Uno vale più di uno. Il caso Debora Billi e del perché i grillini riescono ad aver torto anche quando hanno un barlume di ragione

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Debora Billi è la responsabile comunicazione web del MoVimento 5 Stelle.

Ha scritto su Facebook e Twitter una battuta legata alla scomparsa di Giorgio Faletti: “Se n’è andato Giorgio. Quello sbagliato”.

La battuta è un modo satirico di alludere alla dipartita del presidente della Repubblica, Napolitano, e ha scatenato una certa indignazione.

La difesa è che analoghi motti di spirito sono stati fatti su Silvio Berlusconi in tutti i luoghi e in tutti i laghi.

Ed è del tutto condivisibile.

C’è un però che alla Billi sfugge.

Essa è una figura politica. Ergo, la sua boutade satirica non viene da qualcuno che pubblica per mestiere (un comico) o da qualcuno che lo fa per diletto (un qualunque frequentatore dei social).

Essa, lei, Debora, ha saltato la barricata. E’ un potere. E quel potere non può augurare la morte al presidente della Repubblica.

Si tratta putroppo di un vulnus grillino quasi inemendabile. Credono di essere ancora dietro una tastiera a mettere like, spacciare gattini e tupamaros, lamentare complotti orditi da Goldman Sachs o da Genny a’ carogna…

Invece sono diventati politici. Pagati peraltro da me.

L’ho spesso sperimentato sulle mie balle grazie a un consigliere comunale grillino che si offende molto quando è oggetto di battuta. Cioè quando faccio il mio lavoro.

In risposta, mi addita. Confeziona a sua volte motteggi satirici, video che vorrebbero essere urticanti, eccetera.

Solo che poi, capita, i suoi seguaci si esibiscono in minacce nei miei confronti. Perché quando hai passato quel confine, le tue parole hanno un peso diverso. Possono persino diventare pericolose.

Quindi, per ricapitolare e sintetizzare a beneficio della Billi: fare battute non è reato, neanche sulla morte, io stesso ne ho prodotte moltissime facendo incazzare diverse persone. Ma ci sono due cose – senso dell’opportunità, consapevolezza del ruolo – che nel suo caso lo sconsigliano fortemente.

Se poi vi andasse di leggere l’intera bacheca della presunta reproba – ho lo stomaco forte, l’ho fatto – capireste che il motteggio su Napolitano va senz’altro derubricato a male minore.

Analisi politica finale: ma quando crescete, cazzo?

Di vegani, permalosità e altre minuzie

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(ANSA – UOMO BICENTENARIO) Un’intensa immagine di Mork: era vegano ma veniva da Ork. Da cui il concetto di Orkite

Sono vegetariano.

Cioè: non sono esattamente vegetariano. Sono praticamente pastafariano. Ed è per quello che sto diventando una piramide alimentare: avanzo a carboidrati.

Ho smesso di mangiare carne e pesce qualche anno fa, per colpa di un maiale che – tapino – guardava in macchina mentre lo trascinavano verso un destino da culatello. Era un servizio fotografico su L’Espresso. Non pareva preoccupato. Sembrava si chiedesse: “Che succede? Oh, non fate scherzi idioti, dai!”.

Come sapete, i maiali condividono il 98 per cento del Dna con gli umani.

Se hanno fondato Forza Italia, il 100 per cento.

Ne incrociai lo sguardo. Non riesco più.

Attenzione: non è che non mi piaccia. Proprio non riesco. Quando vedo una pizza bianca con la mortadella me ne farei una flebo. Ma quel maledetto suino è lì che mi osserva. E non riesco a mangiarmi il fratellino, o fratellone.

Però non fracasso la uallera agli altri. Non sono il fumatore che ha smesso. Magari non sciorinarmi la tartare davanti, ecco. Non andiamo insieme a comprare la fiorentina. La bistecca non prenderla proprio al sangue. Però fa’ un po’  tu, insomma.

Ho amici vegani. Ce ne sono di normalissimi, che hanno fatto una scelta e la vivono in letizia ed equilibrio. Poi ci sono i crociati. Quelli che ti ritengono un assassino (nel mio caso, come diceva George Carlin, un abortista: le uova le mangio) e mai si congiungerebbero con i carnivori perché emanano afrore di cadavere.

A parte che tutti, temo, prima o poi avremo ‘sto problema, è a loro che mi sono rivolto (i khomeinisti) quando ho innocentemente postato la celeberrima performance di Gigi Proietti sulle notte di Ne Me Quitte Pas, ribattezzata Nun Me Rompe Er Ca’. Era un giochetto, niente di che, ma subito alcuni mi hanno ripreso: che caduta di stile, da te non me l’aspettavo, etc.

Ora: da me c’è da aspettarsi di tutto, soprattutto il peggio.

Però l’occasione mi è grata per rimarcare, da permaloso singolo quale sono, quanto in questo divertente paese sappiamo offenderci quasi solo per famiglie: vegani, grillini, renziani, tifosi del Bologna, guidatori di Fiat, portatori di Hogan, possessori di iPhone, camorristi, ad libitum.

Perché in fondo, a ben guardare, anche la permalosità di popolo è un modo di deresponsabilizzarsi persino di fronte alle minuzie, dacché deresponsabilizzati come cittadini lo siamo, felicemente, da sempre.

Quindi volevo dire due cose:

1)    Su questo difetto pressoché etnico, applicandolo a un tema infinitamente più serio come l’omicidio di Federico Aldrovandi, Matteo Bordone ha scritto un articolo bellissimo. Di cui consiglio la lettura.

2)    Nun me rompete er ca’.

Il Partito Fonzista Italiano

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renzi fonzie

(ANSA – WOW) Roma, viale Cristoforo Colombo, striscione d’ingresso della Festa Democra… yawn

E’ molto possibile che il sottoscritto sia ormai un insopportabile barbogio.

Ergo, vergando queste bravi righe sullo striscione che sovrasta la Festa Democratica de l’Unità di Roma  (l’Unità l’hanno rimessa quest’anno “perché è un brand storico”, ha spiegato Renzi) è quasi certo che alberghi in me l’ottusa ostilità verso il nuovo che non solo ostacola il cambiamento, ma aveva sin qui imperdonabilmente rallentato la  sinistra italiana verso il raggiungimento di luminosi traguardi tipo a) il 40 per cento dei voti; b) infilare la parola “selfie” in un discorso d’insediamento al parlamento europeo.

Inoltre più invecchio più mi trovo d’accordo con le omelie domenicali di Scalfari, quindi c’è la concreta ipotesi che abbia perso ogni senso dell’umorismo, ogni divertita leggerezza, nonché che tra una settimana al massimo mi lanci verso un tentativo di camminata sulle acque.

Però volevo sottolineare una cosa: il tizio decapitato della foto non è Fonzie.

E’ proprio Renzi.

Il che porrebbe di primo acchito una breve riflessione sul goffo culto della personalità che attraversa l’ormai Ddr (Democratici Definitivamente Renziani)

Ma il punto è proprio un altro: quella foto, posata, storica, è tratta da Chi.

E qui i casi sono due: o l’hanno maldestramente scippata, esponendosi a una possibile denuncia per violazione del copyright (che non avverrà).

Oppure l’hanno comprata.

Cioè hanno pagato l’editore Berlusconi affinché un giornale diretto da Alfonso Signorini, l’uomo che procurò un fidanzato tarocco alla prima delle minorenni adescate per il bunga bunga, la macchina del fard che incastra i nemici di Silvio e cotona chi gli va a genio, cedesse al Pd l’immagine con cui si presenta ufficialmente ai propri sostenitori.

Vostro onore, non ho altre domande.