Tiromancino: smetto quando voglio

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Ho visto, finalmente, “Smetto quando voglio” il film sui bamboccioni laureati che diventano una banda di spacciatori quasi legali. M’è piaciutino. Chissenefrega, lo so. Ma aspettate. Aspettate di leggere fino in fondo, cosicché il disinteresse sia ancora più profondo e motivato.

M’è piaciutino, e speravo, dopo averne letto mirabilie, mi piacesse tantissimo.

Purtroppo c’erano alcune controindicazioni.

Intanto, appunto, l’ho visto tardi. Quando tutti avevano già scritto che sembrava “Breaking Bad” all’italiana. Ma anche un po’ “Boris”, la bella serie tv di Sky che eternò il retrobottega di una brutta fiction da prima serata di Raiuno, o Canale 5.

Avevo perciò fatto in tempo a vedermi il primo, a rivedermi il secondo.

Per rendermi ahimé conto di come gli ammericani, persino oggi che c’è Renzi, spesso abbiano una marcetta in più. E per annotarmi quella Roma scasciata e seduttiva, cinicissima e per questo quasi romantica e perduta, fosse stata raccontata con qualche bel ricamo in più davanti al pesciolino rosso (appunto Boris) e con qualche guizzo in meno dietro alla pasticca del Sacro Graal.

Che poi è un gran film, per carità. Recitato molto ma molto bene. Avercene. Amo Valeria Solarino. Però è un paradigma di come Roma, da Pasolini fino a Christian De Sica, rappresenti una materia incandescente. Sia che la si voglia raccontare attraverso un Tevere’s Eleven in cui l’Armata Brancaleone affronta Romanzo Criminale. Sia che si cerchi di intercettarne le levità. Per esempio in musica, per esempio i Tiromancino.

Io poi sono fondamentalmente un figlio ‘ndrocchia incompetente, e dunque Zampaglione lo vivo da sempre come la risposta agli 883 senza l’Harley Davidson in doppia fila. Anche qui la metrica è una licenza. Le sillabe inevitabilmente collassano per poter entrare in una partitura che sembra scritta per tutt’altro. “E’ amore impossibile quello che mi chiedi, sentire ciò che tu sola senti e vedere ciò che vedi” pronunciato in meno di due battute, resta un record di densità verbale che al Mit di Boston studiano da anni. L’ultimo mega pc che ci ha provato è esploso.

La differenza è che Zampagli-one è un po’ Max Pezzali mandato a sbattere contro Minghi. Interpreta “quella” Roma credendoci tanto. E’ chiaramente alla ricerca di una poetica propria eppure madida di citazioni: Moccia e Baudelaire nella stessa persona, con tanta buona e orecchiabile produzione.

Il risultato è intenso, gradevole.

Anche nell’ultimo album, appena uscito.

Che spinge parecchio su arrangiamenti vintage, perfetti per un eventuale musical sulla Banda della Magliana. O almeno questo che m’è saltato in mente ascoltando “Indagine su un Sentimento”, che dà il via all’album. E anche “Fuggevoli presenze”. E poi c’è il singolo, dedicato al piccolo Zampaglino, che invece vira su atmosfere dance, e ti aspetti che dal terrazzino di fronte spunti Bob Sinclar insieme alla Loren di “Una giornata particolare”. O i Daft Punk con Mastro Titta. E c’è la struggente, o quasi, Re Lear. Piano, voce, poco più, e una bella variazione sul tema dell’amore che non vede la mattina dopo.

C’è originalità. C’è rappresentatività (la canzone d’amore alla romana, contemporanea). C’è talento. C’è storia. C’è voglia di ascoltarlo.

Peccato solo che, mentre lo senti, fa un po’ l’effetto di quel film. Quello di prima. Bello è bello, dici tra te e te. Ma poi ti viene da pensare: smetto quando voglio.

 

 

Tua Suora

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https://www.youtube.com/watch?v=TpaQYSd75Ak

Fino alla sua apparizione (occhio, il termine non è casuale) i riflettori di The Voice illuminavano un unico tema: come si colora i capelli Piero Pelù? E’ vero che usa petrolio? E se sì, è vero che a ogni puntata del talent di Raidue il prezzo del greggio sale di 8 dollari al barile?

Poi è apparsa lei, suor Cristina. La religiosa gospel. E il velo, invece di squarciarsi, s’è infittito. Collocandosi idealmente sul capo di un pubblico che l’ha adottata, se n’è innamorato, è cascato mani e piedi in questa sorta di Sister Act alla pummarola. Anzi: visto che c’è di mezzo la Carrà, allo squacquerone.

In tv la fantasia è come un buon difensore nella retroguardia del Milan: latita. Ed è così che fior fior di autori* sono al lavoro per cavalcare l’onda, mutuare la genuflessione, cooptare la linea narrativa religiosa di The Voice. Del resto un Paese in cui la rivista “Il mio Papa” vende centinaia di migliaia di copie, Papa Francesco è trendtopic su Twitter e Matteo Renzi fa il premier non può, neanche volendo, non dirsi confessionale.

Quali i prossimi passi? Eccone alcuni, in anteprima.

Fra’ Stornato Verso la settima puntata di The Voice, J-Ax introdurrà un suo vecchio amico, caduto nella ganja da piccolo e poi uscitone dopo aver visto la luce. Anche senza erba. Fra’ Stornato propone un repertorio di reggae cattolico che coniuga i classici di Bob Marley in chiave caraibica e i classici di Tony Santagata in versione ska. I fan già lo chiamano lo Ska-Ppato di casa, e a lui piace.

X Factor Nella prossima edizione del talent di Sky, Morgan sarà sostituito da un personaggio che si veste in modo meno eccentrico: l’ex presidente della Cei Bagnasco. I cantanti dovranno soggiacere ad alcuni test sull’Antico Testamento e chi sbaglierà a intonare il Salve Regina sarà trasferito nel Purgatorio, un ambiente umido e ostile in cui un impianto stereo a tutto volume diffonde senza sosta brani dei Tiromancino. Abbassando leggermente l’illuminazione su Simona Ventura, i telespettatori da casa potranno anche vedere la Madonna.

Mastersing Cucina e canto in un unico, dinamico talent mandato in onda da Sat2000. In diretta dal convento di Camaldoli, introdotti da Francesca Fialdini, l’abbacinante ex conduttrice di A sua immagine che adesso manda in tilt gli spettatori di Uno Mattina, alcuni monaci prepareranno piatti tipici della tradizione di clausura: dal boccone del prete, allo strozzapreti, agli strangolapreti, cioè tutte pietanze che in realtà il riferimento cattolico ce l’hanno solo nel nome ma, se cucinati da religiosi, dovrebbero far breccia anche nel pubblico ateo. Tra i giudici, suor Paola, suor Germana, e un vescovo americano che vorrebbe farsi eleggere Papa col nome di Bastianich I.

Ti lascio una missione Un simpatico format a metà tra la nota gara canora per bambini e la recente missione in Africa di Al Bano e altri cantanti a beneficio della prima serata di Raiuno. In questo caso il taglio sarà più solidale: Al Bano stesso, introdotto da Fra’ Cionfoli, raggiungerà il Continente nero insieme a Povia, Minghi, i Cugini di Campagna, Antonello Venditti e i Pooh. Il lato umanitario riguarda l’Italia: appena depositati in loco, i tizi di cui sopra verranno abbandonati sulla pista senza spiegazioni. Seguirà un Te Deum di ringraziamento intonato da piccoli coristi.

* tutta invidia, la mia

Uscito su Sette

L’uomo col capello

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Ieri sera mentre guardavo la perfomance di Peppe da Mentana, mi è tornato in mente l’uomo col cappello di Bar Sport.

Lo vedevo lì, con tono ora vittimista ora aggressivo, mentre impastava certezze assolute alla brutto giuda, mandava messaggi minatori al sindaco di Parma, mischiava l’Egitto, l’ambasciatore inglese, Renzi, il referendum in Crimea, i server da 250.000 euro l’anno, i bilanci di Casaleggio, si dichiarava nullatenente, ammetteva che va in tv per fare promozione allo spettacolo nei teatri, non si ricordava di aver candidato Orellana a presidente del Senato, “e posso chiamarti Enrico?” (ad libitum).

Alla fine, mentre su Twitter già avanzava la categoria #gliocchibellidipeppe, io mi interrogavo: solo io ho visto un anziano in balia di se stesso che barcollava sugli affondo di Mentana? Solo io, mentre pronunciava Occupi Uoll Street, parlava delle piazze che si riempono, arrancava dietro agli anacoluti di senso e di linguaggio, pensavo di trovarmi di fronte a uno che ha imparato la lezione e pure male?

Ecco, temo il punto sia questo. Noi siamo qui a occuparci del tizio che urla, a deridere Peppe o ad osannarlo, ma anche lui è un semplice portavoce. Del vero leader. Quello che con ogni evidenza scrive i post lucidissimi del blog, dato che nonno Peppe, proprio ieri sera, ha candidamente dichiarato che non sa gestirlo, il blog. E secondo me faticherebbe con ogni evidenza persino a lanciare Word.

Il leader è quello che teorizza guerre mondiali salvifiche, che usa la politica come un tram – prima Silvio, ora Peppe – per le proprie teorie, che spiega agli imprenditori come salvare l’Italia ma con le sue aziende, lo dice lui, è alla canna del gas, e senza il botto di clic che gli porta l’altro, il portavoce, e la pubblicità dei corsi per andare a rubacchiare qualche laurea all’estero, o per dimagrire in 5′, probabilmente sarebbe davvero nei Simpson a fare lo stuntman di Telespalla Bob.

Il leader del M5S non è l’uomo col cappello.

Purtroppo, è l’uomo col capello. 

#vinciamolui.

La linea della polenta

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Stamattina a Lateral, tra i tanti che faccio, ho commesso un errore: ho confuso Rita Atria, la collaboratrice di giustizia che si uccise dopo la strage di via D’Amelio, con Lea Garofalo, la giovane mamma testimone contro la ‘ndrangheta che fu tratta in inganno dal compagno e sciolta nell’acido.

Ne avevo parlato perché sul manifesto, a pagina 6, c’era un pezzo che raccontava i buchi nella protezione dei testimoni di mafia. Quei buchi in cui si annidano i regolamenti di conti, le vendette, ma anche e soprattutto l’abdicazione dello Stato, l’ennesima, al proprio dovere di credibilità. Dicevo, in radio, che un Paese civile non mette un articolo così a pagina 6 di un quotidiano – benemerito – da ventimila copie. In un Paese civile questa roba sta in prima pagina su tutti i giornali. Come il bimbo ucciso l’altro giorno in Puglia. Come ogni notizia di guerra, perché quella della mafia è una guerra contro di noi.

Poi mi sono destato: è una guerra? No, perché una guerra bisogna combatterla in due.

E mi sono detto – non parlo di chi fa la scorta civile ai Pm siciliani, non parlo di Telejato, non parlo di chi ogni giorno, dal basso, tenta di affermare la legalità – ma quand’è esattamente che il taglio di 100 auto blu, per l’opinione pubblica, è diventato più coinvolgente di un quattrenne che muore crivellato?

Occhio, eh? Non è benaltrismo. Non dico nulla degli spot di Renzi: è la politica moderna, e tra l’altro ha pure chiamato tra i collaboratori quel vero mastino della giustizia che è il giudice Cantone. No, parlo proprio di noi. Quand’è stato esattamente che il sangue di certe parti d’Italia ha cominciato a valere meno? Quando abbiamo ritenuto che fosse giusto farci gli affari nostri, magari senza accorgerci che quegli affari se li facevano sotto casa nostra gli stessi che sparano ai bambini?

Poi, per carità, vale tutto. Il motivo per cui non ho irriso gli 80 euro di Renzi (ma lui, un po’, sì) è che, se mai arrivassero davvero, saranno ossigeno per le fasce più deboli. E lascia stare che li spenderanno in ticket, addizionali, servizi che lo Stato ha smesso di dare. Quel che mi chiedo è invece perché chi governa – e chi fa opposizione, e sa parlare solo di casta, mai di noi e dei nostri difetti, e se va in Sicilia dice che la mafia è meglio dello Stato – sia in sintonia così profonda con gran parte del Paese quando derubrica la mafia a evento che non tira. Al massimo tira a segno.

Non ho la risposta. E ‘ste righe in fondo lasciano il tempo che trovano (nuvoloso, pure dentro, mentre scrivo) ma temo che tutto attenga a una coscienza di popolo perduta, se mai c’è stata, alla sindrome del ping pong che ci porta a girare la testa dall’altra parte, e dall’altra, e dall’altra.

Sciascia parlava della linea delle palme, della sicilianizzazione dell’Italia. Senza sapere che sarebbe arrivata in Germania, e non solo. Ma ora il problema, forse, è la linea della polenta. E’ il “cazzi loro” tutto nordico che anima i Salvini, gli economisti di Paragone, gli antieuro complottisti.

Gente che cerca un colpevole altro da sé. Che non vuole responsabilità.

Per quello Zaia pensa di portare il Veneto via dall’Italia (anzi, vuole l’indipendenza, perché in Austria, quando sfrecci a 200 all’ora, magari vai in galera). Vuole andarsene, e in tanti con lui, perché con una frontiera in mezzo sarebbe ancora più facile non vedere il problema.

Solo che, e lui non lo sa, attaccato a quella frontiera c’è un grosso specchio.

#neknomination “In te”

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(Renzi) In te

di Filippo Neviani – Luca Bottura – Giovanna Madia

 

Rilancerò il tuo pil

Con un gesto

Meglio del mago Silvan

 

Trasformerò la tua Panda

In un Hummer

Senza applicare il Taeg

 

Con me ti sentirai

Più meglio di un gagà

Vedrai che nella fabbrica

 

Ben presto sarai re

Marchionne sarai te

E la vita vivrai

Come una slide

 

Renzi è già in te

Io vivo in te

Con gli occhi cuccioli

 

In te

Senza un perché

Ma tu già sai

Che non puoi

Buttarmi via

 

Mi voterai

Quasi senza pensare

E poi sorriderai

 

Anche la Boschi

Sarà più migliore

Quando la sentirai

 

Tuo figlio a scuola andrà

Il banco mancherà

Ma l’avrà scelto

Renzo Piano

 

Alfano scorderai

La viola tiferai

La forza dell’Italia

Scoprirai

 

Io vivo in te

Entrato in te

Da un posto

Subdolo

 

In te

Renzi sta in te

Vent’anni almeno

Tu lo sai

Io durerò

 

Io riformerò

L’Iva ti abbasserò

Con i superpoteri

 

Se la Merkel guairà

Io poi la zittirò

Con un bell’occhiolino

 

Jawohl!

 

Il premier che tu vuoi

E’ dentro te

 

Io vivo in te

Io sono te

Saluta la Dc

 

In te

E se per te

Non son Karl Marx

Compra pure una vocal

 

E