Di lavoratori fannulloni e pause caffè: un racconto

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Amico lettore, amica lettrice, oggi voglio corroborare la tua collezione di chissenefrega. Ti rivelerò dunque la mia smodata passione per il caffè. Anni fa, in una torrefazione di Milano, mi impegnai il monolocale in cui vivevo per acquistare sei bollenti centilitri di Kopi Luwak, una miscela che deve il suo aroma particolare all’essere passato tra i succhi gastrici di alcuni zibetti indonesiani. Esatto: lo espellono proprio in quel modo là, facendone la deiezione più costosa al mondo dopo alcuni Ddl del Parlamento italiano.

A tale proposito (del caffè, non del Parlamento) vorrei condividere una ricetta, una notizia, una considerazione macroeconomica.

La ricetta, intanto. Prendete alcuni cubetti di ghiaccio e posizionateli in un bicchiere. Aggiungete un espresso. Mescolate il liquido freddo così ottenuto con un cucchiaio di latte di mandorla. Avrete ottenuto una corroborante bibita estiva che in Salento pagherete come un normale caffè. A Roma dovrete invece ordinare un “caffè leccese” e spenderete qualcosa in più, specie se vi avvicinate al barista con un accento eccessivamente nordista. Una volta giunti a Bologna, la stessa medesima bevanda diventerà “caffè mediterraneo” e vi costerà, in un bar del centro, 3 euro e 50. Al banco. A Oslo immagino ti rapiscano la famiglia e chiedano il riscatto.

Il fixing bolognese è preciso al centesimo. Questo perché il bar che serve il “caffè mediterraneo” è un gradevolissimo locale a pochi passi dalle Due Torri nel quale il vostro scriba ha spesso sofferto file interminabili, dacché colà preparano bevande eccellenti, in un ambiente elegante, selezionando miscele che possono arrivare a costare anche 5 euro a tazzina. In piedi. Per non parlare dei beveroni a base di caffeina. Tutti buonissimi, tutti dispendiosissimi, come nelle altre tre sedi, una delle quali nei Paesi Baschi. Inoltre, la miscela in questione è servita e venduta anche in altri locali. E non pare conoscere crisi: sul sito, basta cliccare su un link per candidarsi ad aprire un nuovo bar conto terzi.

La storia, ora. Quel bar, il mio bar, è andato su tutti i giornali per l’ennesima puntata di una fiction molto popolare in questa estate 2022: “Dipendenti da incubo”. Diceva, il titolare, di aver dovuto chiudere una sede secondaria, un chiosco, sempre in pienissimo centro, perché non trovava personale, e questo nonostante offrisse nientemeno che 1300 euro di stipendio mensile. Gli stessi che immagino percepiscano i giovanotti e le giovanotte che da qualche tempo, nella sede principale, hanno sostituito dipendenti più anziani, i quali delibavano il caffè con una cura a metà tra un assistente della Regina Elisabetta e il patriarca Kyrill quando distribuisce incenso o compulsa il proprio conto corrente.

La considerazione macroeconomica, infine. I commenti sulla vicenda davano per certo che la renitenza al lavoro fosse l’esito del Reddito di Cittadinanza ed è molto probabile sia così. Mi permetto però di suggerire un’ipotesi alternativa. A Bologna un affitto accettabile costa non meno di 700 euro (in centro, con quella cifra, ci prendi una camera per studenti. In nero). Un rapporto anche periodico col cibo implica una spesa di una decina di euro al giorno. Le bollette possono costare altrettanto. Ergo, al fortunato vincitore di un posto da mescitore di caffè, cui immagino siano richieste esperienza, competenza, governo delle lingue straniere, resterebbero in tasca all’incirca 0 euro. Sempre che non decida per un formativo pane e acqua che gli permetta ulteriori margini di manovra da investire in generi da diporto.

Ora, al netto delle responsabilità di chi voleva abolire la povertà di tutti e ha principalmente abolito la propria, non sarà che 1300 euro sono pochi? Non sarà che socializzare il rischio d’impresa con stipendi ridicoli disincentiva chi dovrebbe “mettersi in gioco” al posto di chi sostiene di farlo? Perché l’imprenditoria non è una passeggiata di salute: se la scommessa va in porto, il jackpot se lo tiene – giustamente – chi ha fatto la puntata. Quindi: per quale ragione un cameriere dovrebbe accollarsi le difficoltà di chi prima guadagnava moltissimissimissimissimo e adesso guadagna, a occhio, solo moltissimo? E infine: perché chi gioca nella Juve, e quel caffè è la Juve, dunque i biglietti costano come per la Juve, ed è giusto sia così, dovrebbe essere pagato come chi gioca nel Bologna? Non sarà che anche le imprese virtuose, e quella in questione immagino lo sia, si sono adagiate su una narrazione dominante pigra, forse persino tossica, oso: classista?

Propongo dunque una soluzione: dategliene 1500, di stipendio, e vedrete che vengono. Lo so, è semplicistico. Chiedo scusa. Forse odoro di realismo magico. Ma non ditemi subito di no. Lasciatemi il tempo di bere un caffè in ghiaccio con latte di mandorla. A Lecce. Ché ‘sto mese tocca anche pagare le tasse e non ci starei col budget.

Prosit.

Aggiornamento Subito dopo il propalarsi della notizia, il bar in questione ha annunciato di essere stato subissato da curriculum e che dunque terrà aperto. Praticamente, ormai, usano i giornali per non pagare gli annunci di lavoro. E hanno ragione: ci caschiamo sempre.

Un pensiero su “Di lavoratori fannulloni e pause caffè: un racconto

  1. Olivieri

    Bell’articolo con una conclusione non scontata, ovvero viva la legge del mercato, domanda / offerta. Dovrebbe valere quindi per molte categorie in Italia, ovvero una bella liberalizzazione alla Bersani ( come mi mancano le sue lenzuolate ) !

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