Demansionare stanca

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(ANSA – POLETTI) Alcuni segretari comunali accettano di buon grado il demansionamento

Il jobs act liberalizza il demansionamento a parità di stipendio.

Esemplifico: hai un qualunque lavoro conforme al tuo curriculum e alla tua professionalità, magari – wow – a tempo indeterminato. Sei un ingegnere? Fai l’ingegnere. Sei un perito? Fai il perito. Sei un meccanico? Fai il meccanico.

Litighi col tuo superiore. Oppure l’azienda ha bisogno di sfoltire, riorganizzare. Il giorno dopo, a parità di stipendio, vai a pulire le latrine.

Se te ne vai, la legge non ti protegge più. Sarai stato tu. Non c’è giusta causa. Non c’è reintegro. Non c’è nemmeno indennizzo.

Forse per questo, una precedente sentenza della Cassazione accostava il demansionamento al mobbing.

Mo’ no. Mo’, il demansionamento #cambiaverso.

* Ultim’ora Grazie a un emendamento della minoranza Pd, i demansionati addetti alle latrine potranno ricevere, oltre allo scopino, anche una confezione mensile di Viakal. Pericolo scampato.

Matrimoni gay for PDummies

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Nella festa laica seguita al bel gesto del sindaco Merola, che ha sfidato il ministro dell’Interno sul terreno delle unioni omosessuali, ho argomentato in battuta che ci sarebbe rimasto male, Merola, qualora gli avessero rivelato che lui, il suo partito, governano con Alfano ormai da diversi anni.

Approfondisco. Con una premessa: per me i matrimoni omosessuali sono cosa buona e giusta. Di più: sono favorevole alle adozioni gay. Non lo ero, ero solo neutrale. Per una specie di retaggio ancestrale: ma un bambino cresciuto da genitori omosessuali, mi diceva una vocina, non rischierà di essere condizionato nelle proprie scelte affettive? Non sarà più portato a mutuare i comportamenti dei due padri, o delle due madri? Poi ho trovato – credo – la giusta risposta a queste domande: e allora? Se anche fosse (pare non sia) che un bambino figlio di genitori gay corre il “pericolo” di seguire la stessa strada, dov’è il problema? Mica è una malattia. Mica è il conferimento di un rischio. Mica è un’ipoteca negativa sulla vita.

Così ho ricordato a Merola quell’incidente del fato per cui il partito di cui è autorevole esponente risulta alleato del tizio che vuole impedirgli di trascrivere i matrimoni omosessuali celebrati all’estero. Perché c’è un dato anch’esso allarmante, sconcertante, sgradevolissimo: può. Alfano, quello del lodo Alfano, è in grado di impugnare la decisione di Merola perché il ruolo glielo consente. E Merola, nello smarcarsi, genera un conflitto tra poteri dello Stato che rende la sua (pazzesco) una battaglia di potenziale illegalità.

Tralascio il sospetto che si tratti di un diversivo per illuminare un governo della città altrimenti controverso: il sindaco è persona dabbene, le lacrime dell’altra sera non erano certo pilotate. Nel suo gesto c’è un coraggio palmare.

Però mi permetto di far presente, con estrema umiltà, come doveva e poteva andare: il Partito Democratico poteva/doveva mettere nel proprio programma matrimonio e adozioni e figliazioni gay. Matteo Renzi, da formidabile comunicatore qual è, poteva/doveva convincere il suo elettorato che la normalità è l’omosessualità della porta accanto, che coinvolge ognuno di noi, i nostri affetti, la nostra quotidianità. E che quel vulnus discriminatorio andava sanato. Poi avrebbe potuto/dovuto vincere le elezioni e mettere in pratica il frutto di una coscienza di popolo che finalmente si faceva legge.

C’è il piccolo particolare che Renzi non è stato eletto, che per questo non ha una maggioranza coesa sui diritti civili, che quel programma non esiste, e che – ove fosse esistito, prendendo per buono quello del Pd di Bersani – matrimoni e adozioni gay non c’erano. Ma non c’era, per dire, neppure l’abolizione dell’articolo 18.

Quindi mi scuso col sindaco per averlo un po’ sfruculiato sull’alleanza col carnefice delle proprie aspirazioni libertarie. Se questa ribellione farà brodo, sarà uno dei rari casi in cui l’estenuazione del Diritto, in Italia, partorisce qualcosa di buono. Anzi, di eccellente. Faremo festa insieme. Ma non gli perdonerò mai, più al suo partito che a lui, di aver dovuto pensare, anche solo per una frazione di secondo, che Angelino Alfano aveva preso una decisione retriva, in perfetta sintonia col suo elettorato più irricevibile – almeno a me – eppure, maledizione, formalmente plausibile.

Uscito sul Corriere di Bologna

Un inutile raccontino autobiografico sulla radio (siate clementi)

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Era in via Vasari, Radio Bologna 2001. Alla Bolognina. Non lontano da dove abito ora. Uno scantinato dagli odori acri (oggi la riconoscerei, la maria, allora no) e una specie di studio là in fondo. Divani molto vissuti, anche. Secondo me appena mi toglievo dai coglioni ci davano giù di brutto.

Ricordo che passavano “Sei bellissima” della Bertè tipo duecento volte al giorno, Wikipedia sostiene fosse il 1976. Quindi avevo nove anni. E mi piazzavo al telefono. Trascrivevo le dediche e richieste. Mi scambiavano per una ragazza, a causa della voce infantile. Dettavano. Mi divertivo come un matto. Da Gianni a Mara con amore e forse qualcosa in più. Da Mara a Gianni con simpatia. Secondo me, Mara ne voleva meno di Gianni. Certe volte chiamavo altre radio e le dediche le facevo io. Mi innamoravo ogni settimana. E ogni volta chiamavo perché qualcuno si dichiarasse per me. Ce ne fosse stata una che sganciava anche solo un piccolo bacio, poi.

Credo di averle girate tutte, con quei nomi già pronti per un adesivo scrauso. Radio Antenna Uno, quella dei preti, all’ultimo piano dei Salesiani. C’era una certa Cristina che avrebbe accompagnato tanti sogni. Radio Modulazione Special. Radio Bologna Notizie. Radio Bologna Nuova, Radio Luna a porta San Mamolo. In onda, mai. Solo una volta, credo a Radio Zola, la notte di Capodanno del ’77, vinsi un premio a un gioco telefonico. Mio fratello mi portò a incassarlo seduta stante, sotto la neve. Era un buono per dei dischi, se lo tenne lui. Il tizio in conduzione insistette perché dicessi che da grande volevo fare il “disk gioco”. Lo assecondai.

Avrei esordito una ventina da anni dopo, per colpa di un insegnante di Diritto, alle superiori, quinto anno delle Magistrali, scelte perché… sì: quel motivo lì. Il professor Montebugnoli collaborava con Radio Bologna 101. A Casteldebole, dove si allenava il Bologna, non ci facevano entrare per via dei diritti. Ma i giocatori abitavano in un condominio della periferia, al quartiere Barca. Ci trovavamo lì, nel magazzino del bar nel centro commerciale Margherita. Intervistavamo quasi sempre un finlandese: Mika Aaltonen. Non giocava mai, veniva via dal campo prima.

Finii a fare il basket. Davo i numeri durante le partite della Virtus. Sei su sette, otto su nove, dodici rimbalzi. Un pomeriggio di febbraio del 1989 a Torino non voleva andarci nessuno. Mentre me lo comunicavano, ero già in autostrada con la mia fidanzata di allora. Alzai il telefono e cominciai: “Amiche e amici sportivi buonasera da Luca Bottura che vi parla e vi saluta. Campo ostico quello del Palaruffini per la Knorr Bologna…”. E via. Qualche anno dopo stavo per andare in onda da Roma, dal Palaeur. Dallo studio mi dissero: “E’ morto Maurizio”. Maurizio, Gentilomi, era il telecronista ufficiale da sempre. Bolognesissimo, voce aperta e calda come un portico. Portai la radiocronaca in fondo. Vincemmo (sì: vincemmo, non credete a quelli che non tifano) 101-78. Centouno, come Radio 101. Attaccai e piansi come un vitello.

Nel ’98 l’Unità stava per chiudere come al solito, eravamo in contratto di solidarietà. Mandai un progetto a Fabrizio Binacchi, il direttore della sede di Bologna della Rai. Nel mio curriculim lesse “Cuore”. Lo girò immediatamente a Giancarlo Santalmassi che dirigeva Radiodue. Due mesi dopo, e anche di questo devo ringraziare Michele Serra, ero in onda con Tagliobasso. Insieme ai miei amici di Radio Città del Capo, il polmone locale di Popolare Network, dove straparlavo di vili vinili con Francesco Garbari e dove mi ero innamorato per sempre.

E poi Playradio, con le pareti arancioni che portano sfiga alle startup, ma io e Simone Bedetti eravamo felici di andare in onda direttamente da Marte con “Mi dia del play”. E l’anno dopo Flavia Cercato che mi vuole con sé a Capital, e Linus – che avevo conosciuto nel mio primo programma da autore tv, da Celentano – che osa l’inosabile: una striscia quotidiana a uno sconosciuto. Una striscia che 8 anni dopo è ancora lì, ogni santo giorno.

Chissà, forse alla radio dici quello che vuoi perché è ritenuta impalpabile. Quando fanno i golpe mica occupano le radio, occupano la tv. E forse per quello che è più libera, che sei più libero anche tu. Anche se poi ti viene in mente Peppino Impastato e pensi che sei niente. Per quello cerchi almeno di essere un niente onesto, appassionato, allegro, conscio dell’enorme privilegio di vedere tutte le mattine la luce rossa che si accende senza doversi rintanare in un cinema hard.

Fateci caso: la radio è l’unico mezzo che ingloba i social alla perfezione. Perché è accogliente, orizzontale, non sa essere proterva. Amplifica e attutisce. Unisce. La tv è gerarchica, anche la rete lo è, schiava com’è dei like e dei clicca qui. La radio è popolare a volte persino controvoglia. E’ di tutti, in fondo. Per quello nobilita chi la fa e chi l’ascolta. Per questo le vogliamo bene e oggi festeggiamo con lei.

Pronto, Radio Bologna 2001. Quale canzone ti piacerebbe ascoltare?

Civati, colpa di Segafredo

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Come sa chi ha la bontà di seguirmi (Equitalia e pochi altri) ho una certa simpatia per Pippo Civati.

Mi capita, per usare un punto di vista inutilmente egoriferito, che lui condivida molte mie idee.

Altre volte sono in profondo disaccordo, ma più di rado.

Come molti, gli ho rimproverato eccessive cautele nel monetizzare il consenso che si è costruito da dissidente rispetto alla reaganizzazione Pd. Pensavo fosse giusto per lui creare una forza speculare al Nuovo Centrodestra e influire sulle sorti del suo partito attuale con un vero potere contrattuale dato da una percentuale di voto.

Il Pd attuale non si scala da dentro. L’Opa – parer mio – dev’essere lanciata da fuori per essere pronti se e quando questa dirigenza avrà mostrato la propria inadeguatezza, o per costruire un pungolo dalla precisa identità nel caso mantenesse almeno una parte degli obiettivi mirabolanti che si è data.

Invece Pippo è diventato (ad ora) quello che intervistano quando serve una dichiarazione a sinistra di Renzi da pagina 14 di Repubblica o 8 del Corriere.

Ieri l’ho visto sul palco di Sel mentre costruiva un asse con Nichi Vendola. Ha poi dichiarato che non è ancora il momento di dividere le sue strade dal Pd.

Per questo, con l’affetto di cui sopra, volevo significargli una brevissima considerazione/avvertenza e un raccontino morale.

Considerazione/avvertenza: Vendola (lasciamo stare le risate sull’Ilva) è quello che a Roma fa lo scavezzacollo anti Renzi e nelle regioni, tipo l’Emilia-Romagna, dove si vota tra poco, si allea col Pdr. E’ esattamente come quando Craxi governava con la Dc a Roma e col Pci nelle zone rosse. Non ne ho un ricordo entusiasmante.

Raccontino morale: il Bologna calcio, la mia squadra del cuore, in questi giorni è stato salvata dal fallimento grazie all’intervento di Massimo Zanetti, l’industriale del caffè Segafredo. Era già intervenuto quattro anni fa in circostanze analoghe, ma poi si era eclissato per via di certi contrasti con gli altri soci. Due settimane orsono un gruppo americano – cinque miliardi di fatturato – stava comprandosi il Bologna tra gli osanna della città. Ma ‘sto Zanetti li ha battuti sul tempo. Dopo però che eravamo finiti in B a causa del presidente che lui, Zanetti, ha lasciato spadroneggiare in sue assenza. Così, buona parte dei tifosi l’ha accolto a pernacchie. Nonostante li avesse salvati dall’estinzione.

Morale, Pippo, a presentarsi sul cavallo bianco in ritardo, la tua squadra retrocede. E, nel caso risalga, rischi pure che diano i meriti a un altro e le uova le tirino a te.

Un abbraccio.

Renzi e la pazza Ikea

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Il lato B degli annunci a raffica è l’attribuirsi cose fatte da altri.

Nello sblocca-Italia di Renzi ci sono fior di fondi e riforme stanziati dal governo Letta, per dire. E nel progetto “antievasione” del Governo, la cui ideologia di fondo è quella di non rivendicare neanche per sbaglio un minimo di intransigenza con i ladri, c’è quella che viene annunciata come una riforma epocale: per la grande distribuzione – leggo su Repubblica, su segnalazione di un tizio che voleva sfrangiarmi la uallera e invece mi ha dato una notizia  – gli scontrini diventano telematici. Le catene manderanno in tempo reale i propri dati al fisco e non potranno evadere.

Wow.

Ora andate in un supermercato qualunque. O all’Ikea. Pagate, prendete lo scontrino: cosa c’è scritto sotto? Che è non fiscale. Perché? Perché i dati sono GIA’ ORA trasmessi per via telematica e quindi per l’erario fanno fede quelli, e non il vostro pezzetto di carta, che funge solo da ricevuta.

La riforma epocale che oggi, per dire, è l’apertura del Messaggero, è stata fatta con una legge del 2004.

Dice: ma per gli altri commercianti? Beh, quella com’è noto è evasione di necessità. Non latrocinio, non concorrenza sleale nei confronti di prova a stare sul mercato onestamente. Mica vorremmo andare a rompere i coglioni agli elettori di Alfano?

Perché, come dice il saggio (e chi governa) è sempre meglio una base elettorale che una base imponibile.

#stessoverso

Ciao.