Perché non possiamo dirci catalani (e men che meno Rajoy)

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Falta personal, falta personal, personal foul.

Era il 1997 ed ero a Badalona, Catalogna (Spagna, ad oggi).

Raccontavo per l’Unità gli Europei di basket. Quando lo speaker doveva avvisare il pubblico di un fallo personale, scandiva proprio così: falta personal (castigliano), falta personal (uguale, ma in catalano), personal foul (inglese).

Quel giorno mi convinsi che le pretese separatisti dei catalani erano, se posso usare un francesismo, una ridicola cagata. E questo al netto di una storia che conosco piuttosto bene, dell’identità di popolo, della repressione franchista da cui è nata una Costituzione molto più che autonomista. Che la Catalogna ha ampiamente sfruttato per diventare, anche economicamente, quel che è.

Nel ’91, quando il Palau Sant Jordi era ancora un’accozzaglia di lavori da finire in vista delle Olimpiadi (ma la Virtus ci giocò lo stesso, anzi credo addirittura che l’abbia inagurato) i tabelloni pubblicitari di Barcellona erano sporcati con lo spray: “Le vogliamo in catalano”. Mi ricordo che ne ridevamo, come poi avremmo riso del folklore padano.

Poi arriva un momento in cui il folkore smette di essere tale. Quello in cui il grumo nazionalista fa massa acritica – tipo la Brexit, altro harakiri acrobatico – e si arriva ad oggi. Con centinaia di migliaia di persone che, pacificamente, violano la Costituzione. E con un governo centrale che cerca di risolverla coi proiettili di gomma e le manganellate. Da una parte, un’illegalità disarmata. Dall’altra, una ragione violenta.

Non sai con chi non stare.

La mia amica Cathy Latorre spiega qui perché quella pagliacciata è contraria a ogni giurisprudenza, oltre che pericolosa. Le truppe della Guardia Civil che attraversano la Spagna tra ali di folla, in parte nostalgica del Generalissimo, sono sostanzialmente il primo passo di una Guerra Civile.

Che non ha senso.

Avete presente l’Alto Adige? È figlio di un equilibrio postbellico surreale, che ha diviso il Tirolo e provocato decenni di tensioni a volte sanguinose. Ecco: dopo Schengen, la questione è caduta. Perché il Tirolo di fatto esiste di nuovo. E gli altoatesini, cioè gli italiani di lingua tedesca, mai troverebbero in Austria la miriade di agevolazioni che lo Stato italiano, cosciente dei disastri mussoliniani in zona, ha concesso loro.

La Catalogna è un Alto Adige più tignoso.

O un (o una) Euskadi che però, a differenza dei Paesi Baschi, manco si ritrova con un territorio diviso tra due stati sovrani. Potrebbero paragonarsi ai curdi. Hanno fatto la Guerra Civile. Oggi, probabilmente, si sentono cittadini europei e se ne sbattono.

Non sono un politologo e probabilmente ciò che ho scritto contiene errori fattuali. È l’analisi di pancia di un tizio che schifa il nazionalismo, che si sente patriota del mondo, che odia i confini, che agli steccati preferisce l’identità culturale. Se vivi in una democrazia e ti permettono di esprimerla, mi basta e avanza. Sono italiano, bolognese, europeo, occidentale, laico, credo nella pace tra i popoli a parte forse con gli ultras del Cesena (ma no, in fondo vanno bene pure loro).

Però, ecco, proviamo a usare proprio una metafora calcistica, da cui potremmo desumere che tutta questa storia è prima di tutto grottesca (e, certo, anche drammatica). L’altro giorno la Catalogna ha chiesto la mediazione dell’Unione Europea per uscire dalla Spagna. Cioè ha chiesto all’Europa di mediare per potersene andare, pulendosi il culo con la Costituzione, da uno stato che dell’Unione fa parte. Cioè: i catalani vogliono la botte piena, la moglie ubriaca, e possibilmente che la bevuta sia offerta da qualcun altro.

Spostiamoci nel calcio, appunto. Il Barcellona ieri ha giocato a porte chiuse. Se la Catalogna esce dalla Spagna, il campionato con chi lo fa? Un bel derby col Tarragona tutte le domeniche? E i diritti del Clasico Barcellona-Girona, a chi li vendono? Ora: anche la Palestina non è uno stato ma ha un comitato olimpico. Quindi è pure possibile che il Barcellona, come pare sia intenzionato a fare, voglia giocare nella Ligue 1. Forse la Fifa li riconosce, con il giro d’affari che muove.

Ma il dato è un altro. Ed è politico, non economico: senza un contesto, non conti un cazzo. Senza una relazione col mondo, non migliori. A furia di alzare muri, tirerai la palla contro i medesimi. E c’è persino il caso che gli sponsor spariscano, che i guadagni scendano, che una Catalogna calcistica fuori dalla Spagna faccia la fine che le toccherebbe se uscisse dalla Spagna senza entrare nell’Ue.

Posso sbagliare, ma ‘sta roba non giova a nessuno. È l’atto ultimo di un impazzimento collettivo, tutt’altro che limitato a quel pezzetto di Spagna a sud della Francia, che ha ricevuto l’ultimo colpo di gas con la creazione di un’intelligenza collettiva attraverso i social.

Prima, i componenti della maggioranza silenziosa se ne stavano zitti, temendo di dire o fare la cazzata. Mo’ si organizzano. Come in Catalogna. Come in Veneto.

Oggi ci sembrano appunto folklore, come i cartelli in dialetto sparsi per la Bassa trevigiana, come un referendum del quale ridiamo ma che costerà un botto di soldi nostri per cominciare, parola di Zaia, lo stesso percorso catalano.

Ma hanno la stessa ratio di un altrove anabolizzato in cui fuggire per sentirsi più importanti e meno soli. La Serenissima non ha meno storia dei catalani, a vederla tutta. Parlano un’altra lingua – che tra l’altro manco ha dovuto essere riesumata come a Barcellona e dintorni, visto che Franco l’aveva improvvidamente rasa al suolo – e possiedono un sacco di sghei. Zaja è un Pudgemont al momento meno aggressivo.

Al momento.

Senza contare che in fondo l’Andalusia è stata araba per un periodo pare piuttosto lungo. Un bel referendum per la Sharia? E i galiziani sono mezzi portoghesi, vogliamo riunirli? E noi emiliani con i romagnoli ci siamo sempre stati sui coglioni. Perché non staccarci?

Perché sarebbe una cazzata.

Perché sarebbe un solipsismo autistico elevato a diritto che non esiste. Perché sarebbe la celebrazione di un fallimento – quello degli Stati-nazione – aggiungendo altri inutili Stati-Nazione.

Non si mena chi vota. Non si vota contro la legge.

Suerte. Bona sort. Buona fortuna.

21 pensieri su “Perché non possiamo dirci catalani (e men che meno Rajoy)

  1. Daniele

    Sono molto curioso di vedere cosa succederà con il referendum in Lombardia e Veneto, anche se in realtà non avrà nessun valore (infatti c’è il voto elettronico che mi pare non sia consentito per altre elezioni e referendum nazionali).
    Personalmente voterò sì per curiosità di vedere cosa succede e in parte perché sarei contento se mandassimo meno soldi a quel terzo mondo che comincia dal Lazio (compreso) in giù.

    • Sestante

      non è la stessa cosa. la Catalogna, meglio dire la Nazione catalana, è formata da catalani con lingua, cultura e usi diversi dai castigliani e dal resto dei popoli che albergano in Spagna (baschi e galiziani, per esempio,
      con una loro lingua) .Tralasciando la questione delle tasse che versano e ne tornano indietro solo una piccola parte. Il Veneto e La lombardia non sono nazioni, sono solo posti geografici dove ormai da 150 anni esistono abitanti provenienti da tutt’Italia ma sempre italiani, con la stessa lingua e la stessa etnia, salvo casi molto particolari come i Sardi, per esempio. Quindi che senso ha votare per l’autonomia? autonomia da chi? piuttosto dicano che ne fanno una questione puramente economica: vogliono che le loro tasse restino in massima parte sul posto come fanno gli altoatesini che trattengono il 90% dell’ IRPEF pur essendo ormai italiani da quasi 100 anni.

      • Daniele

        A me andrebbe già bene se togliessero lo statuto di regione autonoma a quelli che ce l’hanno, altrimenti com’è che ci sono regioni più stronze di altre che si tengono i soldi e altre che li devono dare allo stato?
        Che poi alcune che si tengono più soldi vengono lo stesso a chiederli (Sicilia) perché non sanno cosa sia la buona amministrazione e il non ladrocinio.

  2. Mauro

    Eh, ma se l’avesse saputo Metternich ai suoi tempi… sarebbe bastato scrivere in costituzione “L’impero è unico e indivisibile” perché l’unità d’Italia diventasse illegale. E il referendum monarchia repubblica? Sono sicuro che nella costituzione albertina ci fosse scritto che l’Italia era una monarchia costituzionale. La verità è che i catalani avevano il diritto di fare il referendum, e i catalani contrari avevano il diritto di votare no. Invece si è continuato con la linea dura e questi sono i risultati.

    • GAITAC

      Faccio presente che nei casi da te descritti si è fatta una guerra per cambiare lo status. I catalani sono pronti a farla? Si? Si accomodino, io vado a comprare i pop corn.

  3. Rafox

    Daniele i tuoi denari ficcateli nel culo, noi andiamo avanti cosi nonostante il monopolio economico del nord, studia prima di dire cazzate da analfabeta funzionale

  4. Luis Cabases

    Battuta credevo fosse più intelligente. Ma la sua presunzione di sapere tutto di tutto ogni tanto gioca tutti scherzi. Usi occhi obiettivi e non italiani. Si informi che il catalano non è stato raso al suolo neanche dal franchismo. A già, dimenticavo, lei non ha bevuto olio di ricino perché lo parlava. ..

  5. filippo agostini

    La Val Pellice in Piemonte potrebbe vantare gli stessi elementi dei catalani. Quando la follia delle masse è governata dalla follia dei rappresentanti del popolo. Bravissimo Bottura.

  6. Jacopo

    d’accordo pienamente, al 1000000000%!!!!!!!!

    L’impressione è quella, vedendo da fuori: qualcosa di non tanto dissimile da una lega nord nostrana dei tempi d’oro, una regione più ricca che cerca di staccarsi dal resto del paese, perchè si sente superiore, perchè crede di “tirare la carretta” per tutti, eccetera.
    una cosa che mi è sempre sembrata stranissima, poi, è che le differenze culturali tra catalani e “castigliani” non mi sembrano abissali.
    il catalano non è molto diverso dallo spagnolo – diranno “camp nou” invece di “campo nuevo”, se la squadra di calcio ha per capitano uno stopper coi capelli più belli dell’umanità si chiamerà Carles e non Carlos – la differenza, per dire, tra il basco e lo spagnolo è molto più marcata.
    il nuovo capetto della piccola patria ricca, Carles Puigdemont, ieri ha arringato la folla e risposto ai giornalisti in puro castigliano (che un po’ capisco), invece di farlo nella lingua dei padri(?).
    se ci badate, quando vent’anni fa la lega voleva la secessione, una delle tante obiezioni che gli si rivolgeva era proprio quella: ma se parlate in italiano (al che qualcuno meno sprovveduto faceva notare che insomma, qualcosa di italiano conoscevano, i leghisti, ma proprio il minimo, a volte nemmeno quello).

    quindi sì, sono d’accordissimo una volta tanto, perchè, dall’Italia, vedo una comunità piccola e, soprattutto, provinciale nel suo atteggiarsi, nel suo senso di superiorità, ben sintetizzato – per dire quanto incide il nazional popolare anche in cose così serie – nella squadra da calcio: il Barcellona sia quando vince, che quando perde, è considerato figo a prescindere, glamour, anche se spende barche di soldi, se cede giocatori per barche di soldi ancora più grosse, se perde facendo figure barbine (perchè non di rado gli è capitato, in questi anni; l’ultima volta ad aprile), ma ne escono sempre bene, “mes que un club”; mentre i mercenari, i depositari del business, sono gli altri, quelli del Real, ovunque e comunque.

    sarebbe da fargliela provare, alla fine, l’indipendenza, a vedere dove se ne vanno, se vanno da soli; invece di provare a riversare i valori che dicono di avere, la storia, e cazzi vari, in una lotta vera contro il fascio-conservatore Rajoy, che così facendo rafforzeranno invece di indebolire…

  7. Maria Subirana Colom

    Salve, mi chiamo Mariona, sono catalana, residenti in Italia. Ho vissuto e lavorato in sud America, Africa e diversi posti in Europa. Parlo cinque lingue e posso capire meglio di molte persone cosa significa sentirsi cittadino del mondo. Ma NON sono d’accordo con questo articolo ne con la metà dei commenti. Ovviamente siamo tutti liberi d’esprimere il proprio pensiero ma quando si fa bisognarebbe essere più informati. Invito tutti voi ad un confronto pacifico per chi fosse interessato a capire di più o sentire altri punti di vista. PS: non tutto finisce in un campo di calcio.
    Saluti

    • Luca Bottura

      Ciao Maria, grazie per il commento. Credo di essere sufficientemente informato ma, come avrai notato, il mio articolo non è politico. Assomiglia di più a un’analisi sugli ideali e contro i nazionalismi, tutti i nazionalismi. Hai ragione: il calcio (o il basket) non è tutto. Ma nel Barcellona che vuole uscire dalla Spagna ma continuare a giocare nella Liga – perché sennò salta per aria econonomicamente – vedo un’eccellente metafora di una battaglia che trovo autolesionista. Avete già una marea di autonomia. Fuori dalla Spagna sareste più deboli. Ah, mio figlio si chiama Ferran di secondo nome solo perché mia moglie non ha voluto Jordi come primo. Amo la Catalogna, proprio per questo trovo questa parodia di guerra civile inutile e antistorica. Un abbraccio

      • Jacopo

        racconto, come spesso, mi capita, un piccolo aneddoto.
        una cifra di anni fa, era il 2008, andai in vacanza a Lloret de Mar, con un amico magreb.
        ci divertimmo una cifra: in primis perchè trovammo da cuccare (era impossibile il contrario, in un posto così), ma anche per tante altre cose, tipo la prima sera quando chiedemmo a due ragazze stracciate, i jeans larghi, le Etnies, che allora andavano, se avevano del fumo da vendere: e loro, per tutta risposta, in spagnolo, ci esibirono un distintivo in faccia, erano due poliziotte, ci chiamarono “dos tontos”, due coglioni, e ci dissero che se ci avessero ritrovato lì, in quel posto, a quell’ora, il giorno dopo, guai a noi – ma gli scappava da ridere mentre lo dicevano, alle due stronze (di ritorno dalla vacanza scrissi sull’episodio una bella canzone, che ho intitolato Julie’s Been Working For The Drug Squad).

        il fumo lo trovammo, alla fine, lungo il lungomare giravano dei compaesani del mio compagno di avventure che vendevano dei pezzi di hashish lunghi come un dito medio a 10 euro.
        così, di ritorno, tutte le sere, ci mettevamo sulla porta del nostro albergo a fumare; quel che restava lo fumavamo la sera dpo prima di uscire a spaccare il mondo
        il nostro albergo era un po’ fuori dal paese, i Mossos passavano ma discreti, era tutta la settimana che ci vedevano fumare e non facevano mai nulla, non era lì che dovevano intervenire (era di poche settimane prima l’omicidio di Federica Squarise).

        insomma, quella sera il portiere dell’albergo dove eravamo uscì, era quasi mattina, con una bottiglia in mano, ci fece bere (sapeva di alcol, mi ricordo solo quello) e ci raccontò che lui era un “patriota”.
        ci fece un discorso tutto contro “Madrid”, che ruba, che non ha voglia di fare un cazzo, che è la palla al piede della Catalogna (anzi, della Catalunya), eccetera eccetera (poi ci assicurò che gli asciugamani che avevamo lasciato stesi sul balcone e ci avevano rubato sarebbero tornati indietro; in effetti, la mattina dopo, ossia dopo poche ore, ne trovammo due grossi il doppio dei nostri e freschi di bucato).
        hanno le loro ragioni, sospirò l’amico magreb (che qualche sera prima aveva fatto uno spogliarello integrale a una balconata di ragazzine tedesche che stavano all’albergo di fronte) e io gli feci notare che, se toglieva “Madrid” e metteva “Roma”, quello poteva benissimo essere il discorso di un leghista – ai tempi la lega era ancora quella di bossi, quella di “Roma ladrona”.

        non si rendeva conto, il nostro amico portiere, che se la Catalunya fosse stata solo Catalunya, e non anche Spagna, forse ci sarebbe stata metà della gente, quell’estate, a LLoret (esattamente come se Venezia fosse Padania e non Italia avrebbe probabilmente molti meno turisti, molti meno giappi e british e deutsch che vengono da noi per fare un giretto a Venezia e poi scendere verso Firenze, o Roma, magari non prima di aver buttato un occhio anche a Mantova o Ferrara); che come meta turistica la Catalunya sarebbe stata molto meno “figa”, che il fatto di far parte di uno Stato di medie dimensioni come la Spagna, con la sua fama che si porta dietro (posto caldo, rilassato, dove si paga un po’ meno che da altre parti e si fanno bellle vacanze, magari si tromba anche), alzava in orbita le quotazioni di Lloret, di Barcellona e di tutti gli altri posti; che tutte le cose per cui Barcellona è famosa, dipendono dal fatto che Barcellona è in Spagna, e sì, il calcio è una di queste, perchè senza Spagna gente come Messi o Suarez o Rakitic o tutti gli altri non giocherebbero mai nel campionato catalano, che nessuno pagherebbe per vedere, come ben dice Bottura, un bel derby col Girona, mentre chiunque pagherebbe per vedere un clasico con l’odiato Real, ma anche una partitona all’ultimo sangue contro l’Atletico, o un bel match aperto e con tanti gol contro il Siviglia, o addirittura un “derby indipendentista” contro l’Athletic Bilbao: sono soldi, questi, soldi e fama, quello di cui la Catalunya ha goduto in modo sempre maggiore negli ultimi tempi; da lontano, a me sembra assurdo volersi staccare da tutto ciò in nome di una supremazia solo economica spacciata per superiorità morale quando le differenze, a conti fatti ci sono ma sono tutto sommato abbastanza contenute…

  8. Karonte

    Posso anche essere (in parte) d’accordo, ma il pezzo è penoso. Pieno di spocchia e di volgarità. E sopratutto, tratta con molta superficialità l’argomento. La questione dell’indipendenza per loro non è un capriccio nato ieri.. altro che “Alto Adige un po’ più tignoso”. Infine, il mancato rispetto della Costituzione, come argomento, è ridicolo. Tutti i grandi cambiamenti e le rivoluzioni della storia sono stati fatti in barba alle regole proprio perché un’alternativa legale per realizzarli non esisteva. Hai scritto sull’Unità ma se ti fa comodo tiri fuori una retorica da vero reazionario. Bravo….

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