Un pacato appello a Carlo Calenda

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(ANSA – BALLO DI SIMONE) Carlo Calenda al Cravatta Contest di Milwaukee

Scrivo questa cosa sul mio blog e non sui giornali con cui collaboro perché è veramente personale.

È un appello a Carlo Calenda: si calmi.

Lo dico fraternamente. Con una certa qual costernazione. Anche con un senso di impotenza perché il grandguignol a cui costringe in primis sé stesso la sta distruggendo. E distrugge (ma questo è meno importante) il mio incolpevole apparato riproduttivo.

Io ora parlare semplice: io non avercela con lei.

Io buono.

Io pensare che lei essere stato buon ministro.

Io avere apprezzato sue critiche a scappati di casa a Cinque Stelle.

Io avere soltanto esercitato diritto di critica (o di satira) quando lei avere preso strada di dipendenza da social network che avere trasformato lei in caricatura di sé stesso.

Ora, recuperando i tempi verbali: lei è fuori controllo. In nessun posto civile un politico, dunque un potere, eletto tra l’altro in un partito che alle Europee per disperazione ho votato pure io, potrebbe mai permettersi di usare i social per attacchi personali come lei ha fatto stamattina additandomi a una banda di analfabeti funzionali.

A meno che non sia Salvini, o la Meloni, ovviamente. Ma immagino ci tenga a distinguersi.

Glielo ridico in italiano corrente: lei mi ha dato del livoroso, incapace, ossessionato, per una battuta A FAVORE di Renzi.

Quindi, con una certa qual desolazione, le ripeto quel che le ho già detto in molti casi, persino con un video che ritengo fosse decorosamente spiritoso: conti fino a 10 prima di berciare. Non sparga rancore sulle sue capacità. Si renda conto di quale spirale melmosa la rete può avviare anche tra persone che potrebbero quantomeno rispettarsi.

È un cortocircuito. Io non ho alcun astio nei suoi confronti. E glielo dico a maggior ragione ora che Lei conta come il due di coppe quando briscola è canguro. Così non c’è il rischio che si pensi a una qualche forma di captatio.

Si ricorda come c’è rimasto male quando la Bestiolina renziana si è attaccata anche al suo bassoventre? Ecco: io ci sono dentro da un po’ e si aggiunge a quella leghista e al resto della gente cui sto sulle balle per quello che dico o penso. Ma non per questo mi metto a blastare senza successo tutti quelli che mi criticano.

Anche se potrei. Perché non sono un politico. Non sono un potere. Non decido di altro che delle mie opinioni.

Un giorno la inviterò a bere un bicchiere e le spiegherò con letizia due o tre cose sul mezzo (che è anche messaggio) del quale sta malamente abusando. Non pretendo mi si dica grazie. Ma fossi in lei rimuoverei quel tweet e (oso) chiederei scusa.

Buon lavoro.

Con questi webmaster non vinceremo mai

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Io credo dovreste vergognarvi.

Credo che i trollini chiamiamoli demogrillini, che si muovono a frotte per isolare i cosiddetti “nemici” nell’angolo della sinistra sinistra, come si chiamano loro, si dovrebbero vergognare.

Quelli che sui social prendono, per esempio, uno come il sottoscritto che ha sempre fatto satira tutt’altro che ecumenica (il bersaglio quasi esclusivo erano quelli che stanno al governo, incidentalmente capitava che lo fossero anche quelli che poi ce li hanno mandati, cioè il Pd che ha perso tutte le elezioni negli ultimi quattro anni) e lo sbattono in una colonnina infame aggregandolo agli ultrà antiBoschi, per dirne una, che l’avevano sbattuta in galera ai tempi delle indagini sul padre e oggi dovrebbero fare mea culpa.

Gli stessi ultrà per i quali il sottoscritto è uno schiavo che scrive sul giornaletto del Pd.

Credo dovreste vergognarvi non tanto perché siete in malafede, perché orchestrate fakestorm sulla base di falsità e tweet ripescati dai corposi archivi riservati ai “nemici” ma perché siete grillini più o meno inconsapevoli. Perché usate i loro stessi metodi. Perché vedete nella battuta, o anche solo nella critica argomentata un secondo fine, l’acqua da portare al mulino del vostro avversario, il retropensiero speculativo che attribuite agli altri perché VOI siete così.

Io sono un tizio libero che ha delle idee, quasi sempre coerenti (e possono essere sontuose cazzate) proveniente da un’indole manco politica, culturale, molto precisa. Sono un tizio perbene che dice quel che pensa con tutta l’onestà intellettuale di questo mondo. Ad esempio credo che la cosiddetta sinistra-centro, quella che le ha perse tutte, che addebita le proprie sconfitte ai poteri forti, che ricalca in tutto e per tutto stilemi, parole, processi elaborativi, comportamenti, aggressività, malafede, organizzazione, di quelli da cui si proclamano diversi, diventerà sempre più minoritaria se perde il tempo, pure quello, a vendicarsi dei termometri che segnalavano la febbre.

C’è un’ampia ala riformista che merita di essere rappresentata da dirigenti e collaboratori migliori di questi, compresa – per essere chiara – la massa dei #facciamorete, gente in massima parte vera e sincera, o altre iniziative che rischiano di essere hackerate da chi non vuole andare avanti ma preferisce menare all’indietro, girando in macchietta opinioni altrui mai espresse: “Voi che volevate fare il governo coi Cinque Stelle…”, “Voi che non riconoscete le cose buone fatte da Renzi…”, “Voi che preferite Salvini a Renzi perché lo odiate…”.

Idiozie. Falsità.

Nulla che mi preoccupi, naturalmente, anche se mi amareggia. Nulla che cambierà il mio marginale agire. Ho ricevuto insulti di ogni genere, talvolta anche minacce, dalle varie destre e dai loro giornali in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Scrivo le mie cose e continuerò a farlo, cazzate comprese, al massimo bloccando qualche paraculo in più. Però, per parafrasare Nanni Moretti, sarà meglio che capiate una cosa: con questi webmaster non vinceremo mai.

Intanto, vergognatevi.

Ho fatto da autore a mia mamma

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Breve storia buffa, almeno per me.

Mia madre aveva una vecchia ricaricabile di un provider telefonico tradizionale, inserita nel suo telefono a vapore cui però tiene molto perché le ho messo come salvaschermo una foto sua e del mio babbo.

Con quel telefono, confondendosi con la linea fissa, mi chiamava spesso. Spendendo un botto.

Ho così deciso di traslarla a uno dei provider low cost con cui spenderà in un anno quel che prima spendeva in due settimane.

Eccoci allora al supermercato, di fianco al totem per la nuova avventura (che completeremo poi con un cellulare senior, di quelli col tastone per chiamare aiuto, che verosimilmente userà a caso e non certo quando le servirà, ma si prova tutto).

Potrei fare da solo ma l’addetta, che giorni prima aveva malamente allontanato mia moglie mentre tentava analoga impresa, perché sprovvista di non so quale documento, una di quelle – non mia moglie, l’addetta – che sembra godere se ti presenti disarmato a una procedura da cui teoricamente trae vantaggio pure lei, decide di rendersi utile. Potenza dell’età declamata da mia madre: 88 anni.

Inserisce tutto, con qualche errore che avrei potuto commettere anch’io, ma dopo 20’, e dopo aver sguainato vecchia sim, carta d’identità, codice fiscale, siamo pronti al momento clou: la mamma deve declamare, in direzione di una telecamera piazzata all’angolo destro del totem, la frase: “Sono XXXX XXXXX e scelgo XXX”.

Fosse davvero così, cioè con le X al posto di nome e cognome, e del gestore, sarebbe quasi più facile. Comincia, ma a metà perde il filo. Allora le fa da suggeritore l’addetta. Ma fatica a pronunciare il provider. A un certo, spazientita, l’addetta mi invita a intestarmi il contratto e a registrare io la formuletta. Procedura un filo complessa, non essendoci un negozio dell’altra compagnia nei dintorni, e sembrandomi spiacevole aprire un contratto solo per andarmene.

Finché non ho l’illuminazione.

Estraggo dalla tasca il cellulare, avvio l’app che di solito uso come gobbo elettronico per gli artisti che hanno l’incoscienza di affidarsi ai miei servigi, e, mentre l’addetta scettica continua a suggerire a mia madre, un ciak dopo l’altro, parole che non comprende e non riesce a pronunciare, scrivo la formula magica. La metto di fianco alla camera, là in alto. “Mamma, leggi qui?”. “Sì!”. Via alla registrazione. “Sono XXXX XXXXXXX e scelgo XXX”. Buona la prima.

Io, lei, e l’addetta ci abbracciamo come se avessimo vinto i Mondiali. Quattro spicci di felicità per una nuova tariffa. Chi dice che il capitalismo non dà mai soddisfazioni, non ha mai provato a traghettare la propria genitrice verso nuove bollette e progressive. E da oggi ho fatto l’autore per l’attrice protagonista della mia vita.

Sono Luca Bottura e scelgo Bice.

Ecce Bomba. Perché moriremo renziani.

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L’abusata metafora di Ecce Bombo (“Vengo, non vengo, mi si nota di più se vengo e resto in disparte…”, etc) calza purtroppo a pennello per il forfait di Matteo Renzi all’Assemblea Pd, che in effetti – per ruoli in commedia, figure partecipanti, la fotografia seppiata che tutto permea e tutto ottunde – è parsa per lunghi tratti un congresso doroteo del 1974.

L’ex segretario procede distribuendo scampoli d’assenza, con la contestuale pretesa di un ruolo centrale nel dibattito interno al partito che comunque medita di lasciare. Che al mercato mio padre comprò.

Il Renzi che mette like su Facebook a chi gli profetizza la diaspora, è lo stesso Renzi che lavora per Minniti segretario, in un gioco di ruolo uno e bino che apparentemente prevede una sorta di En Marche al lampredotto, collegata in qualche modo a un Pd amico. Due partiti da guidare al prezzo di zero. E l’egemonia completa su quel che resta della cosiddetta sinistra riformista. Parlandone da viva.

Intanto, LeU implode trascinando nel vuoto cosmico un’ulteriore fetta di elettorato, mentre il pacato Carlo Calenda lancia un Fronte Repubblicano per Europee ma lo chiude alla sinistra cosiddetta radicale. Il che ipotizzerebbe il primo fronte nella Storia composto da un solo partito (a meno di non coinvolgere – oddio – Forza Italia) che peraltro è in odor di scissione.

In questo pianeta delle scimmie progressista, dove manco le clave volano più, prova ne siano i flebilissimi interventi di Martina e Zingaretti all’assemblea di cui sopra, un dato solo è certo: il segretario del 40 per cento è convinto di aver perso prima il Governo del Paese e poi le elezioni per un complotto esterno di cui fanno parte tra le altre cose gli stessi giornali che i grillini (e i loro organi ufficiali) additano come suoi lacché.

Ha dato le dimissioni come quegli attori che lasciano il palco già pronti per il bis. Anche quando non glielo chiedono. O, almeno, non ancora.

Ha lasciato Palazzo Chigi convinto di riprenderselo a stretto giro e di poter comandare Gentiloni con un joystick. Si è dimesso da segretario pensando a Martina come a una sua appendice. E non appena le due teste di legno designate hanno mostrato margini di autonomia e (dio non voglia) di popolarità autonoma, ne ha fatto bersaglio.

È tutto legittimo. E siccome in politica l’autostima conta, nulla vieta di pensare che – specie a fronte del mix micidiale di incompetenza e autoritarismo assiso di fronte a lui – Renzi non possa davvero tornare sugli scudi, anche a breve, come ancora di salvezza contro il disastro giallobruno. Il 16 per cento che oggi voterebbe Pd è cosa sua, come lo era il 16 che votava il Psi di Craxi. La piattaforma per tuffarsi c’è. Verso dove, chissà.

Oggi però Renzi rappresenta le ganasce alla incupita macchina da guerra piddina. Il blocco a un motore già ingolfato dalle Politiche. Non sente sue le mura del Pd in cui abita, e c’è una parte di elettorato democratico che ha smesso di votare quel partito perché considera lui uno squatter, un occupante abusivo.

Un limbo che azzoppa entrambi. E tiene in ostaggio milioni di potenziali elettori. E un’ipotesi concreta di ripartenza.

Per questo, oggi come non mai, potrebbe essere utile la famosa “profezia di Fassino”. Renzi si faccia un partito suo, e vediamo quanti voti prende. Sarebbe quantomeno un defibrillatore sul corpaccione immobile dell’opposizione.

A Grillo, che per certi versi gli somiglia moltissimo, andò fin troppo bene.

 

Del perché ritiro la mia donazione annua ventennale a Greenpeace, cui auguro ugualmente ottime fortune

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Brevemente.

Sabato leggo questo articolo firmato da Greenpeace sul Blog di Grillo e salto sulla sedia: Greenpeace, che finanzio da oltre vent’anni, firma una sorta di editoriale sul megafono di un capo di partito?

Chiedo spiegazioni via Twitter. Non rispondono. Qualcuno mi fa presente che è la ripresa di un comunicato stampa. Allora aggiorno la mia richiesta a Greenpeace: ve l’ha chiesto? L’ha fatto a vostra insaputa? Perché se un capo politico prendesse un mio testo e lo ripubblicasse a mio nome senza chiedermi il consenso, m’incazzerei di brutto. È un endorsement.

Non rispondono.

Dopo altri commenti, e un paio di giorni, ecco che Greenpeace si palesa, rispondendo senza rispondere: “Mandiamo i comunicati a tutti”.

Chiedo ulteriori lumi. Nulla. Allora, per la collezione di sticazzi del web, annuncio che i miei 100 e rotti euro l’anno li darò altrove (ho deciso or ora: a Save the Ch

ildren) e di nuovo mi rispondono che si dispiacciono ma sì, insomma, ecco. Sostanzialmente nulla. Nel frattempo arrivano pure i grillini (una in particolare, che quando erano all’opposizione mi mandava persino messaggi affettuosi in privato) a valutare la mia come una figura di merda. Ad additarmi. In questo sono bravissimi.

Ecco, no: non è una figura di merda. È il pensiero di uno che ha fatto una domanda, ha ricevuto risposte evasive ma che confermavano il suo dubbio di partenza, e preferisce non finanziare chi si affianca a partiti politici (anche ammesso che non se ne renda conto, ma mi prendo il privilegio di non crederci), specie se quei partiti sono al Governo con gente che farebbe dell’Italia un unico grande parcheggio, amici di Trump e Putin.

Si chiama libero arbitrio. E se non vi secca, ce lo vorremmo tenere.

Buon lavoro a Greenpeace, che fa tante cose meritevoli – e che ho sostenuto convintamente – per tanti successi e tanta indipendenza.