‘na robba su Chet Baker che ho scritto per Sette

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Metto i gettoni nell’iPhone.

Ho smesso di intrudere rullini nelle fotocamere digitali solo dopo averne distrutte tre.

In camera ho un ritratto di Landini della Fiom, Olio Fiat su tela.

Quando sento la parola startup metto mano alla pistola.

Persino l’ultimo di Neil Young, per dire, mi sembra un filo troppo sperimentale.

E dei nuovi Pink Floyd, al di là di tutto, m’interessa principalmente che si siano ricordati la maglia di lana. Non vorrei che Gilmour ricadesse nel tunnel del Vicks Medinait.

Così, stavolta, amico lettore/amica lettrice, vorrei consigliarti il cofanetto di un vecchio amico.

Già l’oggetto, il cofanetto appunto, è desueto. Attiene al mondo dei cd, un apostrofo marrone tra il vinile e l’impalpabile, poco connotato. Fosse un politico, il cd sarebbe Angelino Alfano: teoricamente svolge funzioni conosciute ma è desueto e tra un po’ non ci saranno gli strumenti per leggerlo.

Per sovrammercato, ho scelto un cofanetto che arriva dritto dagli anni Cinquanta. Quando il giovane Chet Baker, tra le altre cose, albergava spesso e volentieri nella mia città. Gli dedicarono persino un locale, col suo nome. Gli eredi fecero causa. L’insegna fu cambiata in Chez Baker, alla francese. Ed è rimasta tale fino a poco tempo fa, senza che la progenie di Josephine adisse a sua volte le vie legali.

Chet Baker è Chet Baker. E’ (fu) un curioso intruglio di talento, alcol, sperimentazione, grazia, eroina, follia, curiosità, meretricio, dolcezza. Fu nostro, nel senso bolognese della geografia, ma anche molto italiano. Scrisse e suonò colonne sonore per i soliti ignoti di Nanni Loy (il sequel), passò da Dizzy Gillespie a Fausto Papetti, quello del sax con le donne nude. Si esibì col grande chitarrista Franco Cerri, quello che faceva anche l’uomo in ammollo per la pubblicità del Bio Presto, perché di jazz è sempre stato difficile campare. In Italia.

Ricamò e sporcò il ricamo.

E cantò. Caspita se cantò. My Funny Valentine la ricordano un po’ tutti, nella playlist per studenti fuorisede è il classico pezzo che indirizza la serata. Il resto, anche. E quel resto sta appunto in quel cofanetto: un trittico (“Chet Baker Sings”) che copre gli anni dal ’52 al ’63. Ed è perfetto per gli attimi immediatamente successivi alla conquista di cui sopra. O anche da ascoltare da soli, lungo l’autostrada, alle prime luci del mattino, se proprio non vi va di spegnere la radio e serve aiuto per sostenere l’illogica allegria.

Sono tutte – TUTTE – bellissime. Amo molto, pro domo chissenefregae, l’esecuzione timida di “That Old Feeling”. Ovviamente, “But Not For Me” che sembra restituita alla penna di Gershwin, deprivata com’è da tutta la grancassa quasi dixie di altre interpretazioni. E mi piace molto “I Fall In Love Too Easily” così arrendevole, complice, quasi femminea e per questo struggente, coinvolgente. E “Forgetful”, chitarra, voce, classe, anima, una fonte cui si sono abbeverati, magari senza saperlo, mille cantanti da acchiappo contemporanei come – ne dico solo uno – Fink.

Anche se, per citare un gigante del pensiero (Bruno Pizzul) è davvero “tutto molto bello”.

Persino per un ignorante di jazz come me.

Fate girare.

Da Sette: E all’improvviso parte una canzone tipo Van De Sfroos

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Chiedo scusa se, anziché abolirla, parlo di provincia. La mia, intanto.

L’altra settimana s’è svolta a Bologna la celebrazione del compleanno di Freak Antoni, recentemente scomparso. Su un palco gli Skiantos, con un po’ di amici, complici, qualche estraneo. Su un altro, l’ultima compagna di Freak. In mezzo, una teoria di dispettucci che, a futura memoria, ci hanno fatto scoprire una sorta di bitolseide al ragù. E una Yoko Ono, Alessandra Mostacci, che – parere personale – aveva fatto cose molto belle con Freak. Come quella “Però quasi” che fu loro respinta a Sanremo un paio d’anni fa. Ed è una canzone dolente e bellissima. Dove “bellissima” sta proprio per “bellissima”.

Beghe di periferia, appunto. Di una città che ancora tiene in un angoletto vergognoso Dino Sarti, chansonnier metafrancese, che cantava di operai imbrillantinati, compitava deliziose versioni in vernacolo di New York, New York (Neviork, Neviork), riempiva la piazza della città ad agosto. Poi compose l’inno del Bologna, in tempi in cui il presidente della società comprava – secondo la leggenda metropolitana – più partite che giocatori. E ogni anno la squadra si salvava boccheggiando. Dissero che Sarti portava sfiga. Morto. Prima di morire davvero, anni dopo. Così, di quella piccola/grande carriera spesa anche all’Olympia di Parigi, addirittura a Las Vegas, non si ricorda più nulla nessuno. Nonostante avesse sconfitto un nemico subdolo e terribile, oltre a quello della maldicenza: cantare in vernacolo districandosi con l’italiano, quasi a mo’ di traduzione, nello stesso pezzo.

Ci provarono successivamente i Modena City Ramblers, dei quali si ricorda con piacere “The great song of indifference” riletta coi profumi del lardo e dei chiodi di garofano. Mica male. Poi decisero (i fan pigri, più che loro) che per il tour successivo, bastavano Bella Ciao, Contessa, e passa la paura. E si riempiono le piazze.

Ci prova ancora Davide Van De Sfroos.

Van De Sfroos è simpatico, ironico, paraculo quanto serve (“Leghista? Mai”, poi però a cena con Formigoni ci vai, alle Feste della Lega pure, e siccome quelli, come intelettuale di riferimento, hanno il prof che dava le ripetizioni a Salvini, finisci pure a prender le briglie dell’Expo: e comunque mica è un reato) ma gli riesce meglio, gli è riuscito, il salto della quaglia che non quello di qualità.

Ascoltare per credere Goga e Magoga, l’ultimo album. E soprattutto il brano che dà il titolo al lavoro. Una specie di suite di quasi 7’ il cui titolo significa “Senza capo né coda”. C’è qualcosa di psichedelico, ci sono echi di Genesis, c’è un eco dei Delirium. C’è tanta eco. Di tradizione, di contemporaneità, di italiano, di laghée… la smettete con tutti quegli echi ché non si sente niente?

Che poi te lo ascolti e gli vuoi bene, al Bernasconi. Quando canta El Calderon de la Stria, con quegli archi senza un vero perché, che impastano e circondano citazioni buffe, tra Alice che non guarda più i gatti ma nel mirino del fucile, Pierino Gros, un ginecologo perso tra gnocca e poesia… e lo senti passare tra italiano e dialetto, dici che quasi quasi… E lo stesso vale per De  Me, una ballad con chitarra accogliente, che sembra “Talkin about la luganega” di Tracy Chapman. E per “Volevo essere Neil Young”, cioè Ki. O “Volevo essere i Jethro Tull”, cioè Mad Max. E per Crusta de platen (un po’ la sua versione di Certe notti, anzi “certe nücc”) e certe notti la radio che passa Enzo Jannacci sembra avere capito chi sei ma…

Ma.

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Tua Suora

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https://www.youtube.com/watch?v=TpaQYSd75Ak

Fino alla sua apparizione (occhio, il termine non è casuale) i riflettori di The Voice illuminavano un unico tema: come si colora i capelli Piero Pelù? E’ vero che usa petrolio? E se sì, è vero che a ogni puntata del talent di Raidue il prezzo del greggio sale di 8 dollari al barile?

Poi è apparsa lei, suor Cristina. La religiosa gospel. E il velo, invece di squarciarsi, s’è infittito. Collocandosi idealmente sul capo di un pubblico che l’ha adottata, se n’è innamorato, è cascato mani e piedi in questa sorta di Sister Act alla pummarola. Anzi: visto che c’è di mezzo la Carrà, allo squacquerone.

In tv la fantasia è come un buon difensore nella retroguardia del Milan: latita. Ed è così che fior fior di autori* sono al lavoro per cavalcare l’onda, mutuare la genuflessione, cooptare la linea narrativa religiosa di The Voice. Del resto un Paese in cui la rivista “Il mio Papa” vende centinaia di migliaia di copie, Papa Francesco è trendtopic su Twitter e Matteo Renzi fa il premier non può, neanche volendo, non dirsi confessionale.

Quali i prossimi passi? Eccone alcuni, in anteprima.

Fra’ Stornato Verso la settima puntata di The Voice, J-Ax introdurrà un suo vecchio amico, caduto nella ganja da piccolo e poi uscitone dopo aver visto la luce. Anche senza erba. Fra’ Stornato propone un repertorio di reggae cattolico che coniuga i classici di Bob Marley in chiave caraibica e i classici di Tony Santagata in versione ska. I fan già lo chiamano lo Ska-Ppato di casa, e a lui piace.

X Factor Nella prossima edizione del talent di Sky, Morgan sarà sostituito da un personaggio che si veste in modo meno eccentrico: l’ex presidente della Cei Bagnasco. I cantanti dovranno soggiacere ad alcuni test sull’Antico Testamento e chi sbaglierà a intonare il Salve Regina sarà trasferito nel Purgatorio, un ambiente umido e ostile in cui un impianto stereo a tutto volume diffonde senza sosta brani dei Tiromancino. Abbassando leggermente l’illuminazione su Simona Ventura, i telespettatori da casa potranno anche vedere la Madonna.

Mastersing Cucina e canto in un unico, dinamico talent mandato in onda da Sat2000. In diretta dal convento di Camaldoli, introdotti da Francesca Fialdini, l’abbacinante ex conduttrice di A sua immagine che adesso manda in tilt gli spettatori di Uno Mattina, alcuni monaci prepareranno piatti tipici della tradizione di clausura: dal boccone del prete, allo strozzapreti, agli strangolapreti, cioè tutte pietanze che in realtà il riferimento cattolico ce l’hanno solo nel nome ma, se cucinati da religiosi, dovrebbero far breccia anche nel pubblico ateo. Tra i giudici, suor Paola, suor Germana, e un vescovo americano che vorrebbe farsi eleggere Papa col nome di Bastianich I.

Ti lascio una missione Un simpatico format a metà tra la nota gara canora per bambini e la recente missione in Africa di Al Bano e altri cantanti a beneficio della prima serata di Raiuno. In questo caso il taglio sarà più solidale: Al Bano stesso, introdotto da Fra’ Cionfoli, raggiungerà il Continente nero insieme a Povia, Minghi, i Cugini di Campagna, Antonello Venditti e i Pooh. Il lato umanitario riguarda l’Italia: appena depositati in loco, i tizi di cui sopra verranno abbandonati sulla pista senza spiegazioni. Seguirà un Te Deum di ringraziamento intonato da piccoli coristi.

* tutta invidia, la mia

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Morandi e i social: nonno insuperabile

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L’altro giorno mi scrive un lettore: non stai svolgendo il compito. E io: ma il compito non era quello di scrivere stupidaggini secondo il mio estro? E lui: no, il compito sarebbe di dare qualche indicazione sugli da album da stimare o disistimare, su come impiegare il tempo libero del nostro unico padrone: il lettore. Caspiterina. Nel mio autismo da rain man della lasagna pensavo che la rubrica fosse un apostrofo verde tra le parole “scrivi un po’ quel che ti pare”. Invece si presume un servizio pubblico. Ok, ottempero. E non mi limiterò a consigliare un album (quello dopo) ma ti darò, amico lettore, amica lettrice, un indirizzo sincero dove saziare la tua voglia di buono, di un gioco e del cioccolato. Come l’ovetto Kinder.

Quell’indirizzo è la pagina Facebook di Gianni Morandi: una specie di installazione contemporanea che ha scoperto i social e ne fa un uso narrativo mirabile. E’ la prima visita che faccio al mattino, mi mette di buonumore. E non solo il solo: siamo oltre 600.000. Un giorno lo trovi che brucia il vecchione a Capodanno (no, quella battuta non la faccio: Gianni è giovane sempre), un altro che accoglie la postina e le firma un avviso di Equitalia, un altro consiglia il bel film di Pif, un altro ancora imbraccia la chitarra e produce clippini canori che Vasco manco si sogna. La meraviglia Morandi è che mentre visita i terremotati, fa la corsetta sull’argine, si immortala e si posta mentre va a parlare coi professori del figlio (“Speriamo bene”) diventa il poeta irriducibile di una normalità estinta, ma pervicace. Mi capitò di condividere un desco con lui: mentre raccontava amabilmente il lungo purgatorio degli anni ’70, e come ne era uscito, gli leggevi intorno quell’aura iperreale che ancora affascina comitive di ogni età. Senza neanche dover comiziare alla Celentano, che infatti quando ha bisogno di tornare coi silenzi per terra lo usa, a ragione, come ancora di salvezza.

Dice: e l’album? Eccolo, ma dovete fare un po’ di fatica. Ce l’ha Amazon, ce l’ha Ibs, forse qualche negozietto lo nasconde ancora. E di Morandi contiene un solo brano: Il Mondo Nei Tuoi Occhi. E’ una cover di There’s Always Something There To Remind Me, di Lou Johnson, scritta da Bacharach e Hal David, e fa parte di un album, Mo’Plen Bacharach, che anni orsono eternò la breve stagione dell’itanglish applicato alle melodie da aeroporto del celeberrimo e pettinatissimo compositore americano. Un gioiellino. La versione di I’ll Never Fall In Love Again (Io Non M’Innamoro Più) di Johnny Dorelli e Catherine Spaak è da deliquio per la gioia o da codice penale, a seconda dei gusti. Un Ragazzo Che Ti Ama (This Guy’s In Love With You) di Tony Renis è bella forte, così come reggono il confronto I Primi Minuti (I Say A Little Prayer) di Marita (chi?) e Quelli Che Hanno Un Cuore (Anyone Who Had A Heart) di Petula Clark.

Ma il punto è un altro ancora: anni fa Paul Anka rinverdì la carriera con Rock Swings!, un album che coverizzava i Nirvana, i Van Halen, gli Spandau Ballet. Me-ra-vi-glio-sa-mente. E quindi – non che Morandi abbia da rinverdire alcunché – colgo l’occasione per suggerire sommessamente analoga operazione al ragazzone di Monghidoro che mi allieta su Facebook. Prendere il rock e stringerlo tra le sue manone. Verrebbe un capolavoro. Ci spero. Anche se temo che nel prossimo post, perso per una volta l’aplomb, Gianni mi risponderà come merito, e cioè come Iva Zanicchi illo tempore nei confronti di Paul Anka medesimo: “Paul Anka Andér a caghér”.

Mi scuso per il vernacolo.

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L’anno che è gia qua

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Progetti per il futuro? La più ovvia delle domande nei più ovvi talk show trova una risposta preventiva su Sette. Leggete qui e scoprirete come sarà il 2014 di alcuni tra i più noti esponenti dello star system mondiale, e anche Povia, tutti all’insegna della tendenza che caratterizzerà l’anno ch’è appena nato: la canzone impegnata.

THE BEATLES Dopo l’album di inediti realizzato per preservare i diritti, i Fab Four tornano nei negozi con un nuovo lavoro realizzato riproducendo le voci di John e George attraverso un sofisticato algoritmo. Purtroppo l’algoritmo è lo stesso utilizzato per i microchip dei Cinque Stelle e quindi il primo singolo si intitolerà: “Go to fuck yourself”.

POVIA Povia ha alle viste uno strepitoso cd autoprodotto dal titolo “Nuovo contrordine mondiale” in cui elaborerà in musica alcune delle teorie complottiste e antimondialiste che albergano sul suo blog*. Prenotatelo ora, perché è talmente pacificante e universale che dopo la pubblicazione è previsto l’olocausto nucleare.

VASCO ROSSI Tutto pronto per il nuovo tour live di Vasco, “Clippino 2014 – Italia Sveglia”. Ancora da chiarire le date, perché il Blasco le ha comunicate a voce e nessuno è ancora riuscito a decifrare ciò che ha detto.

PSY L’indimenticato ciccione interprete di Gangnam Style, dopo il flop del suo secondo singolo, ha in mente di aprirsi al mercato nordcoreano. Tenterà di farsi passare per il caro leader Kim Jong Un e di sostituirlo al potere per lanciare una versione house de L’Internazionale. Rosee le prospettive: se ce la facesse, la dittatura comunista avrebbe i secondi contati. Se non ce la farà, potrà scrivere tormentoni durante il carcere a vita.

JUSTIN BIEBER/GIGI D’ALESSIO Dopo aver minacciato il ritiro dalle scene nel 2013, riveleranno che si trattava di un’astuta manovra per lanciare il nuovo album di duetti intitolato “A Journey Into Neo-Melodic”. Il primo showcase è stato organizzato da D’Alessio il giorno della Befana nella corsia di sorpasso della Salerno-Reggio, in segno di solidarietà ai forconi, alla terra dei fuochi e ai martiri di Anna Tatangelo. Previsto il tutto esaurito: Gigi.

U2 Dopo i diversi articoli in ricordo di Nelson Mandela pubblicata da Bono dopo la sua dipartita (di Mandela, non di Bono), che sommati l’uno all’altro potrebbero agilmente coprire la distanza tra la Terra e Marte, è pronto un album celebrativo dal titolo molto evocativo: “Siae Tribute Tour 2014”. L’omaggio degli U2 fa da apripista ad altri lavoro dedicati a Madiba tra i quali quelli di Lady Gaga, del Coro dell’Armata Rossa con Zucchero, e dei Pooh, di cui Mandela era fan sin da bambino.

JOVANOTTI Chi non aveva bisogno di scoprire la musica d’impegno è Lorenzo, che per il 2014 ha pronta una riedizione del suo celeberrimo “Penso positivo” dedicata a Papa Francesco. Il verso clou: “Io penso che a questo mondo esista solo una grande chiesa, ma prima che c’era il crucco la situazione era un po’ tesa, da quando ne ha preso il posto quel tipo tosto e un po’ argentino, la gente è così contenta che lui tra un po’ trasforma l’acqua in vino”. I ricavati saranno interamente devoluti ai bambini poveri privi di una suite sul Central Park.

*Questa è vera

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