Se non ora, dopo

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Il Pd vincerà le elezioni e Greta Thumberg ha rilevato un’azienda che estrae carbon fossile.

Se la seconda ipotesi vi pare più probabile della prima – lo è – immergetevi con me in una breve lista delle cose che il Partito Democratico può fare per sopravvivere al disastro annunciato, in modo che tra un paio d’anni (quando la maggioranza di Destra si prenderà a sganassoni com’è sempre accaduto) venga evitato il solito governo “dei sacrifici” e di responsabilità nazionale che a ‘sto punto, essendo finite le riserve della Repubblica, sarà guidato probabilmente da Carlo Conti, e i democratici possano presenziare alle elezioni col brivido che non li percorre dal 2006: cercare di aggiudicarsele.

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Cosa non fare. In larga parte, ciò che già fa. Appiattirsi su chiunque, di volta in volta sulla “grande risorsa della Sinistra”, ossia la grande risorsa di Matteo Salvini, ossia Giuseppe Conte, o sul cosiddetto “centro moderato”, ovvero interlocutori che peraltro si detestano, tipo Renzi e Calenda, e sgomitano sul loro sentiero di sopravvivenza. Chi più largo, chi molto meno. Sono loro ad aver bisogno di Letta, non viceversa. Invece, ognuno pone condizioni. Mentre in qualunque mercato, anche quello politico, è l’azionista di maggioranza che fa valere il potere contrattuale. Simul stabunt, simul cadent, certo, ma c’è un simul che ha molti più voti e non può farsi dettare programmi, candidature, alleanze dagli altri.  

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Non insistere sul Draghicidio o almeno non farne l’unica narrazione. Il cosiddetto Conticidio ha rimpinguato i conti correnti di alcuni teatranti e le tirature di alcuni giornali ma non è mai diventata una piattaforma politica perché il partito di Conte, alla fine, ha governato per cinque anni filati. E gli elettori lo sanno bene. Il Pd, in qualche modo, governa da dieci. Per il comune sentire è diventato il partito che sverna al potere non già per senso di responsabilità, ma perché più abile nelle congiure di Palazzo. Riconoscersi acriticamente nell’agenda Draghi, anche se averlo sostenuto è un punto di merito e di decoro civile, non è sufficiente. Tanto più assumerla in toto, agendina bancaria compresa, conferendo un timbro politico a un governo che politico non era. Intanto perché di Draghi potrebbe esserci nuovamente bisogno: meglio non mettergli giacchette. Poi perché significherebbe per l’ennesima volta indossare un’idea altrui di Paese, senza specificare quali sono gli obiettivi propri a cui si punta. Se non qui e ora, qui e dopo, dacché la prospettiva immediata sembra quella del famoso sketch con Corrado Guzzanti e Germana Pasquero subito prima del voto nel 2001: “Per tornare a vincere nel 2006”. Qui, a occhio, nel 2024.

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Ciaone (dettaglio)

Regolare i conti a catastrofe avvenuta. Letta ha ereditato macerie cosparse di sale. Il blairismo fuori tempo massimo che si è ritrovato in casa, nell’unico partito al mondo che ospita al suo interno una corrente di un altro partito, possiede lo stesso appeal di un tamponamento sulla corsia opposta in autostrada: molti rallentano a guardare l’incidente, diciamo un 40,8%, ma appena possono ripartono di gran carriera. Quella che si prospetta alla sinistra democratica può essere una convalescenza o un’agonia. Affidarsi a chi ha provocato la seconda è numericamente perdente. Politicamente, pure. Perché ciò che Walter Veltroni si proponeva sin dagli inizi, ossia un partito moderato e riformista, di centro-sinistra, esiste già: è il Partito Democratico. Perlomeno esiste il 20/25% che gli si è abbarbicato. E non necessita di investiture da parte del centro-centro, che si propone come ago della bilancia mentre la bilancia è già nel tinello di Giorgia Meloni. Anche se Salvini e Berlusconi cercano di riportarla ad Arcore.

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Il programma del Pd

Cosa fare. Una propria agenda dotata di amor proprio, almeno un po’. Chiara, semplice, inclusiva soprattutto per chi a votare non va più: i giovani. Che possono fare la differenza tra una sconfitta e una mattanza. Perseguire, rivendicare, i punti di programma che sempre gli stessi centristi ritengono irricevibili, quelli per cui “non è mai il momento giusto”, e che invece devono sorreggere qualunque forza progressista: lotta alle mafie, all’evasione, alla corruzione, ai fascismi vecchi e nuovi, alle intolleranze. Appello agli italiani che si sono rotti i cabbasisi, come avrebbe scritto Camilleri, di regalare le strade, le scuole, gli ospedali, a chi ogni giorno gli mette le mani in tasca non pagando le tasse. Fare una legge elettorale che funzioni invece che una scritta per (credere di) vincere, ché poi si finisce come col Rosatellum. Essere divisivi, finalmente, puntando alla maggioranza e non all’unanimità. Battagliare per i diritti civili (lo ius scholae, il matrimonio, vero per qualunque genere, la liberalizzazione delle droghe leggere per combattere gli interessi mafiosi, un fine vita reale, l’applicazione della Legge 194 e della 180, alzare gli stipendi delle Forze dell’Ordine restituendo loro dignità e serenità) e anche, se non soprattutto, sociali.

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Luigi Di Maio mentre cerca di ricordarsi qual è il numero successivo

Anche il sottoscritto ha sbeffeggiato inizialmente il Reddito di Cittadinanza come provvedimento residuale e clientelare. Clientelare, in parte, lo è stato: ha generato voti che infatti sono spariti subito dopo. Ma era una risposta, scritta coi piedi, a un problema concreto che ha in parte arginato: la povertà. Che è figlia di lavoratori ridotti a una sorta di schiavitù del senso comune secondo il quale la mia generazione ritiene normale che chi ci ha seguiti debba intestarsi i sacrifici mai compiuti da molti di noi, versandoci pure i contributi per la pensione che mai vedranno, pagati niente e pure sbeffeggiati da chi si lamenta di non trovare manodopera a quattro lire. Anche qualificata. Anche accademica: quanta gente che ha potuto studiare ci guarda dall’estero perché in Italia era impossibile trovare un salario decente e un posto di rilievo in mezzo a una selva di raccomandati e baroni? A loro la parola Europa suona come un’ancora di salvezza, un posto in cui certe petizioni “estremiste” sono valori condivisi da qualunque forza politica, ed è incredibile che anche su questo tema la sinistra riformista si sia ritirata sulla difensiva. Con tutti i soldi del Pnrr che ci stanno generosamente (molto generosamente, visto gli scappati di casa che siamo) elargendo. Con tutte le evidenze che rendono anche economicamente preferibile Bruxelles a Visegrad. Cioè a Mosca.

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Tipica massaia emiliana

In fondo il Pd, e i suoi alleati cosiddetti radicali, il modello ce l’hanno a casetta: le Regioni che ancora governano, tra l’altro spesso insieme ai centristi. Che, almeno in provincia, sembrano meno ideologici. Quanti italiani intraprendono viaggi della speranza per curarsi in Emilia-Romagna? Molti, come verso la Lombardia. Ma in Lombardia, quando i malati di Covid morivano come mosche, i medici di base erano scomparsi. Modello Giorgetti. Modello Compagnia delle Opere. Modello che non ha funzionato. Modello che non prevede la dittatura del proletariato eppure a livello nazionale viene osteggiato da vivaisti e azionisti come se un larvato equilibrio tra mercato e diritti fosse una bestemmia.

Nel 2011, Salvini, Meloni e Berlusconi avevano portato il Paese sull’orlo della bancarotta. Ora, come da meme che il Pd dovrebbe ritirare fuori e appendere in luogo dei santini di Supermario, chiedono di riprovare. Ma la Fornero combinò lacrime e tagli non perché si credesse il Diavolo Veste Inps”. Semplicemente, sapeva che Atene è bella ma non ci vivrei e Monti era un effetto, non una causa, delle cicale populiste, delle “pensioni da mille euro”, delle “dentiere per tutti”, di Alitalia ai “capitani coraggiosi” e via dissipando.

Lo sa bene Giorgia Meloni la quale, conscia com’è della penuria di classe dirigente che alberga dalle sue parti, da mesi molesterebbe telefonicamente tutti i tecnici “di area” che possano in qualche modo conferirle agibilità anche internazionale. I vituperati tecnici.

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Meloni

E per finire, il Pd dovrebbe togliere di mezzo questa bufala dell’anti-italianità. Desiderare che questo Paese sia un po’ meno cinico, un po’ più buonista, cioè tendente a migliorare, se può, senza sentirsi superiore a nessuno, è un atto di amore verso il nostro Paese. Anche e soprattutto per il Sud, dove il buco nero a Cinque Stelle può e deve essere riempito di proposte concrete, magari a bordo di un pullman alla Prodi che deve partire ieri. Ché all’Elmo di Scipio e allo scalpo della Vittoria, è sempre preferibile la seconda strofa, molto più consapevole, del Canto degli Italiani: “Noi fummo da sempre, calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi, raccolgaci dunque un’unica speme, di fonderci insieme già l’ora suonò”.

Anticipo la domanda: ma la mancata estinzione del Pd, siamo proprio sicuri che servirebbe? Trovo legittima la risposta negativa, ma sono convinto che essere l’unico Paese occidentale senza un partito di sinistra moderata, un vero partito di sinistra moderata, intendo, rappresenterebbe un danno importante non solo per la democrazia. Ma anche per la Destra che sta per governare. Quantomeno perché avrebbe finito i “governi precedenti” cui addossare le colpe.

Buon viaggio.

7 pensieri su “Se non ora, dopo

  1. mauro

    Invece della penosa contesa con Renzi e Calenda per conquistare un centro politico che, in buona parte, consiste di abitatori delle ZTL cittadine, di estimatori della pizza di Briatore e di esercenti che vogliono pagare la manodopera 8 – 900 Euro al mese. Il PD dovrebbe preoccuparsi di quel circa 50% di cittadini che disertano i seggi. Molti di questi sarebbero di sinistra, ma non votano perché non hanno un partito da votare. Perché questo PD NON E’ un partito di sinistra!

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