Oggi ho votato per me

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bot tazzinaOggi ho fatto un gesto punk: ho votato alle Primarie di un partito che non ho votato e non voterò.

Per la precisione, ho votato quello che perde.

Mi dicono sia un renziano della prima ora. E nei primi 5’ della prima ora Renzi mica sembrava male.

Mi dicono inoltre sia un underdog, uno che ha governato per cinque anni la sua città – pare bene – avendo contro tutti. Tutti i suoi.

Mi dicono infine (lo dice lui) che si presenta proponendo una forta discontinuità con la precedente gestione Errani. Cioè l’ex presidente, quello che s’è dimesso dopo una condanna. Un tipo – ne sono certo – perbenissimo, che però non si era posto il problema se fosse o no opportuno:

  • Che suo fratello ricevesse appalti dalla Regione;
  • Comportarsi come Formigoni (assurgere a un terzo mandato nonostante una legge contraria).

Credo che Errani ne uscirà pulito in Cassazione. E il terzo mandato era legittimo, secondo l’estenuazione della legge che lo vietava. Però la moglie di Cesare non solo deve essere a posto con la norma, ma dovrebbe agire secondo il senso comune.

Il problema però è proprio questo: il senso comune. Il senso comune che Errani, il suo partito, principalmente il segretario del suo partito, hanno cooptato tal quale dallo stravolgimento che ne ha fatto Berlusconi. Un senso slabbrato per cui promettono opportunità, senza spiegare come, e intanto l’opportunità l’hanno persa per strada.

Ed è per questo che la mia crocetta se la scordano.

Dice: ma allora perché sei andato a votare?

Per vedere i muri. Per vedere se casa mia era ancora in piedi. Per dare un’occhiata alle facce dei due volontari che, in una sede deserta, hanno incassato i 5 euro miei e della mia compagna.

E’ sicuramente postpolitico, ideologico, perdente, presuntuoso, assumere la propria storia come riferimento politico. Però io sono quello: un comunista italiano. Quindi democratico, molto prima che il partito si chiamasse così. E non posso, proprio non posso (ri)andare altrove. E la sinistra sarà anche una categoria Novecentesca, ma una reale difesa degli ultimi, una vera battaglia per la giustizia sociale, la legalità, la condivisione dei doveri – le tasse – per pretendere i diritti, la laicità, il senso dello Stato, un approccio concreto ma progressista ai massimi sistemi, sono ciò che ho sempre cercato in quella casa.

Trovo la sinistra radicale velleitaria come e peggio che negli anni ‘70, Grillo confuso, xenofobo, populista, largamente peggio del meglio (non tanto) che lo sostiene. Il resto invotabile. E quella che era casa mia occupata da un mischione post-ideologico pieno di nulla, fisiologicamente berlusconiano. Che invece di vincere rivendicando i propri valori, modernizzandoli, assumendosi la vera sfida di migliorare il Paese, li ha sovrapposti agli slogan di quello che vinceva prima.

Per questo ho lungamente pensato che casa mia l’avessero rasa al suolo.

Oggi però sono andato a vederla e incredibilmente era ancora lì.

Oggi ho fatto un gesto punk: ho votato per me.

Pd e manifesti: finalmente una campagna perfetta

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Dei disastrosi manifesti Pd del passato sappiamo tutto. Da “conosci tizio”, a “Bersani Nosferatu” messo in ginocchio a pregare, passando per quelli praticamente autoparodianti che fecero schiantare di risate il web.

Ma ora c’è stato un cambio di passo, passato inosservato ai più.

Grafico, intanto. Al netto dei colori scippati a Poste Italiane, o al Lidl, si nota uno sforzo di modernità. E moderna è pure la scelta di non stressare da subito l’immagine di Matteo Renzi (forse perché impegnato a ballare il tango con Chiamparino) puntando su volti anonimi e sulle loro aspettative.

Certo, c’è quell’arietta da 2.0 Leopolda Style, dove si parte coi tavoli tematici opensource e poi si cerca di mettere il capo dei vigili di Firenze a responsabile dell’ufficio legislativo del Governo (e la consulta ti sfancula pure). Ma lo scatto c’è. E uno dei manifesti lo testimonia più di altri.

Questo.

rigore

Visto così, sembra solo uno slogan generico come gli altri, affidato una bella topolona invece che a un nerd che vuole la banda larga (a ragione), a una casalinga che si preoccupa di bufale e calembour, a un pensionato con la cravatta improponibile. Invece no. Invece è rivoluzionario. Per lo slogan. Sul rigore da battere.

Esso slogan, infatti, richiama:

1)    La sconfitta del rigore, cioè dei doveri, cioè in definitiva di quella culona della Merkel.

2)    La sconfitta della Germania nel calcio, cioè dei crucchi, cioè sempre di quella culona della Merkel.

Per la prima volta, cioè, e in un solo manifesto, il Pd propone:

1)    Il disimpegno dalle responsabilità assunte come Paese, come comunità.

2)    Un generico antieuropeismo non dissimile da Lega e Peppe.

3)    Il richiamo al tifo da stadio.

4)    La bella topolona.

C’è poi una quinta e decisiva novità: il popolo piddino, che un tempo attribuiva alle modalità dell’eventuale vittoria una certa importanza, ha fatto propria in un battito di ciglia la personalizzazione del partito e le tematiche così anni ’90 del nuovo leader.

Si spiega così il 34 per cento nei sondaggi.

Si spiega così il perché, in fondo, quel manifesto è semplicemente perfetto.

Un tutorial che scrissi per Civati a novembre e che mi pare ancora discretamente attuale

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L’autogollonzo da centrocampo di Civati (annunciare una mozione di sfiducia, non presentarla, non votare quella di Peppe per disciplina di partito) è un colpo di piccone non tanto a Civati medesimo, quanto a quell’ampia area di Pd che non crede alle scie chimiche ma s’è frantumata i cabasisi di essere rappresentata da una classe dirigente imbelle e incompetente, nonché per quelli che voteranno Renzi l’8 dicembre ma speravano quantomeno in un pungolo da sinistra a un partito che sta diventando la prosecuzione della Dc con meno mezzi.

Cosa deve fare Civati (ora: prima di essere terzo alle Primarie):

Uscire dal partito, dopo aver chiamato alla lotta la parte della base che lo sostiene – la migliore – e aver radunato un esercito bastante a non renderlo residuale.

Fondare una forza che rappresenti il vero Pd, quello tradito dai 101. Un’operazione più sincera di quella dei Fratelli d’Italia meloniani, ma sostanzialmente sovrapponibile. Un nuovo Pd. O un nuovo Ulivo.

Acquisire un reale potere contrattuale, esterno al Pd, in modo da condizionare la linea politica renziana di qui alle elezioni e quella governativa dopo l’eventuale vittoria. Rendersi necessario.

Garantirsi un posto centrale se si tratterà di governare, in modo da indirizzare con pari dignità l’eventuale governo Renzi.

Scalare con il nuovo Pd quello vecchio, o quantomeno riempire di contenuti (non quelli di Civati, i contenuti di chi lo sostiene e l’ha sostenuto) il vuoto di Renzi medesimo.

E’ semplice, naif, impolitico.

Ma è l’alternativa tra prendere un treno che fa il giro lungo, dopo aver perso quello principale, oppure finirci sotto. Per sempre.

Io comunque alle Primarie non voto. Questo Pd è irriformabile.

Amen.

Prossima fermata Arcore

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Ho molti amici renziani, alcuni della prima ora, altri dell’ora media, altri del genere “non possiamo non dirci renziani” che il funambolico Fulvio Abbate preconizza nel suo nuovo libro (fake). Normalmente mi spiegano che Renzi entrerà nelle casematte del Pd e le distruggerà (infatti ha costruito la segreteria col Cencelli), che entrerà nel sindacato e lo distruggerà (infatti pare alle viste un asse con quel sant’uomo di Landini) e che scardinerà il berlusconismo proprio perché non nasce antiberlusconiano (e il primo passo, pare, è far cadere questo pessimo governo avanzando sacrosante petizioni di principio, tipo le unioni civili, ma a scopo meramente tattico). E’ tutto verissimo, inconfutabile, anch’io tra l’altro sono renziano da almeno dodici secondi. E da renzianissimo quale ormai mi sento* volevo dire che riunire il suo Pd per la prima volta a casa sua – Firenze – nel proprio comitato elettorale, sotto un’enorme scritta col proprio nome, rischia di confermare nei cacadubbi come me il sospetto che Renzi possa esautorare Berlusconi perché berlusconiano dentro lo è davvero. Infatti ritenne ovvio andare in visita ad Arcore, e non a palazzo Chigi, per discutere di Firenze, senza accorgersi che col suo gesto stava legittimando una satrapia personalistica che svuota le sedi della democrazia. Normale, poi, se uno così si porta il partito a casetta e lo riunisce sotto una statua equestre che lo raffigura. Si chiama sudditanza culturale. 

* sto a scherza’.