Morire di satira. Che fare?

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CHARLIEHEBDO-LogoChe fare?

Che fare ora, dopo aver asciugato le lacrime per i camarades di Charlie Hebdo?

Che fare dopo aver pensato a quella volta con Wolinski, a Cuore, a cospetto del mito?

Che fare dopo aver realizzato che il dolore più insensato ti sembra che un senso quasi ce l’abbia, una giustificazione inconscia che passa per la rimozione, fin quando non tocca te, la tua vita, qualcosa che ti compete, che ami?

Oggi mi sono tenuto una frase che volevo scrivere: “Avete seppellito noi, noi seppelliremo voi. Con una risata”.

Era una risposta, alla domanda su cosa fare.

Ma era sbagliata.

Era la logica del noi e voi.

Esattamente ciò che sperano di introdurre quelli che qualcuno ha efficacemente definito “fascisti teocratici”.

Io, che fare, in fondo non lo so.

So cosa vorrei fare.

E so cosa mi piacerebbe facesse chiunque frequenti a qualunque titolo la satira, il pensiero diverso, il dubbio intinto nello sghignazzo.

Continuare.

Se possibile meglio di così.

Con più coraggio, e più equilibrio.

L’equilibrio che serve a evitare l’atteggiamento ritorsivo, la guerricciola battutara di religione, l’intolleranza di ritorno applicata al lavoro che ci è dato di fare.

Ma anche il coraggio di evitare l’autocensura che su certi temi si era scavata un posticino al caldo in ognuno di noi.

Perché un conto sono i monoteismi da operetta che un autore di qualunque cabotaggio affronta ogni giorno, quelli politici, sportivi, musicali, un conto è il quieto vivere nei confronti di un corpaccione insondabile di cui non si conoscevano le reazioni.

Ora le conosciamo, le reazioni.

E per onorare chi ha pagato la propria onestà intellettuale con la vita, abbiamo un piccolo imperativo categorico: tentare di essere all’altezza di chi è morto per la libertà.

Per l’uguaglianza.

Per la fraternità.

Potrebbe persino essere terapeutico per le nostre ferite.

Forse.

Perché quello siamo noi: l’esercito del forse.

Il 40 più 3 per cento di Renzi

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Renzi ha congelato la legge che depenalizzava l’evasione fiscale sotto il 3 per cento di imponibile perché, gli è stato fatto notare – e ha persino finto di stupirsene – sarebbe stato un favore a Berlusconi e il viatico a una sua ricandidatura.

Ha però ribadito che si tratta di una ottima idea, di buon senso, che semplifica il rapporto tra i cittadini e il fisco, e punisce i furbi salvaguardando i i deboli.

Perché?

No, non è una domanda retorica: perché depenalizzare l’evasione sotto un certo tetto dovrebbe semplificare il rapporto tra i cittadini e il fisco, punire i furbi e salvaguardare i deboli?

Poniamo che uno dichiari una cifra ragionevole, chessò, 20,000 euro l’anno. Se evade il tre per cento, significa che non dichiara 600 euro. Che interesse avrebbe? Che risparmio comporterebbe? Nessuno. E infatti nessuno rischierebbe sanzioni per così poco, con tutto che le sanzioni al momento sono ridicole e quindi gli eventuali errori sono sanabili con due paste e un cappuccino.

Poniamo invece che una persona molto abbiente, cui daremo un nome ipotetico, tipo Milvio Fantasconi, dichiari in un anno 20 milioni di euro. Egli saprebbe già da ora di poter evadere 599.999 euro senza alcun rischio.

Lo farebbe?

Già, e perché non dovrebbe farlo?

Diciamo dunque che la legge in questione, lungi dal semplificare il rapporto dei poveri cristi e delle persone normali col fisco (piccoli imprenditori, partite Iva, categorie che vengono talvolta dipinte – ma non è vero – come se fossero composte solo da truffatori) gratificherà e garantirà un salvacondotto solo ai grandi patrimoni e alle grande aziende.

E rilancerà con solide basi giuridiche il fatto che in Italia reati odiosi come le false fatturazioni, le frodi fiscali, il latrocinio ai danni dei contribuenti onesti, siano in parte fisiologici. Dunque tollerabili. Dunque depenalizzabili.

Incoraggerà il benaltrismo. Farà grugnire, potenzialmente, il Berlusconi che è in ognuno di noi. Oink. Sarà altro veleno iniettato nel corpaccione malato chiamato Italia.

Che poi, certo, come diceva Jean Jacques Rousseau, potete comunque continuare a prenderci per il culo.

Però la prossima volta, prima, ricordatevi di darci almeno un bacino.

 

La vergogna del miracoloso jobs act negato agli statali

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(ANSA - AMSA) Una curiosa scritta apparsa nella Via Lattea subito dopo che il ministro Poletti ha annunciato l'esclusione degli statali dal jobs act

(ANSA – AMSA) Una curiosa scritta apparsa nella Via Lattea subito dopo che il ministro Poletti ha annunciato l’esclusione degli statali dal jobs act

E quindi la legge sul lavoro (altrimenti detta Jobs Act) è il motore della ripresa, uno straordinario meccanismo di modernizzazione, il miglior modo per riavviare le assunzioni e non si attacca al lavoro del tuo dentista.

Ma non per gli statali.

Dico sul serio: ce lo chiede l’Europa, funzionerà, finalmente si sale sul treno della ripresa.

Ma per gli statali no.

Fossi un dipendente dello Stato sarei in piazza a protestare contro l’iniqua discriminazione. Ma come, direi, ci tenete fuori da cotanto provvedimento? Ci impedite di sedere alla tavola imbandita che finalmente cancella co.co.pro e co.co.co disegnando una nuova Italia? Ci estromettete de facto da un mercato del lavoro che creerà occasioni per tutti?

Ma non vedo striscioni. Non vedo piazze piene. Non vedo picchetti davanti ai Ministeri.

Forse perché proprio nello Stato, a fronte di tanti dipendenti leali, c’è una sacca di prevaricazione che si sentirà difesa nel proprio fancazzismo.

O forse…

Sarà mica perché gli statali sanno quel che Renzi e i suoi conoscono perfettamente, e cioè che certe tutele svuotate funzionano (dove funzionano) in modelli come quello americano dove il welfare è poco meno di un’ipotesi? Sarà mica che gli statali sanno quel che Renzi conosce a menadito, e cioè che, in un Paese nel quale le aziende socializzano le perdite e privatizzano gli utili, si mette un potere di vita o di morte nelle mani di una categoria in larghi strati corrotta e corruttrice? Sarà mica che Renzi e gli statali sanno che finché non si pone mano a quel malcostume dilagante che ha fatto marcire il tessuto civile, con le inchieste – altro che protagonismo – e le condanne, gli assunti a termine saranno sempre in balia di un capitalismo senza regole o quasi, che viola quel “quasi” tutti i giorni con enorme nocumento di tutti?

Sarà. O forse era sabato sera e c’era shopping.

Nel frattempo il Jobsact è la panacea, l’occasione, la #voltabuona.

Ma per gli statali no.

Un Governo in liquidazione. La nostra

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(ANSA CLAUS) Matteo Renzi prima di appendere le solite palle

(ANSA CLAUS) Matteo Renzi prima di appendere le solite palle

La legge di stabilità che il Parlamento ha votato senza manco averla letta contiene diversi provvedimenti opinabili e si basa su una scommessa: centrare gli obiettivi nel 2015, salvo alzare a manetta le accise sulla benzina e l’Iva l’anno successivo. E’ dunque molto probabile che alzeranno le accise e l’Iva (al 25,5%).

Tra le certezze, invece, va annoverata la possibilità di inserire in busta paga il Tfr (la vecchia liquidazione) anziché riceverla al momento di andare in pensione o di cambiare datore di lavoro. Il Tfr, oggi, è  un airbag da attivare una volta perso il posto, o come sostegno alle proprie finanze nel momento in cui si passa dallo stipendio all’assegno di vecchiaia. Che è meno pingue. Funge sostanzialmente un ruolo di ammortizzatore sociale. Per questo è poco tassato.

Chi invece deciderà di riceverlo già ora, diluito un tanto al mese, pagherà le imposte per intero.

E ciò è immorale.

E’ immorale poiché chi si priva della liquidazione nel 99 per cento dei casi lo fa perché costretto. Baratta il futuro per un presente meno micragnoso, e attinge a scorte che avrebbe preferito usare a suo tempo. Ma non può. Accende una specie di mutuo sul proprio futuro. Ed è qui che arriva lo Stato, facendogli pagare il prezzo per intero.

Lucra sul bisogno, un po’ come coi gioco d’azzardo.

Il Tfr in busta paga è dunque l’ennesima tassa sulla povertà. E ancora una volta ai danni di chi percepisce uno stipendio fisso e dunque manco può ricorrere all’evasione di necessità con la quale molti ultrà antitasse pagano il collegio svizzero ai figli.

Andrebbe ritirato. E se esistesse una sinistra in questo Paese, persino quella che sta nel Pd e si proclama tale, dovrebbe farci una bella battaglia.

Ciao.

Ho visto anche Zingaretti felici: una lettera di Emanuele Lanfranchi sul caso Report

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zingabbaA proposito delle mie considerazioni sul cosiddetto metodo Report, ricevo su Facebook e volentieri ripubblico

di Emanuele Lanfranchi*

Caro Luca mi permetto di intervenire e di invadere il tuo spazio. Ma penso sia giusto, per completezza di informazioni, fare qualche precisazione. Prima di tutto però voglio ribadire per l’ennesima volta che mai mi sono lamentato per le domande del giornalista o del fatto che non ha seguito la traccia concordata. Come dico nella registrazione ne ero consapevole e mi stava bene così.

Col giornalista semmai mi lamento di altre cose: l’aver tagliato il resto dell’intervista, la tesi precostituita e, ma questo solo dopo la messa in onda del servizio, l’assenza totale di verifica delle fonti.

Per quanto riguarda il taglio dell’intervista: mettiamola così, se tu mi chiedi una intervista sui risparmi regionali io non pretendo (senti registrazione) un panegirico su quanto siamo bravi e compagnia bella. Mi aspetto anche le cosiddette domande “scomode”, ci sta, è il ruolo del giornalista che lo impone. Come impone però anche una correttezza nella messa in onda del servizio, in cui si racconta anche quanto di buono è stato fatto, oltretutto in questo caso argomento strettamente connesso all’oggetto dell’inchiesta (è stata tagliata la frase in cui Zingaretti sosteneva che anche grazie ai 63 dirigenti esterni si è risparmiato 1 miliardo di euro).

La tesi precostituita era lampante fin dal trailer: in Regione si fanno i bandi di gara finti. Questo è l’assioma di partenza raccontato così bene dalla Bernardeschi (ex dirigente regionale ehhh) a cui Mottola chiaramente non chiede prove di quanto afferma (Mottola:
ma quanti nomi ha indovinato; Bernardeschi: tutti. Io: e dove sta scritto? Come lo dimostri? Quanti candidati c’erano a questi bandi?). Anche nel caso successivo della fantomatica dirigente oscurata in volto che accusa brogli nei concorsi. Ma io come faccio a sapere se è davvero una dirigente? Ma soprattutto Zingaretti avrebbe dovuto avere la possibilità di spiegare il fatto, chiarire cosa era successo. Invece non solo questa possibilità Mottola la esclude serenamente ma, anche in questo caso a sostegno della tesi della signora non c’è alcuna vera prova.

Quindi questo pippone solo per dire che nessuno vuole il giornalista docile o servizievole, ma neanche, permettimi, il giornalista che ha come unico intento quello di fregarti o di sputtanarti. Sarò romantico ma vorrei un cronista severo e puntuale, duro e autorevole, obiettivo e giusto.


Ah per quanto riguarda la telefonata ammetto che anche a me non è piaciuto registrare all’insaputa, per questo prima di pubblicare, per questo a differenza di quanto fa Report, ho avvertito il collega che mi ha dato il suo benestare. Un saluto.

* Capo Ufficio Stampa di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio

Caro Emanuele, grazie per la lettera e per le precisazioni di merito in essa contenute. Come avrai notato, però, io ho cercato di trarre dalla vostra vicenda una piccola analisi di sistema, tutt’altro che estremista. La riassumo: trovo che nessuno, nemmeno con le migliori intenzioni, possa decidere cosa un cronista deve inserire in un pezzo. Come ho scritto e ripeto (anche perché si veniva dall’invasione delle cavallette) non dubito affatto che ci siano mirabilie della Giunta Zingaretti da raccontare. Ma temo non sia compito di chi fa giornalismo d’inchiesta. Quanto alla tua obiezione sulle imprecisioni che il servizio conterrebbe, le chiacchiere stanno abbastanza a zero: o quei bandi erano truccati, o no. Se non lo sono, è diffamazione. E allora, forse, invece di precisare fareste bene a querelare e, intanto, a richiedere una precisazione ai sensi della legge sulla stampa. Se sì, al di là dei modi usati, c’è invece la possibilità che, come nel caso della Mafia romana, il gigantesco ingranaggio della Regione Lazio contenga quantomeno impurità che vi sono sfuggite, vi converrebbe dare un’occhiata quanto prima. Infine, due cose: 1) Provocando il tuo interlocutore, durante quella registrazione, ne hai assunto i comportamenti: bisogna perciò decidere se tu sia stato un buon cronista pro domo veritate o sia stato furbetto come chi accusi; 2) quando qualcuno ha scritto di vicende che conoscevo bene, o mi è capitato di dare interviste, ho sempre riscontrato forzature e imprecisioni, che ho persino dovuto rettificare, ovviamente con tre righe pubblicate nella posta a pagina 2028. Ciononostante temo che l’unico modo per dare decoro al mestiere sia applicare il proprio punto di vista, badando se possibile che sia un punto di vista preparato e perbene. Naturalmente, visto il dibattito che questa storia tra suscitando – dibattito che tra l’altro ritengo utilissimo – è la mia opinione. Ti auguro buon lavoro. Grazie.