La nostra bandiera, la Liberazione

Standard

Quando ero bambino, il 25 aprile aveva una liturgia precisa: verso le 9 del mattino suonava il compagno o la compagna della diffusione e consegnava, insieme a una copia de l’Unità, una bandiera italiana di carta, da appendere alla finestra, con la scritta “W la Liberazione”.

Nessun riferimento di partito, nessuna connotazione politica: verde, bianco, rosso e la scritta al centro. Forse per quello la esponevano tutti e il vecchio condominio dei ferrovieri, un centinaio di appartamenti, sei palazzoni che guardavano una piccola corte su cui mi sarei sbucciato fior di ginocchia inseguendo palloni invano, risultava una specie di apoteosi patriottica. Di quella patria che i nostri padri e i nostri nonni avevano contribuito a riscattare dal nazifascismo.

Ieri, sulla strada da Bologna verso Ferrara, ho intravvisto da lontano un bar completamente circondato di tricolori. Ultimamente, da quando la bandiera di tutti è stata rapita da una parte, tendo a diffidare di chi ne fa un uso estensivo e speculativo. Ma, trattandosi del 24 aprile, ho preferito sperare. Quando sono arrivato davanti al locale, ho potuto leggere un enorme striscione che incastonava il tricolore: “Da lunedì tutti al bar!”. Festeggiava un’altra liberazione, peraltro mutilata (inspiegabilmente, visto il “liberi tutti”, manco è previsto il servizio al banco).

Però sono giunto a un’età in cui cerco a tutti i costi il buono anche nel materiale organico. A costo di sporcarmi l’umore. Così ho pensato, e penso anche oggi, che il barista autonominatosi ribelle, alla fine, con le sue motivazioni pedestri, aveva appeso la stessa bandiera che i Partigiani issavano sulle terre riconquistate. Quella sotto la quale Togliatti amnistiò i fascisti, ricercando la pacificazione. Che le sezioni del Pci dovevano esporre ogni volta insieme al vessillo rosso, da statuto. Che stava nel loro simbolo disegnato da Guttuso. Quella dei partigiani bianchi. Degli azionisti. Della brigata ebraica.

Chi disprezza l’Europa ama dire che la bandiera dell’Ue è solo uno straccio. Ma tutte le bandiere, in fondo, sono uno straccio. Dipende quale valore dai loro. Era tricolore (al contrario) anche quella repubblichina. Oggi, il tricolore è diventato un brand utilizzato per subornare gli ultimi contro gli ultimissimi, o per vendere merendine italiane, cuscus italiano, latte italiano… Come se quello svizzero facesse cagare, tra l’altro. Ma mi piace pensare che per un giorno, quella bandiera sia di tutti. Che per un giorno, a vederla esposta, si possa per un attimo sperare di poterne essere degni. Essere degni della sua storia di riscatto che ci tolse la livrea da camerieri di Hitler. Mi piace pensare che chi la espone contro qualcuno, sia incindentalmente a favore di chi crede di odiare. Ché senza la guerra di Liberazione, probabilmente saremmo schiavi di un altrove a scelta. Difficilmente gratificante.

Per questo, il 25 aprile è così importante. Perché per un giorno quello che era nostro torna ad esserlo. Non preoccupatevi, non vogliamo riprendercelo. Lo lasciamo a tutti. Solo dovreste smettere di sporcarlo. Ma per quello, per fortuna, c’è la democrazia. C’è l’impegno singolo nel tramutare anche il singolo gesto personale in azione politica. C’è la volontà di assomigliare almeno un po’ a chi si adoperò nella pulizia del nostro tricolore dal sangue degli innocenti. Non sarà breve, non sarà facile, non sarà indolore.

Eppure verrà il giorno in cui, davvero, la nostra bandiera sarà un simbolo di unione. Lo dobbiamo alle partigiane e ai partigiani che combatterono per tutti. Per tutti noi.

Viva la Liberazione dal Nazifascismo, il 25 aprile, la Resistenza.

Viva l’Italia.

 

 

 

 

Chi soffia sul coprifuoco

Standard

Coprifuoco: perchè diciamo così e da dove deriva - Velocità MediaDevo dire che a me del coprifuoco frega il giusto.

Non le ha il Governo, le cifre per dire che un’ora in più o in meno faccia la differenza, figurarsi.

A spanne, noto che i “riaperturisti” procedono su basi ideologiche e infatti saldano opposizione populista (Fratelli d’Italia, Estrema Destra) e maggioranza populista (Lega/Italia Viva) mentre i partiti di centro e i cespugli di sinistra sono favorevoli a quel Draghi cui avevano giurato leale collaborazione insieme a Salvini e compagnia. Tanto che Draghi stesso, a leggere i giornali di riferimento, si sarebbe (mi scuso per il francesismo) rotto i coglioni.

Non mi interessa del coprifuoco, dell’ora di differenza, che a occhio non mi pare possa salvare gli esercizi stremati dal virus, non dalle chiusure, che ne sono una tragica conseguenza. Anche se mi pare che il cliente peggiore sia il cliente defunto.

Intravvedo però la lana caprina del contendere: la Lega perde voti a favore della Meloni, Italia Viva gira a vuoto cercando un’identità, orfana del proprio leader in altre faccende affaccendato, entrambi appoggiano la necessità di consenso su una posizione speculativa. Sul fronte opposto, escludo che Draghi cerchi consenso. Né che Speranza possa acquisirne.

Per questo, solo per questo, la battagliuccia di chi soffia sulla comprensibile esasperazione di molti per trarne linfa elettorale mi pare ipocrita, nociva, altro veleno inoculato nelle vene di un Paese che ha sorprendentemente retto “di popolo” a un anno e rotti di cattività.

Per questo, i 360 i morti di oggi probabilmente sarebbero quantomeno perplessi dall’avanspettacolo politico che si balle sulle loro tombe.

Per questo, per quanto mi riguarda, bandierini, mattonisti, sovranisti, nani e ballerine di complemento che attaccano chi osi dissentire dalla loro narrazione tardo-populista, mi trovano in disaccordo. E lo faccio sommessamente presente.

Sticazzi, vero?

Vabbé, ormai è andata.

Alla prossima.

Del perché a Mahmood la state sucando un po’ troppo

Standard

Mahmood: "Non dico mai quello che penso sui social", è polemicaSe posso permettermi un’analisi strettamente accademica: a Mahmood la state sucando un po’ troppo.

Lo dico da post boomer vigorosamente schierato con la legge Zan, che nelle parole del reprobo ha colto principalmente due dati: il sostegno a chi combatte l’omofobia, l’elogio del libero arbitrio. Che non sta ovviamente nella scelta di essere o no omosessuali, pansessuali, fluidi, ma nella possibilità di dichiararsi tali senza che arrivi qualcuno con l’insulto o la roncola in tasca.

CerImmagineto: c’è quel “a volte ci nasci” che rende la mia interpretazione un filo giustificazionista, ne convengo. Ma siamo pur sempre in un Paese nel quale essere gay è ancora, per molti, una condizione da nascondere, da piegare alle convenzioni, da proteggere (e questo è più grave) perché il coming out potrebbe generare conseguenze negative. Concrete. A quell’Italia, che è maggioritaria, si rivolgono quelle parole imprecise. Per quella vecchia teoria secondo cui il mezzo è messaggio. E Mahmood è un mezzo largo, generalista, che parla non tanto a noi convertiti per cui è persino ovvio che civiltà e discriminazione non possano coesistere. Parla a chi accetta gli immigrati, anche quando manco lo sono, a patto che cantino bene. A chi raccoglie i messaggi solo qualora vengano impacchettati in una sberluciccante confezione nazional-popolare.Sanremo 2013, Luciana Littizzetto contro la violenza sulle donne (video) |  Ultime Notizie Flash 

Un piccolo esempio: anni fa contribuii a rovinare con qualche virgola messa male il monologo contro la violenza di genere che Luciana Littizzetto pronunciò al Festival di Sanremo. Era un bel pezzo, splendidamente interpretato, eppure diceva cose che in questo quarto del cielo diamo per scontate: le donne non sono proprietà di nessuno, la violenza non è solo quella fisica… A ben guardarle, ovvietà. Ma intanto arrivavano a dodici milioni di persone, le più variegate, le più prevenute. E risultarono piuttosto dirompenti.

Chi vive solo della popolarità, fa una scelta coraggiosa nel momento in cui dice cose impopolari. Se poi le dice con qualche scappellamento a Destra, potremmo pure passarci sopra. È un regalo, e quel che conta è il pensiero. Circondarlo perché ha sbagliato la consecutio logica mi sembra eccessivo e anche piuttosto perdente: finisce che certe cose ce le diciamo tra di noi, mentre temperiamo le virgole a chi si espone, e vincono (chiedo venia) le teste di cazzo omofobe

Anche per questo, se è permesso fare mie le parole di Kierkegaard, a Mahmood la state sucando un po’ troppo.

Perché non vado a mangiare nei ristoranti che riapriranno violando le regole e perché nessuno dovrebbe farlo (ma lo faranno tutti)

Standard

Adesso basta. In Liguria ristoranti aperti malgrado i divieti, boom di clienti per San ValentinoIeri ho scritto una cazzata sui social.

Mi capita.

Me la sono blandamente presa con i commentatori Sky che, all’atto di raccontare un’ottima gara della Ducati in MotoGp, mi pareva parlassero d’altro. Va detto che sono di Bologna, qui si gode poco e raramente per lo sport. Quindi avevo proiettato su di loro un eccesso di aspettativa. Però è vero che se quell’eccesso di aspettativa lo carichi su chi sta lavorando e prova a fare il meglio, magari combini qualche danno. Ho pur sempre, sembra impossibile anche a me, quei 140.000 e rotti follower. Guido Meda mi ha scritto una protesta così pacata in privato che mi sono sentito un coglione. Gli ho chiesto scusa pubblicamente e in privato. Bisognerebbe fare così.

Poi ho anche scritto una cosa in cui credo, e cioè che mi sto segnando nomi e indirizzi dei ristoratori che riapriranno in violazione delle leggi anti-Covid per essere certo di non andarci mai più quando tutto sarà passato e, finalmente, rialzeranno le saracinesche anche i loro colleghi che hanno rispettato le regole e che quindi, un po’ come quando paghi le tasse e gli altri no, stanno per subirne la concorrenza sleale.

Il tweet era ovviamente una sintesi, ma mi rappresentava. E no, non chiedo scusa. Nemmeno dopo che si è avventata su di me una shitstorm (nulla di eroico, sui social succede) di bandierini e altre figure dello stesso circondario, unite nel darmi – invento ora il neologismo – del culocaldista. Cioè del proscrittore col posto garantito che se la prende coi poveri ristoratori.

Se mi è concesso un francesismo: col cazzo. Doppio. Il primo è che non sono un culocaldista, non godendo di posto fisso da oltre vent’anni. E avendone lasciati alcuni in modo pure piuttosto traumatico.

Il secondo è che gli avversari dei poveri ristoratori siete voi. O almeno della loro frangia più civile. Che ha attraversato quest’anno di malattia, regole confuse, ristori quando capitava, tenendo dritta la barra della legalità. È loro, quando mi scrivete che dovrei scopare di più (ormai…) che state insultando. È l’Italia migliore. Quella che prova sempre e comunque a pagare le tasse. Quella che prova sempre e comunque a rispettare non solo due regole ma anche e soprattutto la comunità di cui fa parte. Con atti concreti. Onorando il patto a costo di soffrirne (o addirittura di morirne, commercialmente) e cercando di difendere la salute di tutti.

Destra e sinistra saranno concetti superati ma non è un caso che quella Destra – la stessa che oggi Galli della Loggia definisce moderna, sul Corriere – sia un po’ sempre la stessa: regole e disciplina ma solo per gli altri. Ché per quel che riguarda me, ci penso io. Una Destra che ha spinto per dare i ristori anche a chi non ne aveva diritto perché, ohibò, si calcolano su quanto si è dichiarato. Quella Destra per cui un senegalese che vende collanine no, ma il ristorante stellato che apre nonostante sia vietato, sì.

Tra l’altro il mio tweet, e questo commentino, poggiano sul libero arbitrio, mica sul comunismo.

È il mercato. E se c’è un mercato per chi aprirà le proprie cucine su base ideologica, e avrà certamente i tavoli pieni, esiste ancora un mercato residuale che premierà chi ha provato a essere un cittadino come tutti gli altri, quelli che hanno perso il lavoro in molti campi, ad esempio cultura e spettacoli, e non hanno la possibilità di riaprire anarchicamente alcunché.

Ecco: facciamo così. Siccome a quelli che fanno le liste di proscrizione piacciono solo le proprie, e tacciano di averle stilate chi ha semplicemente espresso una propria preferenza commerciale, giriamola così: io, a lockdown finito, andrò SOLO da ristoratori che abbiano condiviso con tutti noi la fatica di affrontare un anno terribile nel rispetto delle leggi. E invito chiunque a fare lo stesso.

Chiamiamole, se volete, liste di prescrizione. Quelle dei ristoratori gentili, che hanno sofferto come gli altri dei ritardi dello Stato e ora si ritrovano con le pugnalate dei loro colleghi. E col rischio che salti un minimo patto civile sotto le macerie del quale finiremmo tutti insieme.

Viva loro.

Ah, e ancora uno “scusami” a Meda e al suo collega.

Disastro della sanità lombarda: sono stato io

Standard
Irresponsabile", "gesto inutile": dal Pd ai 5 stelle le critiche al video di Fontana con la mascherina | L'HuffPost

(ANSA – PETER GABRIEL) Attilio Fontana nella celebre imitazione di una delle tre scimmiette

Stamattina in radio ho proposto di dare la colpa a Paolo Maggioni, già che era sotto la Regione, ma non è giusto che si prenda le responsabilità di una mia alzata d’ingegno. Quindi facciamo così: sono stato io.

A disorganizzare le code per il vaccino, sono stato io.

A sfasciare la sanità pubblica per compiacere i privati, sono stato io.

A distruggere la medicina di prossimità, sono stato io.

A costruire ospedali faraonici per quatto gatti, nei posti sbagliati, sono stato io.

I camici dei parenti, li ho comprati io.

I dati a cazzo di cane, li ho comunicati io.

Lo so, lo so: potrebbe sembrare una provocazione. Ma fate due conti: è forse stato Fontana? Lui dice di no, e se la prende con quelli di Aria.

È stato Gallera? Certo che no, era tutto il tempo in conferenza stampa. E se la prende con i suoi successori.

È stata la Moratti? Ma ci mancherebbe solo. È arrivata ora e se la prende coi vertici di Aria, che hanno nominato i suoi predecessori.

È stato forse Bertolaso? Ovvio che no: giustamente se la prende con quelli che non usano gli sms per avvisare i vaccinandi. Bravo! Ci vorrebbe un commissario, per questo.

Lo so, so anche questo: potreste obiettare che è stata la Lega, i suoi uomini, il pappa e ciccia con la compagnia delle opere, il formigonismo passato nelle mani degli accoliti di Salvini.

Ma sarebbe una strumentalizzazione e comunque non risolverebbe il problema, dacché (o Daccò) la Lega è al Governo del Paese e mica possiamo micronizzare la uallera al Governo dei migliori.

Però per ripartire serve un responsabile, un punto fermo. Quindi facciamo così: sono stato io.

Adesso però che abbiamo risolto il problema dei responsabili dovreste per decenza emigrare in Papuasia e non ripresentarvi mai più.

E sapete perché? Perché c’è il rischio che vi voterebbero di nuovo.

E a quel punto si capirebbe che forse non sono stato io.

Siamo stati noi.