Rio c’è (reloaded)

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18 agosto 2016

FIGURE DI MURDOCH Impazzano gli spot di Sky durante le Olimpiadi di Raisport. Praticamente una pubblicità per Sky che ne interrompe un’altra.

PORTATO A BRACCIA “Rotazione e contro-rotazione prima verso destra e poi verso sinistra per portare i due bracci mancini a venir fuori” (Francesco Postiglione, Italia-Grecia pallanuoto)

OGGI A ME… “Fantatico! Vedere questi tuffi è quasi più bello di vedere quelli ben riusciti… queste schienate e panciate ogni tanto fanno bene” (Gianmarco Tamberi, Tg olimpico)

REVISIONISMI “Gli americani cominciano pian pianino ad affondare nella campagna di Polonia”(Andrea Lucchetta, Stati Uniti-Polonia volley maschile)

IN OGNI LOGO Sulle divise dell’atletica la scritta Italia è fatta coi caratteri del marchio Alitalia. Forse per quello arriviamo sempre in ritardo.

PICASSATE Una bella notizia per Raisport: da oggi la grafica delle clip olimpiche sarà esposta al MoMa di New York col titolo “Così no”.

PROVA A PRENDERLA “L’appuntamento stasera per il Setterosa è alle? Lo vogliamo dire per tutti i telespettatori?”. “Si alle 11.20 ora di Rio tutti sintonizzati”. “Facciamo più cinque per chi vive in Italia e quindi sono le 17…”. “Si le quattro e venti” (Eugenio De Paoli e Francesco Postiglione cercano di seminare gli spettatori: si giocava alle 17.20 ora italiana e quindi 12.20 ora di Rio)

GENDER IS THE NIGHT “La f**a… ehm… la fuga di Kifle è stata bloccata” (Giorgio Rondelli, 5000m maschile)

SI TOCCA?  “L’australiano si sente scottare il terreno sotto i piedi” (Luca Sacchi, 20km di nuoto)

ANTI A FAVORE Problemi per il cronista di Raisport Alessandro Antinelli: appreso che l’altra sera per la semifinale del beach volley ha fatto il 92% di share, Renzi ha ordinato ai vertici Rai di distaccarlo all’ufficio stampa dei comitati per il sì.

Uscito sul Corriere della Sera

Rio c’è (reloaded)

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11 agosto 2016

LA CURIOSITÀ Dopo aver l’efficacissimo spot in cui i giornalisti del Tg2 invitano a non abbandonare i cani in autostrada, la Società Autostrade ha avviato i lavori per allargare le corsie d’emergenza.

CASSINATE “Nonostante le squadre si allenano un paio d’ore, una mal chiamiamola così gestione può creare problemi” (Igor Cassina, ginnastica artistica)

NEL PRONOME DEL SIGNORE “Cosa gli vuoi dire a questa ragazza?” (Consuelo Mangifesta elogia la Egonu scambiandola per un uomo, volley femminile)

SHOCK, THE MONKEY “La De Memme ha perso completamente il braccio sinistro” (Luca Sacchi, 4×200 sl)

SINEDDOCHE PER CASO“Bravissimo, bravissimo il gancio destro di Clemente Russo” (Davide Novelli)

CINISMI “I cinesi non sono cinesi per caso” (Stefano Bizzotto, tuffi sincronizzati, commenta un tuffo a bomba premiato da ottimi voti)

MOSTRARE IL BAGAGLINO “Questa è Ngapeth-mania! Andiamo a ngappettare gli avversari!” (Andrea Lucchetta, pallavolo)

BORN TO BE UILD “L’atleta del Malawi era qui con una uild card” (Sante Spigarelli, tiro con l’arco)

FUSI E ORARI “Pasqualucci ritornerà in linea di tiro alle diciotto e ventotto ora brasiliana… diciassette e ventotto ora italiana” (Lorenzo Roata e l’orologio rotto, tiro con l’arco)

BEAUTY A CASO “C’è un vento a ottanta chilometri l’ora… questa è una beauty della società che fa le riprese delle Olimpiadi…” (Eugenio De Paoli, Raidue)

RIFLESSIONI “Elisa Longo Borghini non ha nulla da recriminarsi assolutamente” (Silvio Martinello, crono femminile di ciclismo)

DARSI DEL TV Una storia di solidarietà dietro ai risultati di ieri: Montano e Russo si sono fatti eliminare perché sennò i reality della nuova stagione rischiavano di cominciare in ritardo.

DONNE SÒLE Bellissimo gesto anche delle staffettiste azzurre: per solidarietà verso la Pellegrini che aveva rinunciato ai 100, loro non sono scese in vasca nella 4×200.

Uscito sul Corriere della Sera

Una cosa impopolare su arciere “cicciottelle” e direttori di giornale silurati

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(ANSA - WEIGHT WATCHERS) Che poi a volte il Carlino è anche utile

(ANSA – WEIGHT WATCHERS) Che poi a volte il Carlino è anche utile

Quando ero bambino vagavo per le redazioni delle prime tv e radio private scassando l’anima a giornalisti, tecnici e conduttori per vedere come funzionava quello strano mondo. Erano mediamente gentili. Anzi, a volte mi facevano proprio lavorare. Prendevo dediche e richieste al telefono, riavvolgevo nastri, cose così.

Tra le prime emittenti che importunai c’era Videobologna. Via Castiglione 21. Lo stesso identico indirizzo nel quale sarei tornato molti anni più avanti per lavorare nella redazione di Cuore. Un palazzo del centro storico, con le pareti affrescate. Uno studiolo microscopico che serviva per il tg, per il programma sulle commedie in dialetto, per registrare sgangherati video musicali in piano sequenza. Ne ricordo uno della Rettore.

Mi trattavano bene, dicevo. C’era Gianluigi Armaroli, che oggi fa l’inviato per il Tg5. C’era Giorgio Comaschi, che faceva cabaret e poi avrebbe sfondato in Rai con la Zingara. E c’era Giuseppe Tassi. Quello. Il Giuseppe Tassi che oggi è stato sollevato dall’incarico di direttore del Qs – l’inserto sportivo del Carlino – per il ben noto titolo sulle “arciere cicciottelle”.

Il breve excursus serve a rivelare il rischio di un pregiudizio positivo. Che non viene ovviamente, non solo, dalla sopportazione che Tassi mi riservava ai tempi di Videobologna. Ma da una carriera fatta di pacatezza e di giornalismo popolare, nel senso buono del termine, cavalcata con decoro.

Occhio: quel titolo non è un bel titolo. È maschilista. È figlio di una cultura anni Cinquanta che alberga in molte redazioni – non era denigratorio, era un “pat pat”, significava: sono cicciottelle ma se la cavano bene -, specie quelle sportive, e parlo per esperienza diretta, in cui il confine tra il bar del giornale e le pagine rischia di essere valicato ogn’ora.

Né le scuse del buon Beppe, rivolte solo ai lettori e non alle tre arciere, e alle donne in genere, hanno migliorato la situazione. Anzi. Però, se fossero state più ampie, secondo me sarebbero bastate. La cazzata possiamo farla tutti, ma anche il “prima” dovrebbe essere importante.

Invece no, invece il proprietario del Carlino ha ceduto ai social e la testa di Tassi è rotolata.

Se mi è concesso, invoco per lui, se non l’assoluzione, almeno due attenuanti generiche.

La prima: Beppe è vittima del “giornalismo ambientale”. La presenza sul mercato di Libero, il Giornale, il Fatto Quotidiano, ha modificato il Dna dei quotidiani cartacei. Tutti si sentono legittimati a forzare un po’ i titoli, a fare del clickbaiting su carta. Tutti pensano, fisiologicamente, che sia necessario occhieggiare un po’ ai lettori. Anzi, spesso sono gli stessi editori che te lo chiedono. Gli stessi che poi ti cacciano a pedate, quando magari vai lungo, mentre dovrebbero essere contenti se il pubblico si rivolta contro un titolo infelice del Carlino: significa che lo considera ancora un giornale vero, a differenza di quelli diretti da Feltri, Belpietro e compagnia.

La seconda: i social, appunto. Quel titolo resta appunto infelice, molto, una cosa di cui scusarsi pubblicamente. A prescindere da chi le pretende, le scuse, e quali titoli abbia per farlo. Però che siano i social a ottenere la testa di Tassi, è un po’ come se il gestore del peggiore Bar di Caracas facesse saltare il direttore dell’Harry’s Bar perché c’era una ditata sul piattino del conto.

Siamo in grado, noi, di scagliare la prima pietra? Rispondo per me: io no.

Auguri dunque a Beppe Tassi e alle tre arciere, perché possano prima o poi vivere in un Paese in cui nessuno fa battute a mezzo stampa sulla loro forma fisica, manco in buonafede, e in cui la legittima indignazione non si mischia a un lavacro di coscienze ottenendo la cacciata di un tizio che ha fatto una cazzata, ma resta una persona perbene.

Perché a Roma il problema non è “il milioncino” della Muraro

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(ANSA – DESIGN) Un cestino Ama vuoto. L’opera è esposta al MoMa di New York

Rispetto alla questione dei rifiuti, a Roma, il Pd dovrebbe scavare una buca molto profonda, facciamo una cinquantina di metri, lasciare lo spazio necessario per Alemanno e gli altri stupratori neri della città, ritirarvisi in blocco, chiedere cortesemente, magari all’Ama, di ricoprirla, e uscirne diciamo tra una ventina d’anni, anche venticinque. Solo allora dovrebbe riprendere la parola. Per chiedere scusa.

Altro che lanciare hashtag. Altro che mutuare tristemente linguaggio e temi altrui (i soldi, cristo, sempre l’ossessione per i soldi) chiedendo di spiegare “il milioncino” della Muraro.

Premesso questo.

Non essendo romano, so di Ignazio Marino solo quel che ho letto e ciò che mi hanno raccontato gli amici che colà risiedono. Il giudizio è abbastanza unanime e non brilla per positività. Non capendone niente, da lontano, mi sembrava davvero il marziano che diceva di essere, spesso incompetente, certamente alieno a determinate tradizioni. Prima tra le quali, proprio quella sui rifiuti. Per la gestione dei quali (ripeto: posso sbagliare) aveva operato importanti soluzioni di discontinuità, respinto al mittente vecchi caporioni privati, scelto persone nuove.

Si era fatto, Marino, parecchi nemici: il suo partito, che l’ha fatto cadere dandogli dello psicopatico. E i suoi successori in Campidoglio, che gli davano del disonesto.

La nuova gestione dei rifiuti è affidata a una persona che da oltre un decennio faceva parte del sistema, con l’onere di controllarlo. Le prime mail in cui muove rilievi risalgono all’inizio di quest’anno, e sono con ogni evidenza le mail di una persona sull’orlo di una nomina in Campidoglio. La stessa persona era consulente di aziende, cui prestava il proprio ingegno perché potessero vincere gli appalti presso il Comune di Roma per il quale lavorava. Ha guadagnato cifre molto importanti dal pubblico e dal privato, nello stesso periodo, nello stesso ambito. La persona che ne ha fatto esplodere gli emolumenti era Gianni Alemanno. Il suo sponsor in Ama era Franco Panzironi, coinvolto in mafia capitale, che aveva intestato una società alla segretaria la cui presidente era Virginia Raggi. Cerroni, il ras novantenne dell’immondizia, finito in galera per la discarica di Malagrotta, la adora, la elogia pubblicamente, e ne sostiene la decisione di riaprire il tritovagliatore di Rocca Cencia perché probabilmente con tre tovaglie si magna-magna-magna.

Ribadito che una buona alternativa alla inumazione del Pd romano sarebbe la sua spedizione su Giove, evitando di lasciare il carburante per il ritorno, la domanda è: se questo popò di intreccio riguardasse una qualsiasi sponda opposta, avremmo la gente in Campidoglio a gridare Onestà come stesse in curva sud?

La risposta è: certo che sì.

L’altra domanda è: perché non succede?

Le risposte sono due:
1) Il beneficio del dubbio che si concede a chi è in carica da un mese (ma per nominare assessore una che cerca vendette in Ama, perdippiù in diretta streaming, bastano pochi secondi).
2) Il M5S è pulito per definizione.

Ergo: i comportamenti che si rinfacciano giustamente agli altri diventano normali se a compierli è qualcuno dei tuoi.

È il punto d’arrivo del lavacro di coscienza che ha portato i romani (e gli italiani) a scegliere quasi sempre i ladri e i corrotti girando la testa dall’altra per quieto vivere o sperando di ottenerne l’indulgenza. Salvo poi lamentarsene, abbattendoli in cabina elettorale, sempre fuori tempo massimo.

Inflessibili. Diversi. Alieni a ogni compromesso. Finché non c’è qualche contratto da firmare. E permalosissimi quando il fango tocca la squadra di cui hai appena indossato la casacca. Uguali all’Italia di sempre. Quella del “Non sono Stato io”.

Che si specchia, purtroppo, in quelli che chiedono conto del “milioncino”. Comparse bercianti in questa curiosa tragicommedia di popolo.

Del perché i cattivisti sull’Isis ci porteranno a sicura sconfitta

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In una breve riflessione dal titolo “Buonisti un cazzo” avevo già trattato il curioso destino che tocca a chi tenta una qualche analisi sulla questione migranti senza paventare l’uso dei campi di sterminio.
L’occasione mi è grata, dopo la strage di Nizza, per aggiungere qualche considerazione sui leoni da tastiera, o da parlamento, che vorrebbero tra le altre cose…
A) Chiedere all’Islam moderato di dissociarsi
Tecnicamente legittimo. A patto di poter mostrare una recente e personale discesa in piazza ad esempio contro la mafia. Se, da cittadini italiani, avete sentito l’insopprimibile moto di separare la vostra immagine e il vostro destino da chi sparge in giro per il mondo morte, oscurantismo, disordine, diseguaglianza sociale, e ha lo stesso vostro passaporto in tasca, allora ok. Altrimenti sappiate che potrebbero chiedervi, e farebbero bene, di dissociarvi da Matteo Messina Denaro ogni qualvolta pronunciaste il vostro nome senza un perfetto accento cockney.
B) Imporre ai musulmani la nostra cultura e le nostre leggi
Il primo obiettivo è senz’altro meritevole. Il Corano è un libro tecnicamente violentissimo (consiglio la lettura di “Violenza e Islam“, del poeta siriano Adonis, per averne la conferma, e se vi avanza tempo anche della Bibbia, per verificare che anche lì si viaggia sul truculento andante) la cui interpretazione letterale è causa precipua di questa deriva oscurantista. Contaminarlo con il nostro ben noto relativismo – suggerirei di spedire a Raqqa il senatore Razzi – comporterebbe il duplice vantaggio di minare alle fondamenta Daesh e di toglierci un cretino dai coglioni. Il rispetto delle leggi, però, è cosa più complessa. Esso, il migrante, è il nostro alibi quotidiano per fare il cazzo che vogliamo, nonché la chiave di volta del groviglio di malumore ignorante che esonda principalmente dai social. Senza potersi lamentare delle ville, del cibo, delle piscine regalate agli extracomunitari, il Paese dovrebbe fatalmente riversare la propria ostilità ad esempio contro chi non paga le tasse. E questo rischierebbe di provocare:
1) La guerra civile
2) Numerosi atti di autolesionismo.
C) Espellere chi non si conforma ai punti A e B
Fuor di cazzata, questo è il dato che mi sta più a cuore, rispetto al quale mi appresto a dimostrare che i “cattivisti” sono velleitari del male privi di una qualunque possibilità di vittoria. Ammesso e concesso che siamo in guerra, infatti, trattasi di un conflitto asimmetrico, liquido, che ammazza musulmani a nastro quasi ogni giorno lontano dai nostri lungomare, e che in nessun caso può essere vinto né con la (sola) forza né con le espulsioni. Il dato ovvio è che gli attentati continueranno per un bel po’, specie se a compierli saranno coglioni subornati da lontano che invece di trollare qualcuno su Facebook cercano la bella morte noleggiando autoarticolati. Ai profeti del repulisti, chiedo: ma davvero pensate di poter rastrellare le periferie europee? Davvero credete di poter militarizzare un continente senza rinunciare alla chiave di volta della nostra cosiddetta superiorità, cioè le libertà personali? Davvero credete che il conflitto non si vinca senza una cazzo di analisi, se non delle cause, di ciò che innesca e fa detonare lo scontro?
Giorni fa, appunto su Facebook, un tizio mi diceva che i magrebini hanno invaso la Francia. Non ho avuto cuore di spiegargli come tecnicamente, e non da oggi, fosse avvenuto il contrario. Né come la real politik occidentale per esempio in Medio Oriente (la stessa che ha tenuto in sella Erdogan, l’altra notte) abbia costituito negli anni e nei secoli non già la giustificazione ma l’humus – una “m”, Gasparri, non siamo al ristorante – nel quale l’Is trova il suo collante più importante: il consenso.
Questo va loro tolto, il consenso. L’arma che può prolungare all’infinito la stagione delle carneficine a noi inspiegabili.
Per questo consiglio, in ultimo, due letture:
la prima è il documento citato dal Corriere due giorni orsono da cui si evince che la Francia sta monitorando i gruppi di estrema Destra per evitare una recrudescenza di giustizia sommaria che farebbe il gioco di chi arma i kamikaze e affascina le teste di cazzo reduci da delusioni amorose e munite di patente C.
La seconda, mi scuso per la provocazione, è addirittura un libro: “Il fondamentalista riluttante”. Laddove si narra la leggenda di un broker che dopo l’11 settembre fu trattato come un jihadista e finì, spoiler, più o meno per diventarlo. C’è anche il film (lo dico perché spesso i cattivisti non sanno leggere) da cui si desume che il “buonismo”, come lo chiamate voi, o la prospettiva, come la chiamo io, sono l’unica parcellare chance di veder scemare questo turbine di sangue che sembra travolgerci senza un vero perché.
Il migliore amico di mio figlio è musulmano, figlio di un ristoratore pakistano e di una cuoca cinese. Ha 14 anni. Studia i testi tutti i giorni. Ed è un ragazzo normale, integrato. Se tra qualche anno diventerà un italiano perbene o un fondamentalista riluttante dipende da noi, e da quanto ci sforzeremo di capire. Asciugandoci le lacrime. Anche quelle che verranno. E cominciando a studiare. Un’altra via, io, non la conosco.