Il caso l’Unità-Raggi: in morte del giornalismo

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(ANSA – MAD) La Virginia Raggi vera è a destra. Ovviamente

Il direttore de l’Unità, Erasmo D’Angelis, pubblica sul sito del giornale un video in cui insinua che la candidata grillina a Roma, Virginia Raggi, avrebbe fatto la corista nella celeberrima hit “Meno male che Silvio c’è”.

Non è vero.

Beccato, si giustifica parlando di “giornalismo 2.0” che – il sunto – lascia al lettore la responsabilità di capire se ciò che gira in rete è falso o no.

Poniamo che il giornalismo 2.0 funzioni davvero così (funziona davvero così: ne parlo tra poche righe) perché cazzo dovrei comprare un giornale, leggere un sito, cercare credibilità nel mediatore della fonte?

Allora hanno ragione i Cinque Stelle (ma anche Renzi: e non è un caso) che predicano la disintermediazione dell’informazione. Ognuno si arrangia da sé e i D’Angelis farebbero meglio ad aprirsi una mesticheria.

Spacciare una notizia falsa e poi, una volta beccati, rivendicarla, è roba quantomeno da esposto all’Ordine, se l’Ordine esistesse ancora. Posto che la Raggi faceva pratica nello studio Previti quando Previti si sapeva perfettamente chi era. Ma su questo che è un dato di sostanza, la battaglia l’Unità non la fa. Perché se stai al governo con Verdini, qualche problema ad accusare altri di incoerenza te lo dovresti porre.

Però.

Però per censurare D’Angelis bisogna avere i titoli. Invece Peppe, non pago di sponsorizzare ogni giorno quel pastiche di sensazionalismo e clickbaiting estremo che risponde al nome di Tze-Tze, ieri ha per l’ennesima volta ritwittato la tesi secondo cui l’Unità è così perché prende i finanziamenti pubblici.

E non è vero.

L’Unità è un giornale che, avendoci lavorato, mi fa prudere le mani ogni giorno. Ha un rapporto con la realtà discutibile e fa da manganello sulle minoranze interne.

Ma non prende soldi pubblici.

L’ho scritto, e sono arrivate alcune sentinelle del vaffanculo a contestare: chi postava i fondi ricevuti dalla vecchia e fallita Unità, chi ricordava i soldi spesi per ripagarne i debiti, chi diceva che nel 2014… Sì: ma siamo nel 2016. L’Unità ha un altro editore, un direttore che spaccia fesserie sulla Raggi, ma di quel giornale non è erede se non per la testata. Il resto, compresa la linea politica (soprattutto) non c’entra nulla.

Qualcuno ha anche ricordato che l’Unità è editata dal Pd (non è vero: il Pd ha una piccola quota) e quindi prende i fondi del Pd. Che sono pubblici. Ma giocando a questo gioco si potrebbe obiettare che (al netto dei 3500 euro su 15000 che i pentastellati versano nel fondo di Stato per le Pmi) i gruppi parlamentari a Cinque Stelle prendono tutti i denari pubblici necessari a tirare avanti la carretta. Perché le fotocopie costano, la politica gratis è una palla, specie quella sul territorio (che è campagna elettorale) e alle balle del MoVimento autosufficiente non crede manco Casaleggio junior.

Ma Peppe l’ha sparata, tanto che gli frega. Se siamo al centottomillesimo posto delle famose classifiche sulla stampa non è mica colpa di chi intimidisce i giornalisti, dei politici che vogliono trombettieri, di chi si erge a paladino della libertà e poi spara melma nel ventilatore della comunicazione come un D’Angelis qualunque.

E i suoi gli hanno creduto, generando l’ennesima ondatina di indignazione contro chi faceva notare che no, è una bugia. Perché lui e il direttore de l’Unità fanno lo stesso mestiere: propaganda. Ed è per quello che, nel mio piccinissimo, li tratto e li tratterò esattamente allo stesso modo.

Perché uno (Peppe) vale uno (Erasmo).

Gira la ruota.

Perché è proprio vero: il terrorismo non si sconfigge con l’ideologia

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Ma se ti trovi la pistola puntata di un terrorista islamico, che fai, ti metti a dialogare?

Certo che no. Anche perché verosimilmente quella pistola spara un attimo dopo, e da morto avrei ben pochi argomenti.

Però. Però francamente avete rotto i coglioni con queste accuse di buonismo solo perché noi ci si interroga su come fermare la mattanza senza dare a chi ci uccide pretesti per farlo.

In questi giorni nessuno o quasi ha voglia di dirlo, perché in Italia, a tutti i livelli, se non segui il senso comune sei un povero idiota. Quindi finisce che lo alimenti, e diventiamo sempre peggio. Ma la domanda andrà pur fatta: perché delle decine di morti in Turchia ci siamo interessati poco o niente?

E perché ci sembra naturale che a Baghdad, ad Aleppo, o in qualunque area desolata in cui “si ammazzano tra loro” la gente salti per aria proprio come a Bruxelles?

Perché chi muore scappando da quella guerra ci tocca il tempo di un hashtag, e solo se giace composto sulla battigia con una maglietta rossa che lo fa somigliare ai nostri figli?

Probabilmente perché le riteniamo guerre che non ci riguardano. Ecco: sapessimo coniugare i verbi, adesso servirebbe l’imperfetto. Non ci riguardavano. Ora ci siamo dentro.

E siamo dentro a un impasto convulso nel quale la fede fa da detonatore a un coacervo di risentimenti che metà del mondo cova nei confronti dell’altra. Non importa quanto giusti o sbagliati, l’importante è che poi esplodono.

I kamikaze di Bruxelles avevano un passato di delinquenti comuni. Sbandati, li definirebbe uno come Sallusti. Facili da reclutare e infarcire di odio anche piuttosto grossolano. Il testamento di uno dei portatori di morte è indicativo: livello espressivo di un post su Facebook, motivazioni non molto diverse da quelle per cui si banna qualcuno o si mette un like.

Se si parla di integrazione, il riflesso condizionato – anche il mio, mica sono San Francesco – riguarda sempre “loro”. Quando vedo un uomo vestito come Michael Jordan accanto a una donna col Niqab, m’incazzo. Però in fondo è un processo che conosciamo bene: il più forte dei due, in questo caso l’uomo, accede agli stilemi occidentali quasi a pieno titolo, ostentandoli. Lei gli sta accanto coperta e senza diritti.

Ora traslate quell’immagine: Michael Jordan siamo noi, la ragazza che somiglia una cabina è l’immigrato.

Che effetto fa?

Oggi il Manifesto racconta di come l’Isis sia diventato popolare, nelle periferie occidentali, nelle Molembeek di mezzo mondo. Non diversamente dai luoghi infestati dalla mafia in cui tra guardie e ladri il popolo sceglie i secondi. E Bill Emmott, su La Stampa, in un pezzo nel quale esorta tra l’altro l’Italia a darsi da fare per davvero, in Libia, ché tanto – aggiungo io – siamo già nella lista e tanto vale agire, menziona una parola a mio parere decisiva: credibilità.

Possono i singoli governi essere credibili nella lotta al terrore quando anche l’ultimo dei picciotti jihadisti sa che scendono a patti tutti i giorni, per mere ragioni economiche? Può il nostro modello democratico ostentare una superiorità culturale, salvo accordarsi col regime turco, dieci secondi dopo, per toglierci dalle palle gli straccioni che scappano da morte e persecuzione?

Attenzione: certo che c’è un problema militare. Certo che va affrontato. Certo che una radice importante dell’Islam (come diceva la Fallaci con l’Ak47 in mano, come scrive molto meglio il poeta siriano Adonis) è saldamente piantata nel terreno dell’intolleranza verso i cosiddetti infedeli.

Ma è, quello, un collante ideale che è diventato prassi solo dopo aver incubato l’Isis, con la nostra fattiva collaborazione. E per sconfiggerlo temo occorra una prassi uguale e contraria che prevede sì molti controlli in più (che non basteranno: davvero pensiamo sia colpa solo dello sgangherato Belgio?) ma anche una rivoluzione radicale che comincia da gesti di compassione concreti nei confronti di chi dell’Isis è vittima, ma viene rimandato a casa a calci in culo quando cerca di sfuggirne.

Macinando altro risentimento che si mischierà a esplosivo, vetri, chiodi.

Non armare le menti di nuovi terroristi, al di là di ogni presunto buonismo, mi pare un atto parecchio concreto. E, sul lungo periodo, prima del quale certamente pagheremo altri prezzi, decisivo.

Perché mi piacerebbe fosse chiaro una volta per tutte: quelli ideologici siete voi.

Dell’amico Andrea Scanzi, post imprecisi e valutazioni sulla guerricciola civile all’amatriciana tra gente di un certo livello

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(ANSA – MICHELANGELO) Andrea Scanzi, un pupazzo e Luca Bottura (nell’ordine che preferite)

Io non ho nulla di personale contro Andrea Scanzi.

Ho amici Scanzi.

Uno è lui.

E gli voglio più o meno bene da quando portava una lasagna al posto dei capelli e lo invitavo a G’Day, dalla comune amica Geppi Cucciari, a svolgere il ruolo da bello, intelligente e cazzaro che ha successivamente abbandonato a favore di quello del bello, intelligente e indomito.

Vale tutto.

Quando nacque Pubblico, il giornale di Telese, chiamai lui, a Capital, per fargli da traino, ben sapendo che lo odiava in quanto fuoriuscito dal Fatto Quotidiano.

Era un gesto satirico.

Perché io faccio più o meno quello, satira.

Capii che le cose erano cambiate e si era entrati nel mondo del “o con noi o contro di noi” quando, credo un paio di anni fa, scrissi un tweet dicendo ciò che ripetevo da anni, e cioè che dopo la caduta di Berlusconi si doveva andare a votare subito senza le alchimie di palazzo che lo hanno resuscitato (e, peraltro, hanno permesso il trionfo di Grillo alle successive elezioni).

Andrea mi rispose pubblicamente dicendo che “voi avevate sempre detto il contrario”. E per “voi” intendeva quelli di Repubblica.

Gli chiesi “ma voi chi?”, in pubblico, mentre alcuni mie ascoltatori gli rispondevano: guarda che no, lui diceva altro. Ha sempre detto altro.

Ma siccome per lui portavo la giacchetta sbagliata (che poi, non che sia un male lavorare per Repubblica, ma io scrivo per il Corriere e sono un freelance da ormai vent’anni) allora dovevo per forza aver spalleggiato la linea della tessera Pd numero 1.

Gli scrissi un sms sollecitando una risposta. In verità, confesso, ne scrissi più di uno. Ero più amareggiato che incazzato.

Mi rispose con un colpo da maestro dopo circa due ore: “Stavo scopando”.

Quando mi richiamò, peraltro cordialissimo, gli spiegai la cazzatona. Non prima di essermi congratulato per il gesto atletico. Non mi pare, ma posso sbagliare, che abbia mai corretto.

Anzi no: forse scrisse qualcosa del tipo “mi fa piacere per te”. Ma sono anziano, ormai mi perdo tutto. Amen.

Successivamente, fu lui ad invitarmi al suo programma su La3. Non potevo mai, ma sarei andato volentieri. Tutto sotto controllo.

Oggi però è ricapitato.

Andrea ha argomentato sulla sua seguitissima pagina Fb a proposito delle primarie Pd a Napoli, dove com’è noto – e come ha documentato il sito Fanpage, ripreso e citato tra gli altri da la Repubblica – è andata in scena una pagina alquanto scurrile di gente pagata per andare al seggio con cifre tra gli 1 e i 10 euro.

Per la precisione, ha commentato ironicamente che era certo di ascoltare presto gli Zucconi e i Bottura censurare la cosa. “I Bottura”, proprio così. Immagino che volesse sentire anche lo chef per metterlo nell’inserto gastronomico del Fatto.

Ne è seguito tra le altre cose un florilegio di commenti degli estimatori di Andrea sul mio silenzio, sulla mia paraculaggine, su noi gentaccia, sul mio viscidume, gente che voleva prendermi a badilate sui denti, altri che se la prendono perché “fingo di criticare Renzi”, eccetera. Uno, e questo lo trovo da querela, mi ha paragonato a Rondolino.

Siccome rispondo per me (ma mi è grata l’occasione per ribadire che mai, nonostante io mazzi il Pd e Renzi tutti i giorni, Vittorio Zucconi mi ha chiesto fedeltà alla linea) mi preme con gentilezza di far rilevare che ho dedicato al tema buona parte della trasmissione che conduco giornalmente su Radio Capital, rete appartenente com’è noto al gruppo L’Espresso.

Tra le altre cose, ho sottolineato la deliziosa reticenza de l’Unità nel dare la notizia e ho chiesto al pubblico di esprimersi su cosa avrebbero voluto ricevere per andare a votare alle Primarie del Pd, visto che trattasi con ogni evidenza di lavoro usurante.

L’ho fatto in satira perché è il mio linguaggio.

Ora, io non pretendo che prima di dare dell’omertoso a qualcuno si debba verificare di non scrivere una grossolana imprecisione.

Però mi permetto di ribadire che avere un editore non coincide necessariamente, se si ha l’accortezza di tenere la schiena dritta – e magari, per quanto possibile, di scegliersene diversi, di editori – con l’avere un padrone.

Io mi sono sempre comportato così. Anche se col lavoro che faccio sarebbe più comodo e redditizio suonare la grancassa a Renzi. Poi, mi spiace per chi se la prende, non suono neanche quella di Telespalla Casaleggio e di quell’altro tipo che non si presenta alle interviste anche se l’ho pagato per farlo.

Però immagino che se ne faranno una ragione.

Tanto dovevo al mio amico Andrea, peraltro ospite periodico di Capital All News, che saluto con la simpatia di sempre.

 

Qui, se interessa, c’è la puntata.

Unioni civili, una parola di chiarezza: l’intervento di Renato Zero a San Remo

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zeroDi Renato Zero

Perché è il momento proprio di fermarsi un attimo a riflettersi, a guardarsi un pochino intorno.

Significa anche, eeeh, dare un’occhiata al pianerottolo. Al nostro condominio. Perché se la guerra sta lì, sta dappertutto.

Quindi dovremmo cercare un po’ di far pace con questi sorpassi.

Perché se riusciamo a guadagnarci la macchina che è davanti a noi, non abbiamo sicuramente risolto nulla della nostra vita.

Perché i sorpassi bisogna farli con sacrifici, con rinunce (applausi), con una grande prova di tenuta.

Quindi, io mi aspetto che questo disco, proprio, ci consenta a tutti, anche a me che l’ho scritto, a me che l’ho prodotto, che ci consenta proprio di fermare un po’ le macchine. Di guardare un po’ anche a questa nostra piccola vita privata, questa, questa famiglia, no? Che ottenga finalmente quel significato e quel valore che i nostri genitori, perlomeno i miei, mi avevano così felicemente inculcato.

La famiglia è importante, se ne parla adesso come se fosse una novità.

Da quella famosa capanna, eeeh, dove faceva molto freddo, e il signore era lontano quella notte, abbiamo imparato molto, abbiamo imparato che la convivenza dev’essere esercitata tra le quattro pareti di casa e poi avere casomai l’ambizione che questo nostro pensiero si affermi anche altrove.

Grazie di esistere a tutti. (applausi).

 

Persino i cinesi

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Non voto alle primarie Pd perché il Pd non mi rappresenta.

A Milano forse avrei fatto uno strappo perché le amministrative sono una storia a parte e vorrei che la vicenda Pisapia non restasse lettera morta.

Ma non sono residente.

Se avessi votato, avrei scelto Majorino.

Non amo Sala, ho colto i limiti dell’Expo le cui vestigia marciscono a Rho senza un piano di dismissioni, dopo una gestione non priva di importanti opacità.

Temo non sarà un buon sindaco ma spero di ricredermi.

Di più: non so neanche se possa vincere, perché se Comunione e Liberazione candida Lupi, certi poteri forti potrebbero preferire l’originale alla versione in salsa democratica.

Detto questo, Sala ha fatto una cosa molto semplice: ha mandato una sua rappresentante dal presidente della comunità cinese di Paolo Sarpi (che è grande e radicata da decenni) facendo promesse e chiedendo un appoggio.

Pubblicamente.

Il presidente in questione ha fatto sapere ai suoi rappresentati che Sala potrebbe favorirli e ha invitato a votarlo.

Sala sta raccogliendo – pare – preferenze anche (anche) da gente che non sa l’italiano, non sa esattamente nemmeno dove si trova, ma ha recepito un’indicazione di possibile miglioramento delle proprie condizioni e vota esclusivamente per i propri interessi.

Praticamente leghisti.

E’ brutto? E’ bello? E’ preoccupante? E’ poco opportuno?

Posto che sono domande legittime, che potremmo e dovremmo farci a ogni elezione (anche quando votiamo solo noi musi bianchi), e aggiunto che non voglio essere benaltrista e che se risultassero scambi di denaro sarebbe qualcosa che somiglia a un reato e andrebbe punito, vorrei porre una domanda ai colleghi giornalisti:

quando Hillary Clinton andrà a chiedere il voto alla Niaf, l’associazione degli italiani d’America, titolerete “L’ultimo tarocco: la Clinton recluta persino gli italiani”?

No, non credo.

Non oggi.

Ma immagino che i giornali americani lo facessero settant’anni fa.

Ecco, benvenuti nel 1946.

In un Paese bigotto che non sa nemmeno distribuire i diritti civili a tutti ma difende l’orticello, come una specie di riflesso pavloviano, se persino i cinesi votano alle Primarie.

Persino.

E persino persone dabbene, per un titolo, diventano come i razzisti.

Quelli che, loro sì, non muoiono mai.