Del perché a Mahmood la state sucando un po’ troppo

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Mahmood: "Non dico mai quello che penso sui social", è polemicaSe posso permettermi un’analisi strettamente accademica: a Mahmood la state sucando un po’ troppo.

Lo dico da post boomer vigorosamente schierato con la legge Zan, che nelle parole del reprobo ha colto principalmente due dati: il sostegno a chi combatte l’omofobia, l’elogio del libero arbitrio. Che non sta ovviamente nella scelta di essere o no omosessuali, pansessuali, fluidi, ma nella possibilità di dichiararsi tali senza che arrivi qualcuno con l’insulto o la roncola in tasca.

CerImmagineto: c’è quel “a volte ci nasci” che rende la mia interpretazione un filo giustificazionista, ne convengo. Ma siamo pur sempre in un Paese nel quale essere gay è ancora, per molti, una condizione da nascondere, da piegare alle convenzioni, da proteggere (e questo è più grave) perché il coming out potrebbe generare conseguenze negative. Concrete. A quell’Italia, che è maggioritaria, si rivolgono quelle parole imprecise. Per quella vecchia teoria secondo cui il mezzo è messaggio. E Mahmood è un mezzo largo, generalista, che parla non tanto a noi convertiti per cui è persino ovvio che civiltà e discriminazione non possano coesistere. Parla a chi accetta gli immigrati, anche quando manco lo sono, a patto che cantino bene. A chi raccoglie i messaggi solo qualora vengano impacchettati in una sberluciccante confezione nazional-popolare.Sanremo 2013, Luciana Littizzetto contro la violenza sulle donne (video) |  Ultime Notizie Flash 

Un piccolo esempio: anni fa contribuii a rovinare con qualche virgola messa male il monologo contro la violenza di genere che Luciana Littizzetto pronunciò al Festival di Sanremo. Era un bel pezzo, splendidamente interpretato, eppure diceva cose che in questo quarto del cielo diamo per scontate: le donne non sono proprietà di nessuno, la violenza non è solo quella fisica… A ben guardarle, ovvietà. Ma intanto arrivavano a dodici milioni di persone, le più variegate, le più prevenute. E risultarono piuttosto dirompenti.

Chi vive solo della popolarità, fa una scelta coraggiosa nel momento in cui dice cose impopolari. Se poi le dice con qualche scappellamento a Destra, potremmo pure passarci sopra. È un regalo, e quel che conta è il pensiero. Circondarlo perché ha sbagliato la consecutio logica mi sembra eccessivo e anche piuttosto perdente: finisce che certe cose ce le diciamo tra di noi, mentre temperiamo le virgole a chi si espone, e vincono (chiedo venia) le teste di cazzo omofobe

Anche per questo, se è permesso fare mie le parole di Kierkegaard, a Mahmood la state sucando un po’ troppo.

Perché non vado a mangiare nei ristoranti che riapriranno violando le regole e perché nessuno dovrebbe farlo (ma lo faranno tutti)

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Adesso basta. In Liguria ristoranti aperti malgrado i divieti, boom di clienti per San ValentinoIeri ho scritto una cazzata sui social.

Mi capita.

Me la sono blandamente presa con i commentatori Sky che, all’atto di raccontare un’ottima gara della Ducati in MotoGp, mi pareva parlassero d’altro. Va detto che sono di Bologna, qui si gode poco e raramente per lo sport. Quindi avevo proiettato su di loro un eccesso di aspettativa. Però è vero che se quell’eccesso di aspettativa lo carichi su chi sta lavorando e prova a fare il meglio, magari combini qualche danno. Ho pur sempre, sembra impossibile anche a me, quei 140.000 e rotti follower. Guido Meda mi ha scritto una protesta così pacata in privato che mi sono sentito un coglione. Gli ho chiesto scusa pubblicamente e in privato. Bisognerebbe fare così.

Poi ho anche scritto una cosa in cui credo, e cioè che mi sto segnando nomi e indirizzi dei ristoratori che riapriranno in violazione delle leggi anti-Covid per essere certo di non andarci mai più quando tutto sarà passato e, finalmente, rialzeranno le saracinesche anche i loro colleghi che hanno rispettato le regole e che quindi, un po’ come quando paghi le tasse e gli altri no, stanno per subirne la concorrenza sleale.

Il tweet era ovviamente una sintesi, ma mi rappresentava. E no, non chiedo scusa. Nemmeno dopo che si è avventata su di me una shitstorm (nulla di eroico, sui social succede) di bandierini e altre figure dello stesso circondario, unite nel darmi – invento ora il neologismo – del culocaldista. Cioè del proscrittore col posto garantito che se la prende coi poveri ristoratori.

Se mi è concesso un francesismo: col cazzo. Doppio. Il primo è che non sono un culocaldista, non godendo di posto fisso da oltre vent’anni. E avendone lasciati alcuni in modo pure piuttosto traumatico.

Il secondo è che gli avversari dei poveri ristoratori siete voi. O almeno della loro frangia più civile. Che ha attraversato quest’anno di malattia, regole confuse, ristori quando capitava, tenendo dritta la barra della legalità. È loro, quando mi scrivete che dovrei scopare di più (ormai…) che state insultando. È l’Italia migliore. Quella che prova sempre e comunque a pagare le tasse. Quella che prova sempre e comunque a rispettare non solo due regole ma anche e soprattutto la comunità di cui fa parte. Con atti concreti. Onorando il patto a costo di soffrirne (o addirittura di morirne, commercialmente) e cercando di difendere la salute di tutti.

Destra e sinistra saranno concetti superati ma non è un caso che quella Destra – la stessa che oggi Galli della Loggia definisce moderna, sul Corriere – sia un po’ sempre la stessa: regole e disciplina ma solo per gli altri. Ché per quel che riguarda me, ci penso io. Una Destra che ha spinto per dare i ristori anche a chi non ne aveva diritto perché, ohibò, si calcolano su quanto si è dichiarato. Quella Destra per cui un senegalese che vende collanine no, ma il ristorante stellato che apre nonostante sia vietato, sì.

Tra l’altro il mio tweet, e questo commentino, poggiano sul libero arbitrio, mica sul comunismo.

È il mercato. E se c’è un mercato per chi aprirà le proprie cucine su base ideologica, e avrà certamente i tavoli pieni, esiste ancora un mercato residuale che premierà chi ha provato a essere un cittadino come tutti gli altri, quelli che hanno perso il lavoro in molti campi, ad esempio cultura e spettacoli, e non hanno la possibilità di riaprire anarchicamente alcunché.

Ecco: facciamo così. Siccome a quelli che fanno le liste di proscrizione piacciono solo le proprie, e tacciano di averle stilate chi ha semplicemente espresso una propria preferenza commerciale, giriamola così: io, a lockdown finito, andrò SOLO da ristoratori che abbiano condiviso con tutti noi la fatica di affrontare un anno terribile nel rispetto delle leggi. E invito chiunque a fare lo stesso.

Chiamiamole, se volete, liste di prescrizione. Quelle dei ristoratori gentili, che hanno sofferto come gli altri dei ritardi dello Stato e ora si ritrovano con le pugnalate dei loro colleghi. E col rischio che salti un minimo patto civile sotto le macerie del quale finiremmo tutti insieme.

Viva loro.

Ah, e ancora uno “scusami” a Meda e al suo collega.

Disastro della sanità lombarda: sono stato io

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Irresponsabile", "gesto inutile": dal Pd ai 5 stelle le critiche al video di Fontana con la mascherina | L'HuffPost

(ANSA – PETER GABRIEL) Attilio Fontana nella celebre imitazione di una delle tre scimmiette

Stamattina in radio ho proposto di dare la colpa a Paolo Maggioni, già che era sotto la Regione, ma non è giusto che si prenda le responsabilità di una mia alzata d’ingegno. Quindi facciamo così: sono stato io.

A disorganizzare le code per il vaccino, sono stato io.

A sfasciare la sanità pubblica per compiacere i privati, sono stato io.

A distruggere la medicina di prossimità, sono stato io.

A costruire ospedali faraonici per quatto gatti, nei posti sbagliati, sono stato io.

I camici dei parenti, li ho comprati io.

I dati a cazzo di cane, li ho comunicati io.

Lo so, lo so: potrebbe sembrare una provocazione. Ma fate due conti: è forse stato Fontana? Lui dice di no, e se la prende con quelli di Aria.

È stato Gallera? Certo che no, era tutto il tempo in conferenza stampa. E se la prende con i suoi successori.

È stata la Moratti? Ma ci mancherebbe solo. È arrivata ora e se la prende coi vertici di Aria, che hanno nominato i suoi predecessori.

È stato forse Bertolaso? Ovvio che no: giustamente se la prende con quelli che non usano gli sms per avvisare i vaccinandi. Bravo! Ci vorrebbe un commissario, per questo.

Lo so, so anche questo: potreste obiettare che è stata la Lega, i suoi uomini, il pappa e ciccia con la compagnia delle opere, il formigonismo passato nelle mani degli accoliti di Salvini.

Ma sarebbe una strumentalizzazione e comunque non risolverebbe il problema, dacché (o Daccò) la Lega è al Governo del Paese e mica possiamo micronizzare la uallera al Governo dei migliori.

Però per ripartire serve un responsabile, un punto fermo. Quindi facciamo così: sono stato io.

Adesso però che abbiamo risolto il problema dei responsabili dovreste per decenza emigrare in Papuasia e non ripresentarvi mai più.

E sapete perché? Perché c’è il rischio che vi voterebbero di nuovo.

E a quel punto si capirebbe che forse non sono stato io.

Siamo stati noi.

Di cosa parliamo quando parliamo di caregiver

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Quando una parola inglese ne sostituisce una italiana, quasi sempre scoppia un casino. Prendasi caregiver. Che Zaia, come sappiamo, ha traslato in “fornitrici di automobili” (cargiver) e che ha generato addirittura una discussione tra il sottoscritto e il sempiterno Gianluca Nicoletti perché in un tweet ironizzavo sui caregiver autoproclamati aggiungendo che, comunque, le badanti non le immunizza nessuno. Un equivoco. Colgo l’occasione per ribadire stima a Nicoletti e significare coram populo che il caregiver è colui il quale assiste persone affette da disabilità. Una figura decisiva in un ambito preciso, che ovviamente tutti vorremmo in testa alle liste dei vaccinandi. Ciao Gianluca.

Punto.

Ora passiamo alla seconda parte del tweet, ossia le badanti. Che forniscono un altro tipo di assistenza a persone non autosufficienti le quali altrimenti sarebbero costrette alle Rsa. Che una volta si chiamavano Case di riposo. In questo caso è un acronimo ad aver sostituito un lemma italiano, burocratizzandone i destini. Tutti abbiamo appreso cosa fossero le Rsa quando, a pandemia scoppiata, divennero l’epicentro di una strage. Dimostrando che le Residenze Sanitarie Assistite erano, in alcuni casi, non tutti, per carità, ché poi si incazzano quelli delle Rsa, delle residenze poco sanitarie e non sufficientemente assistite.

Per questo, anche per questo (io in realtà mi sarei comportato allo stesso modo pure prima) chi poteva permetterselo ha preferito lasciare a casa i propri vecchi. Come ho fatto io. Che non sono un caregiver, ma un figlio che quando può assiste la propria madre. Non sempre. Dunque ne affida i destini, quando non presente, a una persona. Moldava. Assunta regolarmente. Non vaccinata.

Questa persona esce talvolta di casa, ovviamente proteggendosi. Ma, non so voi, ho fior di amici che si sono ammalati pur rispettando tutte le norme. Dunque non è impossibile che possa contagiarsi. Ma a quelle come lei non è riservata alcuna priorità. Cioè: alcune Regioni inseriscono le badanti tra le figure ricomprese nel nucleo familiare. Molte no. Nella mia, una con la Sanità d’avanguardia, la risposta a specifica domanda è stata: “Non lo sappiamo”.

L’occasione mi è dunque grata per significare, a mio modesto parere, cosa osti a questo piccolo gesto di civiltà. La consapevolezza di altre e prevalenti esigenze? No. Semplice disorganizzazione? Fuochino. Responsabilità a livello centrale? Fuoco. A mio modesto parere osta il fatto che sarebbe impopolare anteporre un qualunque straniero, anche quello che accudisce i nostri vecchi, a un qualunque italiano.

Così, magari, finisce che, per non creare problemi a quelli di #primagliitaliani, o più semplicemente a non prendere una decisione che risulterebbe impopolare solo per chi non abbia mai convissuto con questa fatale evenienza della vita, a prendersi il covid sono #primaimoldavi.

Subito dopo, però, magari arrivano i nostri nonni non ancora vaccinati.

Confessioni di un vedovo di Conte

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La solita vita da mediano di Conte a Villa Pamphilj - Linkiesta.it

(ANSA – CASALINO) Giuseppe Conte mentre gli appare la buonanima di Rousseau

Avessi un centesimo per ogni battuta, o analisi più seriosa, sui due Governi Conte, avrei già acquistato da Roberto Saviano l’attico di New York che Roberto non ha mai posseduto. Eppure mi sono ritrovato iscritto dalla solita Bestiolina al club dei vedovi di Conte. Come sempre, sticazzi di quel che capita a me: ho le spalle larghe e le balle capienti. Il punto è la narrazione conformista per cui qualunque distinguo sul Governo dei Migliori, che sarà certo presieduto da un migliore, ma poi è fatto di tanti Peggiori come quelli precedenti, prevede di attribuire al reprobo sentimenti di nostalgia per quelli di prima. Ora: come si potrebbe provare nostalgia per Di Maio agli Esteri? Chi potrebbe rimpiangere la Lega al Ministero dell’Interno? Chi sano di mente verserebbe lacrime per aver perso Bonetti alle pari opportunità? Nessuno. Perché sono ancora tutti lì. E sul Cencelli 2.0 che ha attribuito le altre poltrone (sunteggio: ci interessa il recovery fund, gli altri ministeri sono scenografia) si potrebbe scrivere un saggio, qualcosa sulla politica italiana commissariata da circa una ventina d’anni. Poi però toccherebbe dire che la politica italiana se lo merita, il commissariamento. E che lo meritano quelli che l’hanno votata, la classe politica. Ma verrebbe una cosa lunga ed è domenica. Però, per concludere, se mi è concesso un francesismo: “vedova di Conte” stocazzo. Un saluto cordialissimo.