E ‘sti taxi

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Mentre siamo alla vigilia della terza guerra mondiale, solo un perfetto cretino perderebbe tempo e byte a scrivere della querelle tra i taxisti e Uber.

Eccomi.

Riepiloghiamo: da una parte c’è una app che mette in contatto un tizio che ambisce a essere trasportato con un tizio che vuole farlo. E’ tale e quale agli abusivi che trovi davanti alle stazioni, con la differenza che qui l’autista fai da te è – mediamente – controllato. Ma quello è: un taxi non regolamentare.

Usavo Uber Pop, ogni tanto. Costa poco. Ho quasi smesso. C’è una sensazione di precarietà e di illegalità. Almeno per me.

Dall’altra ci sono i taxisti. Che lamentano con più di una ragione la concorrenza sleale. Loro hanno un patentino, loro hanno pagato una licenza, loro pagano le tasse (su questo punto, sugli studi di settore, sul perché si spendano centinaia di migliaia di euro per guadagnarne 15.000 l’anno si potrebbe aprire un dibattito, ma evito). C’è il piccolo problema che la concorrenza leale spesso non esiste, grazie anche alle celeberrime discese in piazze del periodo Bersani, con tanto di blocchi stradali, minacce, aggressioni.

Ognuno scelga la parte con cui stare – io per esempio sto spesso col car sharing – ma qui si parla d’altro.

taxi

Dico a te, signora col cartello in mano. A te che hai deciso di equiparare una legittima battaglia di categoria con 12 tizi sterminati per la libertà di stampa. A te che hai preso carta, penna e font per scrivere “Je Suis Taxi Legale”.

A te, credo di dover porre un problema di opportunità.

Secondo me, dopo attento esame, sarebbe opportuno che andassi a ca*are. In cinque minuti. Non c’è numero.

Se il messaggio è arrivato, si prega di riagganciare.

Beppe, Mara e la Scelta Cinica

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Cmuccion la sobrietà che lo contraddistingue, Massimo Bugani, consigliere del Movimento Cinque Stelle al Comune di Bologna e stellina piuttosto brillante nel cerchio magico di Peppe – ha condotto la manifestazione al Circo Massimo – mi dà pubblicamente del poveraccio.

L’insulto è motivato dal fatto che mi capitò di ospitare in radio Mara Mucci, la deputata che recentemente ha lasciato il Movimento e che oggi è stata raggiunta da una colata di fango proveniente dal sacro blog, sotto forma di un’intercettazione ambientale nella quale un tizio di Scelta Civica la invita a formare un gruppo comune per accedere a 50.000 euro di rimborsi che permetterebbero ai due partitini (ex montiani, ex grillini) di assumere 7/8 persone.

Naturalmente non rispondo a Bugani. Mi limito a segnalare che la famosa classifica mondiale della libertà di stampa ci ha visti pochi giorni fa retrocedere oltre la settantesima posizione. E questo non perché i giornalisti italiani siano servi, non tutti (naturalmente ce ne sono perché trattasi di un tratto distintivo dell’italica genia) ma perché i fenomeni di intimidazione, insulto, dileggio ai danni dei cronisti sono in continua ascesa. Naturalmente non oso paragonarmi, da caporale satirico quale sono, a chi fa del mestiere una missione. Però è vero che, anche in nome di quella classifica e a come è stata interpretata da Peppe e dai suoi, l’Italia è piena di gente che insulta, intimidisce, diffama, rende bersaglio della rabbia popolare chiunque non la pensi come loro. Quindi i Bugani stanno alla salvaguardia della libertà di stampa come un Big Mac sta alla lotta contro l’obesità infantile.

Quanto a Mara Mucci, che naturalmente potrebbe anche essere una quinta colonna dei partiti nel movimento, una che aveva il solo scopo di fare cassa (le ho parlato tre volte, non mi sembra, ma tutto ovviamente può essere), e a questa storia, devo una risposta a chi mi chiede cosa ne pensi.

Penso che le intercettazioni ambientali siano un reato, a meno che non smascherino un altro reato. Non mi pare, dal file postato da Peppe, che ricorrano questi estremi.

Penso che in quell’audio riceva una proposta. E che sia tagliato per farla risultare una poco di buono.

Penso che la politica costi. Lo sa anche Casaleggio, che drena denari col click-baiting e immagino li destini al Movimento. Quindi quei famosi 50.000 euro, ove fossero realmente arrivati a Mucci e compagni, sarebbero stati legittimi. E’ un calderone al quale attinge anche il M5S, con cui paga i propri collaboratori, e non ha nulla a che fare con gli stipendi – parcellarmente – ridotti.

Penso, in generale, che tra i titoli di giornata del sacro blog, quello più interessante sia un altro: “Loro non si arrenderanno mai, noi neppure”. Il cui corollario è che non cambierà nulla, che il M5S continuerà a essere residuale, e a punire gli apostati con questi metodi violenti e profondamente antidemocratici.

Quando il M5S accusa Renzi di una virata autoritaria, ha perfettamente ragione. Ciò che si sta facendo della Costituzione è piuttosto pericoloso. Combattere quella virata facendo a botte in Parlamento, spedire ai margini le persone ragionevoli, tentare di mascariarle, attribuire al vil denaro ogni neurone che non fa la ola all’ennesima alzata di testa del Capo, significa che ci siamo giocati 9 milioni di voti al videopoker.

Contenti voi.

Satira e libertà di espressione: perché non si arrestano neanche le teste di minchia

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(ANSA – MARTUFELLO) Dieudonné al massimo della sua virulenza intellettuale

Diuedonné è un comico francese antisemita.

Usa il linguaggio della satira per dire cose disturbanti, che in massima parte mi risultano irricevibili.

Anzi, mi fanno proprio incazzare.

Non mi fa ridere. Per i cultori del genere, mi sembra Martellone mandato a sbattere contro Mario Borghezio.

Qualche mese fa gli fu proibito di esibirsi in pubblico e pensai: “I francesi sono persone serie, ci sono limiti invalicabili”.

Ho cambiato idea.

L’ho cambiata questa mattina quando l’hanno arrestato.

L’accusa: ha fatto apologia di terrorismo pronunciando la frase “Je suis Charlie Coulybaly”.

Attenzione: il tizio in questione resta un orrendo coglione che si fa scudo con la questione palestinese per veicolare contenuti al confine col nazismo.

Ma se c’è una cosa che possiamo invidiare agli amici transalpini, da sempre, è il senso dell’opportunità.

Per quanto terrificante possa essere il suo dire, non si arresta un autore satirico a una settimana dalla strage di Charlie Hebdo.

Non è opportuno.

E’ il senso dell’opportunità è mobile. E (pazzesco) giustifica una tantum la peggiore delle malattie: il benaltrismo.

Non è opportuno fare orrende battute razziste su un palco.

Ma mettere al gabbio un comico per le sue enormità intacca quel senso di comunità laica cui ci siamo iscritti in questi giorni, grazie al martirio degli eroi disarmati di Charlie Hebdo.

Quindi è ancora meno opportuno.

Perché la libertà di espressione non è un club dal quale si possa entrare o uscire a seconda che l’interlocutore ci piaccia o no.

Altrimenti si rischia di essere come Sallusti, Salvini, Toti, la Santanché.

Hypocrite.

A me Dieudonné fa schifo.

Ma oggi #jesuischarliecoulibaly.

Canone Rai e Renzi: così per spot

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Negli spot del canone Rai 2015 hanno dovuto specificare che anche quest’anno si paga in Posta, e questo perché Renzi aveva invece annunciato che sarebbe finito nella bolletta elettrica. Evidentemente temevano che l’effetto annuncio portasse a un’evasione di massa. Renzi aveva anche detto pubblicamente che: 1) la piccola evasione non è il problema; 2) gli scontrini non servono e vanno aboliti; 3) sotto il tre per cento è giusto non sanzionare chi evade e la manona che l’ha deciso è la sua. Morale spicciola: con gli annunci, più che con le leggi, si costruisce la propria ideologia di governo. E gli effetti sono concretissimi. Basta volerli vedere. Avanti col prossimo spot.

A nessuna richiesta: due o tre cose che so del culto di Padre Pio

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(ANSA - DISNEYLAND) San Pio durante il celebre miracolo del Disco d'oro

(ANSA – DISNEYLAND) San Pio durante il celebre miracolo del Disco d’oro

Da “Tutti al Mare Vent’Anni Dopo” (Perdisa Pop, 2006)

La costa del Gargano sembra un televisore celeste cui qualcuno abbia girato al massimo la manopola del colore. In un posto così, solo un perfetto cretino concentrerebbe la propria attenzione sui cartelli che scortano la strada. Appunto. Così, mentre il turchese a strapiombo si fa sempre più vivo, mi ritrovo a notare che anche la pubblicità dell’Ipercoop di Foggia, come già quella di Bari, presenta un’inedita banda tricolore sotto il logo. E ben presto un’ipotesi perversa si fa strada: magari, visto che qualcuno continua a percepirlo come un supermercato comunista – bell’ossimoro – i capoccioni del marketing hanno pensato di tranquillizzare i clienti moderati sul proprio patriottismo. Di qui i colori della bandiera sbattuti in bella e inutile mostra. Un’ipotesi talmente paranoica che sta quasi in piedi.

A Pugnochiuso, dopo una breve discesa tra pini, cartocci di vino, bottigliette, un camper trevigiano messo strategicamente in modo da far passare solo chi arriva in elicottero, ritrovo Cala La Pergola, meraviglioso anfiteatro di roccia che il Serra descrisse assediato da genovesi urlanti, romani vocianti, locali bercianti. La conformazione naturale aiuta a diffondere i rumori umani. Ma quali siano, non saprei dire. Mentre sono quasi a contatto con la piccola spiaggia – capienza al limite, circa 150 persone, solo una signora in costume nero intero galleggia a dieci metri dalla riva – il brusio viene squarciato dall’antifurto di una Citroen Zx nera targata Foggia. Ora: ma chi cazzo te la ruba una Citroen Zx di almeno quindici anni? Fatto sta che la sirena va avanti a intervalli regolari per mezz’ora e il proprietario non ritiene di farsi vivo. Risalendo sconfitto, mi convinco che in pochi e limitatissimi casi la giustizia sommaria non è poi ‘sta gran barbarie.

Superata Vieste, dove le case soffocano l’antica torre d’avvistamento in un abbraccio che solo l’abitudine e l’assuefazione possono rendere accettabile, proseguo la ricerca di una spiaggia appartata. Qualcuno però ha altri programmi per il mio futuro prossimo. Nella litania di campeggi, un’insegna si fa largo a gomitate: Camping Padre Pio. E’ il segno, forse, che per farsi un bagno in santa pace servirebbe un intervento divino. Ma anche, un favoloso pretesto per sterzare verso l’interno. E andare a verificare se davvero San Giovanni Rotondo è diventato quel tempio con troppi mercanti che ha scandalizzato persino intellettuali del calibro di Marcello Veneziani. E dico calibro (non ricordo chi cito, ma se la battuta è copiata chiedo comunque scusa a Luttazzi) perché trattasi di pistola.

Il primo dei molti miracoli di giornata è la pulizia del parco nazionale. I quaranta e passa chilometri di tornanti tra Vieste a San Giovanni riconciliano con la natura, che in Puglia – tutta, pure nel Salento più selvaggio – sembra una Miss mondo col corpo pieno di cicatrici. Né si alzano, almeno in concomitanza col mio passaggio, i pennacchi di fumo bianco che ho incontrato a ripetizione da Napoli a qui. Per puro divertimento, mi sono pure preso la briga di segnalare gli incendi a uno qualunque dei circa 170 numeri centralizzati – 115, 1515, 113, 112 – e ogni volta mi hanno risposto che già sapevano. Anche in Calabria, verso Cutro, dove l’incendio già lambiva la carreggiata e non si vedeva traccia d’intervento umano. Sono sempre più convinto (stavolta cito Benni, e me lo ricordo pure) di appartenere alla schiera degli “omini con vocina”: credibilità fonetica zero.

Sul depliant dell’albergo di San Giovanni, il secondo evento che la mente umana non può spiegare: perché, se si trova a circa tre chilometri dal santuario, sostiene di essere a 900 metri? Probabilmente perché conta sulla levitazione naturale, che permetterebbe al pellegrino di raggiungere il luogo di preghiera percorrendo in volo la linea d’aria. Nella hall, i primi gadget smontano la tesi di Veneziani: nulla che non sia strettamente correlato al culto. Come non considerare tale il pianoforte a coda in miniatura con sopra il volto di Padre Pio? E il padre Pio meteo, che scandisce il tempo della preghiera cambiando colore? Per non parlare del portachiavi etnico con Padre Pio ricamato sulla suola di un sandalo di cuoio, del bavaglino Padre Pio, della boule de neige di Padre Pio, dell’accendino padre Pio in finta radica, e naturalmente del servizio da té per bambole con sopra il volto del santo di Pietrelcina.

Uscendo, la sensazione di estremo rigore si rafforza. Mentre percorro a piedi quelli che credo essere 900 metri, realizzo che il Giubileo del 2000 ha permesso di combinare fede e accoglienza con esiti commoventi. Se prima il pellegrino era costretto a dormire in ripari di fortuna, ora può scegliere tra centinaia alberghi di ogni ordine e categoria. Tra cui il “Centro spirituale Padre Pio”, che non ha ritenuto di chiamarsi hotel per non indurre il visitante a un facile riposo dello spirto.

Quanto al cibo, il proliferare dei buttadentro (otto in un quarto d’ora: si mangia con meno di dieci euro) testimonia un fervore laborioso e diffuso. C’è pure un Mc Donald’s, che finora al sud avevo trovato solo all’interno di grandi strutture commerciali. Qui, invece…

Salendo, sotto il sole sempre meno clemente, una manina mi distoglie dalla traiettoria del Trenino del Pellegrino. Mi avesse centrato, avrei potuto comunque contare sul rinnovatissimo Pronto Soccorso, il cui ingresso è proprio davanti alla basilica e nel mezzo di un traffico rigoglioso. Geniale.

Percorsa un’avveniristica passatoia, sorta di aeroporto del credente in attesa che l’anima si libri in volo, eccomi nella spianata dei parcheggi. Qui, fino a cinque anni fa, l’accesso al Parco del Gargano si innalzava inutilmente intonso, con le sue ovvie conifere. Oggi lo impreziosisce un delizioso silos multipiano e, ai suoi piedi, una fila di bancarelle. Su cui la modernità di culto si dipana per arditi accostamenti: le icone di padre Pio, declinate in ogni oggetto e forma, fianco a fianco col wrestler John Cena, con le magliette di Bart Simpson, con i polsini istoriati dal simbolo della marijuana, con la maglia di Gullo, quello del reality show “Campioni”. C’è anche una pistola ad aria compressa.

Il miscredente che è in me affronta una negoziante, nascosta da alcuni Padre Pio in vetroresina pubblicizzati anche su Gente. Come da ritaglio esposto. Il più costoso esce a 550 euro. Le chiedo quale articolo va di più. Giustamente mi fulmina: “Che domanda idiota. La fede è un dono, i percorsi che segue sono personali, e spesso silenziosi. Dio quando arriva non si annuncia”. Mi scuso, anche perché l’ultima affermazione suona vagamente minacciosa. Poi abbozzo: “Cosa è cambiato dopo il Giubileo?”. Risponde: “E’ cambiato che l’amministrazione ha concesso licenze all’impazzata e qui non si vende più niente. Il pellegrino va dal venditore poco professionale e si busca la fregatura. E’ un’abbuffata, invece il piattino va messo con le mani”. Poi mi guarda fisso e ripete: “Dio quando arriva non si annuncia”. Sbaglierò, ma mi sembra che voglia annunciarmelo lei.

E’ il momento di scendere e di entrare nel santuario. Conosco la cripta: periodicamente la guardo via satellite su Tele Padre Pio, di notte. E’ un’inquadratura fissa, ovviamente. Ma chissà perché mi sento di preferirla ai programmi di Gabriele La Porta. Fuori, nel piazzale, almeno un migliaio di persone. Di ogni estrazione, con ogni vestito. Anche quelli da mare: magari sono passati a fare un salutino prima di tornare a casa, ché porta bene. Sotto, a pregare, saranno sì e no una quarantina. In ginocchio, disposti ai quattro lati del cubo di marmo. Un cartello ammonisce a non lanciare denaro, la tomba ne è piena. Anche banconote da 500 euro. Adagiate su foto di persone, ex voto. Un fluire di speranze difficile da arginare e da codificare per chi nel cuore non porti altrettanta luce, o disperazione. Tling, cadono altri due euro.

Uscendo, entro nella prima pizzeria che non mi ha consegnato bigliettini. E’ presa d’assalto. Una ragazza visibilmente non italiana è sopraffatta dalle ordinazioni. Sbuffa, allarga le braccia, si rivolge fuori controllo alla padrona del locale. Avrà vent’anni, un grembiule blu, una bustina dello stesso colore. Dopo essere stato servito per ultimo, quando la folla è sciamata, scopro che di anni ne ha 23. E’ romena, di Brasov. Transilvania. Ha una figlia di tre anni, che non vede da gennaio. Prende 300 euro al mese. Anzi prenderebbe. Non la pagano da maggio. Ma non ha i soldi per tornare a casa, e qui almeno le danno da dormire e da mangiare. Le fanno la carità, insomma.

Risalendo in macchina, resisto alla tentazione laica, o laicista di invocare l’ennesima intercessione divina, stavolta per Agneta e per la sua bimba e contro la megera che sta sotto la cassa, naturalmente ai piedi di un’icona del santo. Esco. E annoto l’ultima insegna che lo merita: “Prefabbricati Padre Pio”. Intanto, sulla radio dedicata al santo, il cantante neomelodico Mimmo Nardo sta invitando gli ascoltatori a una serata per il Chad “a cui forse viene pure Giletti”.

Poi, la voce dello speaker: “Adesso vi facciamo vedere alcune foto”.

Miracolo.