Ho visto anche Zingaretti felici: una lettera di Emanuele Lanfranchi sul caso Report

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zingabbaA proposito delle mie considerazioni sul cosiddetto metodo Report, ricevo su Facebook e volentieri ripubblico

di Emanuele Lanfranchi*

Caro Luca mi permetto di intervenire e di invadere il tuo spazio. Ma penso sia giusto, per completezza di informazioni, fare qualche precisazione. Prima di tutto però voglio ribadire per l’ennesima volta che mai mi sono lamentato per le domande del giornalista o del fatto che non ha seguito la traccia concordata. Come dico nella registrazione ne ero consapevole e mi stava bene così.

Col giornalista semmai mi lamento di altre cose: l’aver tagliato il resto dell’intervista, la tesi precostituita e, ma questo solo dopo la messa in onda del servizio, l’assenza totale di verifica delle fonti.

Per quanto riguarda il taglio dell’intervista: mettiamola così, se tu mi chiedi una intervista sui risparmi regionali io non pretendo (senti registrazione) un panegirico su quanto siamo bravi e compagnia bella. Mi aspetto anche le cosiddette domande “scomode”, ci sta, è il ruolo del giornalista che lo impone. Come impone però anche una correttezza nella messa in onda del servizio, in cui si racconta anche quanto di buono è stato fatto, oltretutto in questo caso argomento strettamente connesso all’oggetto dell’inchiesta (è stata tagliata la frase in cui Zingaretti sosteneva che anche grazie ai 63 dirigenti esterni si è risparmiato 1 miliardo di euro).

La tesi precostituita era lampante fin dal trailer: in Regione si fanno i bandi di gara finti. Questo è l’assioma di partenza raccontato così bene dalla Bernardeschi (ex dirigente regionale ehhh) a cui Mottola chiaramente non chiede prove di quanto afferma (Mottola:
ma quanti nomi ha indovinato; Bernardeschi: tutti. Io: e dove sta scritto? Come lo dimostri? Quanti candidati c’erano a questi bandi?). Anche nel caso successivo della fantomatica dirigente oscurata in volto che accusa brogli nei concorsi. Ma io come faccio a sapere se è davvero una dirigente? Ma soprattutto Zingaretti avrebbe dovuto avere la possibilità di spiegare il fatto, chiarire cosa era successo. Invece non solo questa possibilità Mottola la esclude serenamente ma, anche in questo caso a sostegno della tesi della signora non c’è alcuna vera prova.

Quindi questo pippone solo per dire che nessuno vuole il giornalista docile o servizievole, ma neanche, permettimi, il giornalista che ha come unico intento quello di fregarti o di sputtanarti. Sarò romantico ma vorrei un cronista severo e puntuale, duro e autorevole, obiettivo e giusto.


Ah per quanto riguarda la telefonata ammetto che anche a me non è piaciuto registrare all’insaputa, per questo prima di pubblicare, per questo a differenza di quanto fa Report, ho avvertito il collega che mi ha dato il suo benestare. Un saluto.

* Capo Ufficio Stampa di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio

Caro Emanuele, grazie per la lettera e per le precisazioni di merito in essa contenute. Come avrai notato, però, io ho cercato di trarre dalla vostra vicenda una piccola analisi di sistema, tutt’altro che estremista. La riassumo: trovo che nessuno, nemmeno con le migliori intenzioni, possa decidere cosa un cronista deve inserire in un pezzo. Come ho scritto e ripeto (anche perché si veniva dall’invasione delle cavallette) non dubito affatto che ci siano mirabilie della Giunta Zingaretti da raccontare. Ma temo non sia compito di chi fa giornalismo d’inchiesta. Quanto alla tua obiezione sulle imprecisioni che il servizio conterrebbe, le chiacchiere stanno abbastanza a zero: o quei bandi erano truccati, o no. Se non lo sono, è diffamazione. E allora, forse, invece di precisare fareste bene a querelare e, intanto, a richiedere una precisazione ai sensi della legge sulla stampa. Se sì, al di là dei modi usati, c’è invece la possibilità che, come nel caso della Mafia romana, il gigantesco ingranaggio della Regione Lazio contenga quantomeno impurità che vi sono sfuggite, vi converrebbe dare un’occhiata quanto prima. Infine, due cose: 1) Provocando il tuo interlocutore, durante quella registrazione, ne hai assunto i comportamenti: bisogna perciò decidere se tu sia stato un buon cronista pro domo veritate o sia stato furbetto come chi accusi; 2) quando qualcuno ha scritto di vicende che conoscevo bene, o mi è capitato di dare interviste, ho sempre riscontrato forzature e imprecisioni, che ho persino dovuto rettificare, ovviamente con tre righe pubblicate nella posta a pagina 2028. Ciononostante temo che l’unico modo per dare decoro al mestiere sia applicare il proprio punto di vista, badando se possibile che sia un punto di vista preparato e perbene. Naturalmente, visto il dibattito che questa storia tra suscitando – dibattito che tra l’altro ritengo utilissimo – è la mia opinione. Ti auguro buon lavoro. Grazie.

Il metodo Report: due o tre cose spiegate male

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La vicenda è nota: Report chiede un’intervista al presidente della Regione Lazio, Zingaretti, e poi la inserisce in puntata tagliando solo la parte che riguarda recenti e poco commendevoli fatti di cronaca.

Il capoufficio stampa di Zingaretti chiama stizzito il cronista e gli rimprovera di:

1) Non aver seguito le domande concordate;

2) Aver estrapolato solo una parte;

3) Non aver dato le notizie buone – ce ne sono – che riguardano l’operato di Zingaretti.

Poi registra il tutto e lo mette online, con l’obiettivo di “smascherare” il cosiddetto metodo Report.

Orbene: anche a me, da semplice spettatore, ci sono cose di Report che non piacciono. Ogni tanto, ma è un problema mio, mi provoca la cosiddetta “Sindrome di Mi Manda Raitre”, quella che mi assaliva quando un tizio andava a lamentarsi di non aver vinto al Totocalcio acquistano santini profumati su una chat line. Dopo tre minuti cominciavo a urlare verso il video: “Te lo meriti, coglione. La prossima volta sta’ più attento. E spero ti tolgano il diritto di voto”. Poi mi portavano via.

Ed è anche vero, accusa che l’agit prop di Zingaretti muove alla Gabanelli, che a volte le inchieste sembrano partire da un assunto da dimostrare. E questo le rende un filo meno credibili.

Inoltre, cazzo, nel 2014, prima di riprendere dovete “fare il bianco” e mandare in onda interviste a fuoco.

Però.

Però prendiamo le tre accuse punto per punto e diamo loro una risposta chiara.

1) E allora?

2) E allora?

3) E allora?

Fare domande non concordate, estrapolare la parte che si tiene più rilevante, lasciare le realtà edificanti a chi deve comunicarle per mestiere (gli uffici stampa, non i programmi di inchiesta) è proprio della professione giornalistica.

Deontologia impone che si segua l’onestà intellettuale nel dare le notizie, che le si propongano al pubblico in modo trasparente, che ne si stabilisca la rilevanza su criteri di oggettività e di impatto sociale. E Report lo fa nel 99 per cento dei casi.

Altrimenti, per citare Piero Fassino, la Regione Lazio si fa una tv sua in cui ci racconta le meraviglie (ce ne sono) di Zingaretti e vediamo quanti ascoltatori prende.

Il problema di questa ansia delle disintermediazione, di questo schifo per la stampa, di questa diffusa antipatia per chi svolge con coscienza il proprio lavoro, è che le notizie vanno bene solo quando toccano gli altri. Che il “sensazionalismo” – Grillo insegna, e proprio sulla Gabanelli: da eroina a reietta – viene accettato solo se colpisce gli avversari. Che il giornalista dev’essere cane da guardia per chi ci sta sui coglioni e cane da compagnia per noi.

Sennò il Pd di Roma, quando Report scoperchiò la mafia capitale con largo anticipo – insieme a Lirio Abbate de l’Espresso – si sarebbe mosso di conseguenza, senza aspettare le sirene dei carabinieri. Invece derubricò il tutto a rottura di palle che si sarebbe presto quietata. Come accadde.

Per questo, con tutto l’affetto per Zingaretti che mi piace molto già dai tempi di Ferie d’Agosto*, trovo che il metodo Report sia preferibile al metodo smaschera Report. Anche perché se c’è una cosa che mi urta del programma di Raitre è l’abuso dei fuorionda. Lo capisco se hai l’esclusiva di chi è stato a Ustica. Meno se serve a sbugiardare un assessorino, magari già mascariato a sufficienza con le telecamere spianate.

Però è esattamente lo stesso metodo che ha usato chi Report voleva sbugiardarlo. Perché siamo tutti adamantini coi fuorionda degli altri.

Ma di come la mancanza di senso dell’opportunità abbia ucciso questo Paese tratteremo la prossima volta.

A presto.

* Nota per il senatore Giovanardi: è una battuta

 

Una moderata considerazione a beneficio del cittadino Di Battista

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fn m5sCome ho già scritto, mi preme ringraziare il cittadino Di Battista perché mi ha aiutato a schiarirmi le idee.

Ieri sera da Mentana diceva cose sulla corruzione (alcune) che, benché espresse in un italiano da social network e con un tono di voce altissimo, collimavano in gran parte con quel che penso io e molta gente come me: la legalità come valore, la necessità di riformare la politica debellando i comitati d’affari, eccetera. Come molti pentastellati, Dibba credeva di avere l’esclusiva dell’indignazione. E come quasi tutti i pentastellati, pensava che questi tizi (politici, banditi, ma soprattutto il mondo di mezzo che chiudeva gli occhi) arrivassero da Marte. Che non fossero stati votati, scelti, favoriti da un Paese profondamente colluso, marcio nelle viscere, composto per una parte importante da persone, cittadini appunto, che a furia di girare la testa dall’altra parte hanno una trottola montata sul collo.

Ma questo è un problema parcellare.

Lasciamo stare il contesto. Lasciamo stare che non avesse alcun progetto concreto con cui rispondere alle domande di Mentana, a parte richiedere la presidenza della commissione trasparenza del Comune, perché così poi garantiva lui. Al netto di tutto, Dibba lanciava un messaggio condivisibile: moralità, onestà, appunto trasparenza.

Eppure. Eppure mi suonava irricevibile. E me ne dispiacevo. Mi sentivo vittima di un pregiudizio. Perché non mi convinceva?

Stamane ho letto che prima di quella diretta Di Battista era stato in Campidoglio. Aveva berciato (e vabbé, si presupporrebbe che gli eletti portino avanti la battaglia politica altrimenti, ma questo è un vulnus insanabile: stanno dentro al Palazzo e credono di essere fuori) insieme ad altri manifestanti. In modo comunque legittimo. Solo che l’aveva fatto insieme a quelli di Forza Nuova. E alla domanda su come si sentisse coi fascisti a fianco, uniti nei cori, aveva risposto: “Mica glielo posso impedire”.

In quella frase di Di Battista ci sono i fondamenti del mio pregiudizio nei suoi confronti:

1) per me l’antifascismo è un valore non negoziabile e quindi, manco per un breve tragitto tattico, mai unirò il mio cammino a quello di chi non sa e non riesce a professarlo con chiarezza.

2) se sei così tonto da andare a manifestare insieme ai fascisti contro una piovra malavitosa comandata dai fascisti, significa che al posto del cervello hai un milkshake alla vaniglia.

Ciononostante, madido della della rassegnazione con cui vedo lui, gli altri quattro del direttorio, il tizio che li comanda, l’altro tizio che adesso beve i caffè a Genova ma ha prima creato un sogno e poi l’ha ricoperto di velleitarismo, disprezzo per la democrazia, consegnandolo alla situazione attuale, mi permetto di dare a Di Battista un piccolo consiglio:

di tattica e di presunzione si muore.

In due anni avete vissuto pensando sempre ai 10 secondi successivi, imbarcando chiunque per il consenso spicciolo, senza costruire – mi si perdonerà il francesismo – un cazzo di nulla di niente. E’ il vostro limite più grande. Al quale mi preme aggiungerne un altro: questa pretesa di rappresentare il nuovo, l’intangibile, il puro, vi rende invotabili da una gran parte del Paese. E vi porta allo schianto.

Serve un disegnino? Lo farò. Gli ultimi ad aver seppellito le ideologie, a pensare che con la destra corrotta si potesse percorrere un tratto di strada a scopo strumentale, sia per scriverci la Costituzione davanti a tutti, sia per decidere gli appalti in camera charitatis, sono i vostri avversari più acerrimi, quelli senza i quali ormai manco riuscireste più a definirvi.

Per ora, l’abdicazione del Pd ai propri valori fondanti sta nelle carte della Procura di Roma. In futuro potremmo ritrovarla nei libri di Storia, senza che il Movimento ne abbia minimamente impensierito la deriva.

Quindi la brutta notizia per il cittadino Di Battista è questa: in quanto ad abuso di tattica e presunzione di intangibilità, siete tali e quali al Partito Democratico.

Uno vale l’altro.

Ciao.

Diciamolo una volta per tutte: sui sindacati Renzi ha ragionissima

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(ANSA – WHAM) Susanna Camusso dopo il celebre furto della parrucca a George Michael

Amici, compagni (?), concittadini, non sono venuto qui a lodare il sindacato ma a seppellirlo.

Il prode #matteorenzi, dichiarando coram populo che ai tempi di Monti essi, i presunti rappresentanti dei lavoratori, non scioperarono contro la Fornero, ha detto una sacrosanta verità.

Grave fu la colpa delle Camusso, dei Landini, degli Epifani, nel non contrastare la macelleria sociale che il governo applicò su esplicite indicazioni della troika.

Essi, i sindacati, si piegarono alla logica emergenziale che sola sosteneva quel governo, non voluto da nessuno, che tra le altre cose usurpava la nostra sovranità nazionale.

Un governo che era emanazione diretta di Napolitano, rinunciando al quale si sarebbe andati subito alle urne, con Berlusconi al 7 per cento, Grillo ancora residuale, e la sinistra ultravittoriosa.

Che schifo i sindacati. Brutti. Vecchi. Inutili. Complici della grande truffa della Bundesbank con il pretesto – fallace – di non finire come la Grecia.

Impossibili da perdonare.

Tu, invece, Matteo, per guidare un governo voluto solo da Napolitano che usa i lavoratori come carne da cannone, che scusa pensavi di usare?

Landini, Renzi e il consenso delle persone oneste

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(ANSA – HANNIBAL) Maurizio Landini subito dopo aver dimostrato a Renzi che i comunisti non mangiano solo bambini

La credibilità conquistata da Maurizio Landini negli ultimi tempi aspettava solo una buccia di banana su cui scivolare.

E’ arrivata sotto forma di una frase “Renzi non ha consenso degli onesti” sulla quale il Pd sta imbastendo una campagna di sdegno molto pervasiva (e piuttosto in malafede: ieri Matteone aveva detto che con lui c’è l’Italia perbene, stessa roba).

Landini ha comunque sbagliato.

Non è vero che Renzi non ha il consenso degli onesti.

Nel 40 per cento che ha scelto il Pd alberga sicuramente una parte (quella del vecchio Pd? Azzardo: quella del vecchio Pd) che frequenta l’onestà quasi fisiologicamente, per formazione culturale.

Inoltre, anche gli acquisti recenti – quelli da destra, per usare categorie novecentesche – non possono essere tacciati di disonestà soltanto perché per vent’anni hanno sostenuto il fronte dell’illegalità con la quale il Pd sta riscrivendo la Costituzione. Altrimenti il discorso varrebbe anche per larga parte della base a Cinque Stelle.

Landini avrebbe potuto dire, con molta maggiore aderenza alla realtà, che Renzi non cerca i voti degli onesti.

Questo non significa che voglia quelli disonesti. Non significa che Renzi sia un paladino delle leggi violate. Significa solo che il tema della legalità è stato pubblicamente affrontato per la prima volta da questo governo durante l’ultimo G20 in Australia, con un fugace cenno alla criminalità organizzata che allontana gli investitori stranieri.

Prima e dopo, niente.

Nella mirabolante macchina di propaganda messa insieme dal presidente del consiglio, mancano all’appello parole chiare, hashtag, iniziative mediatiche contro le mafie. Anzi: due anni fa alla Leopolda fu ospitato il meritevole Pierfrancesco Diliberto (Pif), il quale chiese un repulisti nelle zone opache del Pd siciliano e iniziative chiare. Due anni dopo, i potentati opachi del Pd ancora dominano la Sicilia e Pif registra i danni concreti che si combinano quando la legge sull’autoriciclaggio la scrivi con i nipotini di Mangano.

Nel frattempo, alla gente comune viene raccontato che che gli scontrini vanno aboliti, a beneficio della completa tracciabilità elettronica e di un fisco amico. Intanto che la tracciabilità prende vita, il messaggio che passa è quello di abolirsi lo scontrino in proprio – fatto! – mentre agli evasori colti in flagrante si offrono sconti se perlomeno non accoltellano i finanzieri durante le verifiche.

Dicendo che l’Italia onesta non sta con Renzi, insomma, Landini ha sbagliato frase.

Doveva cambiarle verso.