Ho fatto da autore a mia mamma

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Breve storia buffa, almeno per me.

Mia madre aveva una vecchia ricaricabile di un provider telefonico tradizionale, inserita nel suo telefono a vapore cui però tiene molto perché le ho messo come salvaschermo una foto sua e del mio babbo.

Con quel telefono, confondendosi con la linea fissa, mi chiamava spesso. Spendendo un botto.

Ho così deciso di traslarla a uno dei provider low cost con cui spenderà in un anno quel che prima spendeva in due settimane.

Eccoci allora al supermercato, di fianco al totem per la nuova avventura (che completeremo poi con un cellulare senior, di quelli col tastone per chiamare aiuto, che verosimilmente userà a caso e non certo quando le servirà, ma si prova tutto).

Potrei fare da solo ma l’addetta, che giorni prima aveva malamente allontanato mia moglie mentre tentava analoga impresa, perché sprovvista di non so quale documento, una di quelle – non mia moglie, l’addetta – che sembra godere se ti presenti disarmato a una procedura da cui teoricamente trae vantaggio pure lei, decide di rendersi utile. Potenza dell’età declamata da mia madre: 88 anni.

Inserisce tutto, con qualche errore che avrei potuto commettere anch’io, ma dopo 20’, e dopo aver sguainato vecchia sim, carta d’identità, codice fiscale, siamo pronti al momento clou: la mamma deve declamare, in direzione di una telecamera piazzata all’angolo destro del totem, la frase: “Sono XXXX XXXXX e scelgo XXX”.

Fosse davvero così, cioè con le X al posto di nome e cognome, e del gestore, sarebbe quasi più facile. Comincia, ma a metà perde il filo. Allora le fa da suggeritore l’addetta. Ma fatica a pronunciare il provider. A un certo, spazientita, l’addetta mi invita a intestarmi il contratto e a registrare io la formuletta. Procedura un filo complessa, non essendoci un negozio dell’altra compagnia nei dintorni, e sembrandomi spiacevole aprire un contratto solo per andarmene.

Finché non ho l’illuminazione.

Estraggo dalla tasca il cellulare, avvio l’app che di solito uso come gobbo elettronico per gli artisti che hanno l’incoscienza di affidarsi ai miei servigi, e, mentre l’addetta scettica continua a suggerire a mia madre, un ciak dopo l’altro, parole che non comprende e non riesce a pronunciare, scrivo la formula magica. La metto di fianco alla camera, là in alto. “Mamma, leggi qui?”. “Sì!”. Via alla registrazione. “Sono XXXX XXXXXXX e scelgo XXX”. Buona la prima.

Io, lei, e l’addetta ci abbracciamo come se avessimo vinto i Mondiali. Quattro spicci di felicità per una nuova tariffa. Chi dice che il capitalismo non dà mai soddisfazioni, non ha mai provato a traghettare la propria genitrice verso nuove bollette e progressive. E da oggi ho fatto l’autore per l’attrice protagonista della mia vita.

Sono Luca Bottura e scelgo Bice.

Ecce Bomba. Perché moriremo renziani.

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L’abusata metafora di Ecce Bombo (“Vengo, non vengo, mi si nota di più se vengo e resto in disparte…”, etc) calza purtroppo a pennello per il forfait di Matteo Renzi all’Assemblea Pd, che in effetti – per ruoli in commedia, figure partecipanti, la fotografia seppiata che tutto permea e tutto ottunde – è parsa per lunghi tratti un congresso doroteo del 1974.

L’ex segretario procede distribuendo scampoli d’assenza, con la contestuale pretesa di un ruolo centrale nel dibattito interno al partito che comunque medita di lasciare. Che al mercato mio padre comprò.

Il Renzi che mette like su Facebook a chi gli profetizza la diaspora, è lo stesso Renzi che lavora per Minniti segretario, in un gioco di ruolo uno e bino che apparentemente prevede una sorta di En Marche al lampredotto, collegata in qualche modo a un Pd amico. Due partiti da guidare al prezzo di zero. E l’egemonia completa su quel che resta della cosiddetta sinistra riformista. Parlandone da viva.

Intanto, LeU implode trascinando nel vuoto cosmico un’ulteriore fetta di elettorato, mentre il pacato Carlo Calenda lancia un Fronte Repubblicano per Europee ma lo chiude alla sinistra cosiddetta radicale. Il che ipotizzerebbe il primo fronte nella Storia composto da un solo partito (a meno di non coinvolgere – oddio – Forza Italia) che peraltro è in odor di scissione.

In questo pianeta delle scimmie progressista, dove manco le clave volano più, prova ne siano i flebilissimi interventi di Martina e Zingaretti all’assemblea di cui sopra, un dato solo è certo: il segretario del 40 per cento è convinto di aver perso prima il Governo del Paese e poi le elezioni per un complotto esterno di cui fanno parte tra le altre cose gli stessi giornali che i grillini (e i loro organi ufficiali) additano come suoi lacché.

Ha dato le dimissioni come quegli attori che lasciano il palco già pronti per il bis. Anche quando non glielo chiedono. O, almeno, non ancora.

Ha lasciato Palazzo Chigi convinto di riprenderselo a stretto giro e di poter comandare Gentiloni con un joystick. Si è dimesso da segretario pensando a Martina come a una sua appendice. E non appena le due teste di legno designate hanno mostrato margini di autonomia e (dio non voglia) di popolarità autonoma, ne ha fatto bersaglio.

È tutto legittimo. E siccome in politica l’autostima conta, nulla vieta di pensare che – specie a fronte del mix micidiale di incompetenza e autoritarismo assiso di fronte a lui – Renzi non possa davvero tornare sugli scudi, anche a breve, come ancora di salvezza contro il disastro giallobruno. Il 16 per cento che oggi voterebbe Pd è cosa sua, come lo era il 16 che votava il Psi di Craxi. La piattaforma per tuffarsi c’è. Verso dove, chissà.

Oggi però Renzi rappresenta le ganasce alla incupita macchina da guerra piddina. Il blocco a un motore già ingolfato dalle Politiche. Non sente sue le mura del Pd in cui abita, e c’è una parte di elettorato democratico che ha smesso di votare quel partito perché considera lui uno squatter, un occupante abusivo.

Un limbo che azzoppa entrambi. E tiene in ostaggio milioni di potenziali elettori. E un’ipotesi concreta di ripartenza.

Per questo, oggi come non mai, potrebbe essere utile la famosa “profezia di Fassino”. Renzi si faccia un partito suo, e vediamo quanti voti prende. Sarebbe quantomeno un defibrillatore sul corpaccione immobile dell’opposizione.

A Grillo, che per certi versi gli somiglia moltissimo, andò fin troppo bene.