì

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(ANSA - GENNY SAVASTANO) De Luca mentre chiede a Renzi se sa chi lo saluta un casino

(ANSA – GENNY SAVASTANO) De Luca mentre chiede a Renzi se sa chi lo saluta un casino

Ci tengo a dire una cosa, pacatamente: a me delle panchine di Salerno non frega un cazzo.

E anche della splendida illuminazione, di Salerno.

Che un sindaco qualunque metta le panchine e illumini le piazze mi sembra il minimo. E non trovo che per questo lo si debba idolatrare – specie lontano da casa sua, ma si sa che le mitologie si giovano della distanza chilometrica – e accettarne estro, linguaggio, postura verbale.

Mi sembra pochino anche per diventare presidente della Regione.

Perché Vincenzo De Luca è principalmente un intimidatore.

Il suo linguaggio diverte se lo fa proprio un bravo comico. Ma deprivato della satira fa paura.

Lo fa quando pesa e cadenza le parole contro i grillini (che non hanno titolo per criticare le violenze verbali altrui, ma non per questo devono esserne vittima) e quando, convinto di non essere ripreso, augura la morte a una compagna di partito. Dandole dell’infame.

Il dettaglio lessicale non è un caso.

L’infamità è tipica di un linguaggio malavitoso, curvaiolo, ultrà. È un aggettivo che attiene al patto tradito, al familismo violato, all’omertà non rispettata.

Occhio: questo non significa che De Luca sia un mafioso.

Significa che la sua cultura è quella della devastazione altrui, del rancore che porta conseguenze, della minaccia politica come stile di governo.

La cultura che i peggiori luoghi comuni affibbiano al Sud. Tutto il Sud. Anche quello che certo linguaggio schifa. Come schifa chi lo sparge per il Paese.

Quando mi sono permesso di suggerire al Premier (o al segretario del Pd, che sono poi la stessa persona) di prenderlo a metaforiche pedate, i renziani più accaniti mi hanno subito tacciato di critica preventiva e immotivata.

Ma la mia non era una critica*, anzi. Mi offrivo come spin doctor gratuito.

Pensateci: il primo Renzi aveva conquistato fior di consensi promettendo la rivoluzione. La rottamazione. La ripartenza gioiosa.

Ora: cosa c’è di più rivoluzionario che abbattere con un gesto plateale la non emendabilità del nostro Mezzogiorno?

Cosa c’è di più clamoroso, innovativo, realmente coraggioso che mandare all’ammasso i voti che De Luca garantisce – e quanti – spiegando che la vera battaglia è culturale e passa anche per la pulizia di casa propria?

Una delle accuse che il new deal leopoldiano riversa sulla sinistra d’antan è il non saper vincere. Ha ragione. Anche se al momento Renzi ne ha vinta una sola, ed era un’amichevole.

Però il “come” si vince è importante. E vincere accontentandosi dello status quo, coi soliti voti, col senso comune che fa strame del buonsenso, senza nominare mai mafia, camorra, evasione, manco per sbaglio, qualifica certe vittorie, tipo quella di De Luca,  come mero esito di una contingenza azzeccata. Senza alcun gesto concreto per cambiare, davvero, l’anima profonda di un Paese che ha un terzo dell’economia in mano alla criminalità organizzata e si ciuccia ogni anno 270 miliardi nero. Roba che ad Amatrice potresti farci le scuole a castello. Disegnate da Renzo Piano. In oro massiccio.

Non so (non m’intendo di politica) se il presidente del consiglio sia davvero uno splendido tattico ma uno stratega raffazzonato. Fosse solo un tattico, ribadirei il consiglio che mi ero permesso di dare: allontanare De Luca. Ora.

Se i sondaggi sul referendum sono veri, sarebbe l’unico modo per recuperare qualche voto a sinistra, quella sinistra cui sta radendo al suolo la casa. Fossero falsi, arriverebbe al trionfo col vento in poppa della prima decisione (la seconda, va’: le unioni civili sono un bel colpo) realmente esemplare presa in mille giorni di governo.

Sennò, temo, ci stiamo prendendo in giro. Come chi mette quattro luci in piazza e poi avvelena i pozzi augurando la morte a chi gli si para davanti.

Coraggio Matteo: lasci De Luca al proprio destino. E lo separi dal suo. Adesso. #bastaunsì.

*certo che era una critica, ma altrimenti non mi avrebbe retto l’impianto retorico del pezzo

 

 

 

Coraggio, Tavecchio: faccia mettere quella fascia per ricordare Fatim

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Gentile dottor Tavecchio,

ieri ho lanciato una petizione per ricordare Fatim Jawara, la giovane portiera della Nazionale del Gambia morta in mare mentre cercava di arrivare in Europa e giocare a pallone.

Era indirizzata a lei e alla Lega calcio di Serie A.

Volevo, voglio ancora, volevamo e vogliamo, che le squadre scendessero in campo col lutto al braccio per ricordare una ragazza che sognava di fare il loro mestiere. Ed è morta annegata insieme a centinaia di altre persone. Migliaia, dall’inizio dell’anno.

Ha risposto la LegaPro, che farà osservare un minuto di silenzio (rischioso, con certe curve, ma è pur sempre un gesto coraggioso). Ha risposto la Lega Basket, i cui giocatori domani scenderanno in campo col lutto sulle canotte.

So per certo che potrebbe presto rispondere la serie B di Andrea Abodi, sensibile a tematiche sociali, su suggerimento dell’Hellas Verona. Verona: sarebbe bellissimo che il contagio partisse proprio da lì.

E poi ha risposto lei. Che ha disposto il lutto al braccio nel campionato femminile.

Ecco, non basta. Non ci basta. Non perché il calcio giocato da donne sia in qualche modo inferiore, ma perché quella fascia nera deve essere vista da più persone possibili. Deve arrivare anche a chi, nei nostri stadi, insulta le persone di colore. E a chi semplicemente ritiene normale che ciò accada. E gira la testa dall’altra parte.

Capita che le partite vengano precedute da generici inviti a combattere il razzismo. Ma stavolta abbiamo un appiglio concreto, di cui i calciatori sarebbero testimonial assolutamente consapevoli: ricorderebbero una persona che aveva il loro stesso desiderio.

Per questo le chiedo di agire, ora. Compia un piccolo gesto di civiltà. Permetta ai bambini che spesso dite di rivolere negli stadi di chiedere ai loro padri il perché di quella fascia. E ai padri di rispondere che ricordano una giovane e coraggiosa calciatrice.

A quel punto, Opti Pobà sarà solo la battuta di spirito mal riuscita di un presidente che una domenica di novembre del 2016 prese una decisione a forte rischio di impopolarità.

Ma giusta.

Grazie

Luca Bottura

 

Caro Beppe ti scrivo (di satira, analfabetismo funzionale e cause del medesimo)

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(ANSA - UNA COSA PAZZESCA) Mike Bongiorno - a sinistra nella foto - insieme al Signor No

(ANSA – UNA COSA PAZZESCA) Mike Bongiorno – a sinistra nella foto – insieme al Signor No

Caro Beppe,

il nostro comune amico Michele Serra (mi) diceva anni fa che la satira non sposta un voto. Aveva ragione, allora. Poi arrivasti tu, che la satira la sapevi fare, e la ibridasti con la militanza. Spostandone milioni, di voti.

C’è comunque chi si ostina a farla come un tempo, anche se con mezzi contemporanei come il web. Ti racconto una storia, senti qui.

Due settimane orsono Matteo Renzi è stato ospite di Politics, il talk di Raitre. Poteva portarsi un tablet, per interagire col pubblico. Invece si era fatto preparare una postazione con tanto di pc per controllare i social network. Sembrava conducesse lui. La postura di Renzi – e quella di Semprini – mi hanno fatto venire un’ideuzza: un filmato satirico dal quale si evincesse, con una finta chat, che il suo spin doctor Filippo Sensi lo eterodirigeva in diretta. Il tutto montato come se Renzi rispondesse agli stimoli: “Sensi” gli diceva di fare la faccetta basita, il Premier eseguiva. Gli raccomandava di stare attento alla Berlinguer, che lo intervistava, “perché questa l’abbiamo cacciata noi”. E Matteo si adeguava. Gli suggeriva di buttarla in caciara parlando di pastorizia, e il pdc eseguiva (sì, Renzi ha davvero parlato di pastorizia a Politics). Grazie a un eccellente realizzatore – Enrico Bettella – l’idea è diventata un video, pubblicato sulla pagina Facebook di Niente, un portale satirico di cui sono complice. E ha raccolto quasi 700.000 visualizzazioni.

Ma il dato non è questo. Il dato erano i commenti e le condivisioni dei militanti grillini convinti che quel video fosse veritiero. Oltre 17000.

Ci torno tra un po’.

Prima voglio raccontare cos’è successo la settimana successiva. Stesso programma, altro ospite: Alessandro Di Battista. Il quale ha risposto ad alcune domande, si è sottratto ad altre, ha restituito al tuo pennivendolo con uso di satira – io – un’importante impressione di irresolutezza. E anche a Enrico, che ha cucito un copincolla della popstar grillina nel quale alternava risposte surreali ma vere (“Se la Siria è una dittatura lo decideranno i cittadini siriani”: ma sì, certo, magari con regolari elezioni) e silenzi eloquenti.

Un’invenzione, come quella di Renzi. Un po’ meno condivisa – anche in tv Renzi ha fatto molto più share del pentastellato – eppure irrorata dagli stessi commenti indignati. Stavolta di segno opposto, ma provenienti dalla stessa platea: i grillini, sempre loro, si lamentavano con violenza del sopruso, accusando Niente di far parte del complotto Pd. Spiegavano che anche se è satira, la satira deve dire cose vere. Incollavano il link della puntata completa. Minacciavano di togliere il like (ancora rido) e esplodevano in epiteti di vario genere.

Vuoi un florilegio? Te ne regalo due, con punteggiatura originale.

Il primo dei commenti su Renzi.

QUELLO CHE LA SA attento matteuccio a non far cadere l ‘ auricolare che hai infilato nell ‘orecchio senno’ dopo non riusciresti a mettere insieme due parole di senso compiute.Hai fatto la fine di Ambra che si faceva suggerire da Boncompagni nella trasmissione non e ‘ la rai.

IL DUBBIOSO bufala ..nel senso e stato montato a doc ..o no?..la mia e solo una domanda visto che ho condiviso il link e comincia la tarantella di bufala o meno .

L’EUROPEISTA Ma il presidente del consiglio è lui o un grande fratello manovra il Renzi? Sono sempre più portato a credere che Renzi sia solo la testa di legno di qualcuno, magari tedesco o banchiere.

IL WIKIPEDIANO il nome del suggeritore sarà mica questo Filippo Sensi?? A gennaio 2014, dopo l’avvento di Matteo Renzi a segretario del Partito Democratico, Filippo Sensi è stato nominato capo ufficio stampa del PD e portavoce di Renzi,[2][6] nonché direttore responsabile di YouDem.[7] Il suo ruolo di spin doctor per Renzi è stato paragonato a quello di Alastair Campbell per Tony Blair.[1]

LA SOPPESANTE Avete capito ora perché sta sempre con il cellulare o il tablet in mano? Avrà preso la laurea a pagamento, ed è arrivato lì per le conoscenze del farabutto padre .É un ignorante ed ha bisogno di un suggeritore! Poi dicono che non sono preparati i giovani del Movimento! Di Maio ieri sera ha parlato da grnde statista!

IL PACIFISTA RIDICOLO, MA VERAMENTE NON TI VERGOGNI, BUFFONE DI MERDA. OMIGNOLO ENCEFALITICO. IMPICCATI CHE FAI PIÙ BELLA FIGURA.

QUELLO CHE NON SA LEGGERE Come è bravo a fare il burattino oltre a fare il parassita ma chi è il burattinaio che lo governa online? Jim Messina di sicuro visto che è pagato profumatamente.

Il secondo dei commenti su Di Battista.

IL DIALOGANTE Questa la considero una bella pagina di satira…ma non nel momento in cui viene falsificata la realta. Continuate a fare video sulle cazzate, perché se un ignorante finisce sulla vostra pagina finisce anche per credervi.

ILCAPSOLOCCHISTA FATE SOLO PENA A MONTARE VIDEO A CAZ(Z)O DI CANE CONTRO LE ULTIME SPERANZE CHE QUESTO PAESE HA DI RISOLLEVARSI !!!!

IL REITERANTE Più vedo questi video e più voto un no mi ci portano a votare no se vorrei votare si sono questi video scandalosi a farmi capire che solo un no se po votare.

IL COMPLIMENTOSO Bel discorso, montato in modo perfetto. Siete ridicoli ma non la darete a bere a nessuno…

L’ANALITICO Du fatto però le domande che gli vengono fatte sono proprio del cazzo. Ma che vuol dire voteresti Clinton o trump??

LA PDCENTRICA Video tagliato e rimontato si vede benissimo e per tutti quelli che criticano Di Battista vi dico solo una cosa PIDDINI SCIACQUATEVI LA BOCCA QUANDO PARLATE DI DI BATTISTA

IL CAPSOLOCCHISTA, SECONDO ESTRATTO GRANDE ALESSANDRO DIBATTISTA. SEI IL NOSTRO GRANDE GUERIERO. QUESTI FARABUTTI CHE CERCANO DI CONFONDERE LE IDEE, NON C’È LA FARANNO, VINCERÀ L’ONESTÀ. LI SCHIACCEREMO STI LURIDI VERMI. POSSONO ABBOCCARE SOLO QUELLI CHE NON SI VOGLIONO INFORMARE.

Ora, da condirettore editoriale di Niente dovrei essere entusiasta. Muoversi a cavallo tra realtà e finzione è un classico dell’arte e della satira (da Orson Welles a Il Male, passando per l’Unità di Staino e La Verità di Belpietro) e aver gabbato parte del pubblico rappresenta una virtuale medaglia. Pure di materiale prezioso.

Ma mi faccio e ti faccio una domanda, Beppe. Anzi due. Anzi tre. Anzi, quattro.

La prima: quella satira era faziosa? Ma certo. La satira si fa prendendo parte, meglio se non sempre la stessa.

Voleva significare che Renzi si fa eterodirigere ed è dipendente dai social? Ovviamente.

Ambiva a dimostrare con una risata il vuoto pneumatico di Di Battista? Ovvio che sì.

Ma se questi nove anni di risveglio delle coscienze sono serviti in massima parte a formare un popolo di analfabeti funzionali che ha perso per strada le parole d’ordine del Beppe Grillo che fu (disincanto, discernimento delle fonti, ironia) e si è trasformato in una miriade di complottisti impermeabili alla satira, non avrai sbagliato qualcosa?

O non sarà piuttosto che hai azzeccato tutto?

Un abbraccio, in alto i cuori. Uno vale eccetera.

Ciao.

Perché Renzi ha ragione quando dice che il referendum si vince a Destra

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Matteo Renzi dice che il referendum si vince a Destra. E forse ha ragione, perché in Italia la Destra ha sempre governato persino quando eravamo appena usciti da vent’anni di dittatura. Della Destra.

Il problema, temo, è che non si riferisce alla Destra parlamentare. Quella ce l’ha in pancia. Sa bene che la sua riforma è, cerone più, cerone meno, quella di Berlusconi. E che il 10 per cento in libera uscita di Forza Italia quasi certamente lo seguirà. Sa che i quattro gatti di Alfano, otto con Verdini, seguiranno l’istinto della savana, riconosceranno il Dna comune, proseguiranno il percorso che i loro rappresentanti (nel senso di venditori) perseguono ogni giorno in Parlamento.

Ma non è di questo che stiamo parlando. Né della Destra ufficiale che sostiene compatta (risate) il No.

Parliamo della Destra trasversale, quella che vuole le regole ma per gli altri, che pretende ordine e disciplina dai migranti ma abbatterebbe Equitalia coi missili, la Destra meritocratica basta che ci sia un posticino garantito alle Poste, un diritto per chi ce l’ha già, un altro calcio in culo ai giovani che non si meritano i privilegi dei vecchi.

La Destra disinformata, livorosa, vendicativa. Antistato. Anarchica. Quella che dice Uno vale uno e quella che urla Padroni a casa nostra.

La Destra che alberga tra gli elettori di tutte le liste, ma sta collassando anche dentro al Pd, deprivato com’è del Dna democratico e riformista che portavano con sé la migliore Dc e il migliore Pci.

A loro chiede il voto, Renzi.

Non a me. Che di quei nobili ideali sono, come molti, un indegno e contraddittorio replicante. O nostalgico. E che mi barcameno di fronte a un referendum scivolosissimo e ai compagni di strada che avrei se votassi No.

Per questo deve stare attento: perché può essere anche vero che il referendum si vince a Destra.

Ma è persino possibile che si perda a Sinistra.

Perché la Raggi su Malagò ha ragione (e qualche altra pacata considerazione su Roma 2024)

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olimpiadi-cinque-stelle“Negri; Furlanis, Pavinato; Tumburus, Janich, Fogli; Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti (Capra)”.

Fino a ieri, sapevo che mai avrei visto il Bologna rivincere lo scudetto. Anzi, che mai l’avrei visto vincere, visto che nel 1964, quando accadde l’ultima volta, manco ero nato.

Sapevo che mai avrei visto la festa che toccò a mio padre, ai suoi amici, ai suoi fratelli, in quel giugno di 52 anni fa. Con lo spareggio. Contro l’Inter. Sapevo che avrei dovuto contentarmi di ricordi non miei. Della città silente e poi festante mentre le radioline gracchiavano la diretta dallo stadio Olimpico di Roma.

Ecco, l’Olimpico.

Da oggi pomeriggio so che, mancate quelle del 1960 per ragioni anagrafiche, non potrò vedere da vicino manco le Olimpiadi.

Fossi stato la Raggi, avrei detto una cosa semplice e dritta: ma vi pare che ci imbarchiamo in questa avventura insieme a Malagon de’ Malagoni e Montezemolo, cioè due che hanno sulle spalle i disastri dei Mondiali di nuoto del 2009 e di Italia ’90? Sarebbe stata una precondizione perfetta per oggettivare il no: “Cambiateli e ne parliamo”. Non li avrebbero cambiati. Sipario. Applausi.

Invece è stata inscenata una pantomima di mesi, frutto delle divisioni correntizie del non partito, e oggi si racconta che il no significa semplicemente rispettare la parola data. E non è vero. Perché mentre il sacro blog tuonava contro i Cinque Cerchi, Di Maio andava in tv a promettere che i Cinque Stelle sarebbero stati l’anima di un’Olimpiade pulita. E la sindaca prometteva un referendum.

Travaglio (lo scrivo anche per evitare un’altra pur interessante gragnuola di sms) ha certamente ragione: le Olimpiadi rischiavano di essere un omaggio ai soliti noti romani, agli interessi di Caltagirone e amici vari, ai poteri forti e compagnia cantante. Però lo dico in francese: ma se non le fate voi, chi cazzo le deve fare? Chi può fare argine con l’onesta – onestà-onestà – alle speculazioni e alle corruttele? Chi può dimostrare agli italiani che le cose si possono fare senza cadere nel marcio? E che, se si presenta, il marcio può essere affrontato e debellato?

Dice: pure tu stai difendendo la pagnotta, i tuoi editori (ne ho alcuni: uno non è grillino, uno da qualche tempo un po’ lo è diventato) e chissà quali interessi. Siccome invece non conto una cippa, e parlo per me, difendo le Olimpiadi solo ora che non si fanno. Perché difendo me, e l’egoismo di chi ha visto smaterializzarsi una festa e, al contempo, un soffio di speranza, di modernità e di futuro per questo Paese rinchiuso e incazzato, diventato ormai una specie di pagina Facebook livorosa in cui si cerca costantemente qualcuno a cui dare la colpa del proprio fallimento.

Che invece è di tutti.

Perché certo, i conti. Certo, gli impianti abbandonati intorno a Torino. Certo, il deficit di Londra. Ma se oggi l’Appendino si fa bella col lavoro dei suoi predecessori è anche perché la sua città è rinata coi Giochi. E con le Olimpiadi, la Gran Bretagna ha formato una generazione di atleti, e di giovani, che sono il seme del futuro. Quelli che ad esempio hanno votato contro la Brexit perché l’Europa, e il mondo, li avevano appena respirati. Conosciuti. Amati.

Non. È. Solo. Una. Questione. Di. Soldi.

È Politica.

La sconcertante conferenza stampa (slides, faccette e claque: pareva Renzi) con cui la Raggi e il suo tutore Frongia hanno spiegato la decisione, sembrava la nemesi perfetta di chi ha subito il complotto per vincere. E non sa da che parte voltarsi.

Chiedevano, i giornalai cattivi, dove avrebbero trovato i denari per ristrutturare gli impianti senza i fondi olimpici. Il vicesindaco ha risposto aggressivo qualcosa di condivisibile (“Opponiamo la cultura dell’ordinario a quella della straordinarietà”) ma poi non aveva idea di cosa argomentare nello specifico: come agire, su quali impianti, con quali soldi. Non avevano neanche pensato a come parare il colpo mediatico annunciando per filo e per segno cosa pensano di combinare ora. Parlavano delle piste di bob del 2006: roba che ormai manco più per i like su Twitter.

Se non si è capito, lo ripeto: Renzi e le sue ricette vuote, l’ottimismo berlusconiano fatto di niente, le leggi per licenziare spacciate per motori dell’occupazione, mi garbano quanto un gattino attaccato al sottoscala. Ma a dire “tanto in Italia va sempre a finire così”, a postare quattro foto sugli impianti non finiti, a denunciare massoni e banditi vanno bene un giornale o un blog. Se fai politica, ti sporchi le mani. Perché significa che lavori. L’importante è sapere come pulirle. E avere un piano per evitare che si sporchino di nuovo. Contaminare gli altri col proprio culto per la legalità. Che sennò è vuota enunciazione.

Significa avere il coraggio di cambiare un Paese. O una città, intanto. Dal basso. Dimostrando con i fatti che per far governare la società civile non abbiamo bisogno di importarla dalla Svezia.

Invece è stato un pomeriggio triste. Perché ha confermato che il problema dell’Italia sono principalmente gli italiani (cittadini, classe dirigente) che giurano di voler cambiare ma nel profondo pensano che nulla possa cambiare.

Mi sa che sia più facile lo scudetto del Bologna.