Anni fa mi capitò di lavorare ai prodromi di un programma che poi non feci: Hotel Patria, condotto da Mario Calabresi.
Partecipai non ricordo se a una o due riunioni preliminari, poi fui risucchiato da altre produzioni e ne rimasi fuori. Con dispiacere. Ne nacque una trasmissione aggraziata, di quelle che una volta si definivano di “servizio pubblico”. Forse perché non c’ero io.
In quelle due riunioni, Calabresi mi parve un raccontatore formidabile. L’entusiasmo con cui parlava delle sue scuole elementari, a Milano, e di come quei banchi fossero oggi occupati da giovani italiani provenienti dal tutto il mondo, e la volontà di spiegare in tv la normalità dell’immigrazione, la sua ineluttabilità, la sovrapponibilità con gli esodi dal sud Italia degli anni ’60, mi colpirono molto. Idem per la passione che mise descrivendo di un suo blitz alla Ferrero, ai primordi della professione, quando l’ormai defunto capostipite gli aveva disvelato storie inedite di ovetti e Nutella, a patto che non ne facesse parola all’esterno. Appena finito il giro – spiegava – corse fuori e scrisse tutto sul taccuino, ripromettendosi di usare il materiale solo a intervistato defunto. Per non tradire il patto. Per raccontarne la grandezza. Non l’ha poi fatto: forse il patto gli sembra ancora valido.
Non lavorai a quel programma, e mi dispiacque, perché avevo un’idea che mi è tornata in mente oggi, dopo la polemica sulla nomina (subito rientrata) di Adriano Sofri a consulente per la riforma carceraria. L’idea era quella di un atto simbolico tra persone intelligenti. Era un’idea naïf, apparentemente paracula, ma non era stata pensata per esserlo. Io avrei voluto che Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi, incontrasse davanti alle telecamere Luca Sofri, figlio di Adriano. Avrei voluto, gliel’avrei proposto, non feci in tempo, che due menti laiche e generose, unite loro malgrado da quella cappa insopportabile che ancora innerva la parodia della politica di questo Paese, si raccontassero a vicenda quel che era stato. Avrei voluto una cerimonia. Non so se conclusiva. Certamente, nelle intenzioni, catartica. Un rito di laicità.
Quei due cognomi, quelle due persone, erano gli unici titolati ad affrontare l’argomento. Così come oggi sono stati legittimi, quasi dovuti, il tweet del direttore de La Stampa contro la nomina di Adriano Sofri e il passo indietro che questi ha subito compiuto. Però, ecco, anche se quel programma non si farà più e nel frattempo io mi occuperò forse più utilmente di facezie mattutine, continuo a pensare che sarebbe bello e quasi necessario un passo avanti. Per lasciare sullo sfondo i vari sindacati di polizia fascistoidi e i nostalgici (e gli eredi) della violenza politica, che oggi ci hanno intasato le timeline.
E’ molto possibile che sia tutto ancora troppo fresco perché il mio desiderio abbia un senso, ed è praticamente certo che io non abbia alcun titolo per renderlo pubblico. Però ormai l’ho fatto. Qui siamo. Ma a volte, non so voi, io sento un importante bisogno di altrove.