Di malleoli incrinati, farmaci salvavita, medici scortesi. Un’epopea fantozziana a lieto fine

Standard

Mi accade questo.

Mia madre viene a trovarmi a Milano e dimentica a casa tutti i farmaci, compresi gli anticoagulanti che la tengono in vita.

Potrei intasare il pronto soccorso e andare lì, ma non ci sono emergenze in corso. Dunque chiamo la Guardia Medica per capire come recuperare le pillole in questione.

Attendo 28 (ventotto) minuti al telefono.

Quando riesco a parlare, chiedo al mio interlocutore perché ho atteso così tanto. Dice che me lo spiegherà a fine chiamata.

Mi identifica e mi chiede di esporre il caso. Non ho ancora finito di raccontare che mi sta già comunicando i due ambulatori nei quali devo andare con la ricetta per farmi fare, se ho capito bene, un’altra ricetta.

Gli dico che la ricetta non ce l’ho, altrimenti non avrei chiamato lui. Mi tratta come un coglione e mi dice di andare comunque e sperare nel buon cuore di qualche collega.

Sta già riagganciando quando gli rifaccio la domanda di prima. Risponde alterato che devo rispettare chi lavora e, mentre sto ancora parlando (non alterato, io) mi butta giù il telefono.

Fine.

Ora, partiamo da un dato: quel medico immagino fosse sotto pressione per un lavoro non facile. Probabilmente non è pagato per quel che vale. Sconta i tagli alla sanità. Si ritrova spesso ad avere a che fare con gente quantomeno scortese se non in malafede.

Ma che cazzo c’entro io?

Perché certo, in un mondo migliore mia madre sarebbe partita con tutti i farmaci (o la documentazione) che serviva, e io mi sarei ricordato di ricordarglielo. Ma siccome esistono le eccezioni, perché non ha perso un secondo per indicarmi come risolvere il problema?

Considerare il paziente come un avversario è un problema diffuso. Da cui non era affetto uno dei medici, gentile e disponibile, che ho trovato in ambulatorio (non dico quale, perché magari passa dei guai) il quale alla vista delle copie delle ricette via mail e delle foto dei farmaci ha comunque effettuato la prescrizione.

Quando sono tornato a casa – con una caviglia sfasciata durante i giri per farmacie, ma ci torno tra poco – ho trovato i commenti al post su Facebook in cui avevo raccontato la cosa.

Ora: ho sbagliato io. Non si raccontano certe cose sui social, anche se in privato ho ricevuto molti messaggi di amici che si offrivano di risolvere la situazione. Però non dovevo scriverne. Solo che la frustrazione era così tanta che volevo condividerla. La frustrazione per il comportamento di un singolo medico. Un. Singolo. Medico.

Invece…

Invece molti commenti erano di altri medici, ed erano aggressivi come il tizio al telefono. A fronte di qualcuno che solidarizzava (parlo della categoria in camice) la maggioranza mi attaccava: “La guardia medica non è un centralino”, “Loro hanno ragione e tu hai torto”, “Hai voluto fare il Vip”, “Come Berlusconi”, “Come mai sei rimasto senza ricetta, mia madre invece…”, “Generalizzi”, “Questa botta alla Mi Manda Raitre te la potevi evitare”, “Invece di cercare ‘sti farmaci fai un pippone su Facebook?”, “Sei degno di Barbara D’Urso” e altri ancora più sprezzanti… tutti o quasi con lo stesso identico numero di like provenienti – ma magari immagino male – da una precisa branca professionale.

Ora, con la massima serenità, una caviglia gonfia, mia madre sotto controllo mi sento di dire ai signori medici che si sono adontati: sbagliate voi.

Ma lo dico senza protervia.

Sbagliate voi perché in un caso singolo leggete l’attacco a una categoria. Sbagliate voi come se io difendessi, chessò, Sallusti, perché ha la mia stessa tessera in tasca. O i Marò perché portano sul braccio la mia stessa bandiera. O un giocatore della mia squadra del cuore che si vende le partite.

Perché il punto temo non sia se io, come cittadino, avessi seguito o no la procedura corretta per ricevere il servizio a cui mia madre aveva diritto – pare di no, ma, ripeto, avevo fatto di tutto per non creare guai alle emergenze, ed evitare il pronto soccorso: ero in un’altra città e il suo medico di base non ha mai brillato per reperibilità, diciamo – ma se qualcuno si sia dato da fare per aiutare una persona in pericolo senza badare al proprio orticello.

Un altro esempio? Torniamo alla serata di cui sopra.

Alle 23.40, dopo un giro di telefonate, trovo finalmente la farmacia che aveva le pillole in questione. E mi sento rispondere: “Chiudiamo tra 10 minuti”. Alla mia osservazione che quindi chiudono alle 23.50, ribattono che chiudono a mezzanotte ma abbassano le serrande prima. Testuale. Al che mi scapicollo fuori di casa per arrivare in tempo, ma nel farlo piombo al suolo e mi incrino un malleolo, col risultato di rinviare al giorno successivo la terapia di mia madre.

Con questo ho forse detto che tutti i farmacisti sono teste di cazzo? Ovvio che no. Così come non lo sono tutti i medici di pronto soccorso. Al pronto soccorso del Rizzoli di Bologna, ore dopo, ce n’era uno vestito come a una serata del Cocoricò, camicia a quadrettini collo alto, senza camice. Ma ho anche un trovato un gentilissimo radiologo che usava i congiuntivi come un arabesco, un dottorino del triage desolato perché non riusciva a trovare una barella, un medico più esperto che mi ha salvato da un gesso di 30 giorni prescrivendomi un tutore.

Quindi, ripeto, ho sbagliato io. Che mi sono lasciato prendere dai nervi e ho raccontato sui social le mie disavventure con la Guardia Medica di Milano. Però la regola è una: bisognerebbe sempre tentare, se un minimo si ama non dico il prossimo, ma il proprio lavoro, di essere gentili. Se si ha in mano la vita delle persone, inoltre, bisognerebbe essere gentili anche con chi non ha rispettato tutte le procedure. Perché ne va della sua salute.

Altrimenti si fa il giornalista, l’autore, o un altro lavoro qualunque che non salva la vita a nessuno. Ma al massimo crea un po’ di dibattito su Internet.

Siate gentili, dunque. Fatelo anche per me che non lo sono quasi mai.

Ah, mia madre tornando a Bologna è pure volata dalle scale mobili della stazione. Ma sta bene. E abbiamo passato un pomeriggio in ospedale quasi piacevole.

Magari richiamo la Guardia Medica per ringraziare.

Che cos’è(ra) la libertà di stampa

Standard

Mi capita quotidianamente di sfottere il giornalismo dal volto disumano di Libero e il Giornale.

Ogni tanto titillo il Fatto Quotidiano perché usa gli stessi schemi, con l’importante differenza che le notizie del Fatto sono quasi sempre vere.

Non sono i miei giornali preferiti, come non la è la nuova Unità, di cui faccio la parodia in radio usando come sottofondo “Springtime for Hitler”.

Perché preferirei, ma è un limite mio, che sotto la testata l’Unità ci fosse davvero l’Unità.

Penserete: e chissenefrega.

Esatto.

Perché io sono io, cioè un tizio con un modesto seguito pubblico, che fa satira e non detiene alcun potere.

Ma il Presidente del Consiglio, lui, non può farlo.

Non può perché è appunto un potere.

Dunque non può attaccare un contropotere.

Non può perché usa gli stessi stilemi da dittatura amichevole che, sul fronte opposto, incarna perfettamente Beppe Grillo.

Quelli della presunta etica da imporre agli altri perché non rompano i coglioni a noi.

Perché in Italia siamo tutti legalitari, tolleranti, democratici, ma con le notizie degli altri.

Che invece dovrebbero restare separate dalle pressioni della politica, specie quella che comanda.

E’ il motivo per cui Roberto Saviano può chiedere le dimissioni del Ministro Boschi, che abbia ragione o no, e a nessun politico può e deve saltare in mente di scatenargli contro la contraerea dell’informazione allineata e coperta e del web.

La ragione per cui gli orrendi titoli di Libero o il Giornale possono essere perseguiti solo se violano il codice penale e non se stanno sui coglioni a chi ci governa.

Il dato ultimo per cui non doveva essere Silvio Berlusconi a decidere i titoli dei quotidiani, i direttori di rete, i padroni del vapore, anche se gliel’abbiamo permesso per anni nell’acquiescenza di un popolo che votava Berlusconi come oggi vota Grillo o Renzi.

Perché delega. E ne asseconda gli strali.

Purché i giornalisti non rompano i coglioni a lui. Magari riempiendosi la bocca col servilismo di alcuni cronisti, alibi perfetto per quando i servi siamo noi, e per dare contro a chi il mestiere lo fa davvero. E magari ridurlo in silenzio.

La libertà di stampa o è totale, o non è.

Detto questo, il quiz della Leopolda sul titolo da censurare non è fascista. E’ fisiologico. E’ la cultura di questo Paese che si fa azione.

Forse per stracciarsi le vesti è tardi. Ma non lo è per chiedere a chi si dice nuovo di difendere la libertà d’espressione che ha permesso anche a lui di scalare democraticamente un partito e un Paese.

Di ascoltarsi, quando dice certe cose. Quando fa certe promesse. E di #cambiareverso.

Ps Il concorso per la peggior prima pagina si intitolava “Worst front page”. Ricordate sempre che quando si usano parole inglesi ad minchiam in luogo di quelle italiane, spesso è una robusta catch for the asshole

 

Buonisti un cazzo. E viva l’Italia

Standard

Un mese fa, o poco più, l’emergenza migranti è stata gestita dai cittadini milanesi con entusiasmo ed efficienza. La stazione era piena di persone comuni che distribuivano viveri, vestiti, informazioni. Attorno a loro lavoravano alacremente le forze dell’ordine.

Ogni giorno navi della nostra Marina militare salvano vite umane nel Canale di Sicilia. Lo fanno pure ora che la missione Mare Nostrum è diventata Triton, anche sulla spinta di Merkel e C., e teoricamente avrebbe valenza ben poco umanitaria.

Associazioni religiose, laiche, semplici cittadini si incaricano quotidianamente, in una sorta di Resistenza civile, di equilibrare l’Italia orrenda e diffusa che sfrutta i clandestini. Un’Italia trasversale che parte dai campi di pomodori del sud e arriva fino alle Langhe, dove i raccoglitori d’uva sono schiavi ucraini e moldavi.

Siamo un Paese molto migliore di quel che crediamo di essere.

Ma ce ne vergogniamo.

Chiunque dica o anche faccia cose concrete per i più sfortunati viene deriso, tacciato di secondi fini, assimilato ai Buzzi, definito col più rotondo e sgraziato degli aggettivi: buonista.

Beh, buonisti un cazzo.

Buoni, semmai. Non perfetti, non santi, non intangibili. Ma buoni. O, se preferite, migliori. Migliori di chi gorgoglia razzismo più o meno mascherato e cerca sempre un nuovo pusher di palle – giornali, politici, buffoni vari che lucrano sull’intolleranza – con cui giustificare la propria coscienza livorosa.

Gente che magari ciancia di patriottismo, di difesa della bandiera, di identità nazionale. Gente che deve sapere una cosa: proprio quella vergogna ha appena tenuto l’Italia fuori dai libri di Storia.

Perché la Germania avrà certo operato – anche – un calcolo, aprendo ai profughi siriani. Avrà anche spalancato le frontiere perché con un’economia così solida l’impatto può essere retto più facilmente. Avrà anche deciso di ribaltare l’inerzia della propria percezione all’estero dopo essere stata vissuta in giro per il Mondo come la carnefice della Grecia e la punta di diamante della Troika o di chi volete voi.

Fatto sta che ha reagito alla prima vera emergenza nazionale come umilmente mi ero permesso di suggerire al nostro amato Premier  “Accogliamoli tutti”.

E che quella solidità, quell’economia intonsa, quell’orgoglio di popolo, vengono da un Paese che non evade 300 miliardi di tasse l’anno, che distribuisce diritti ai propri cittadini perché sa chiedere i doveri, in cui c’è qualcuno che prende una decisione impopolare sul fronte interno, a forte rischio terrorismo, semplicemente perché la considera inevitabile.

Noi no. Noi titilliamo i ladri, soprattutto quelli della porta accanto, e accettiamo che un Paese largamente corrotto sia ineluttabile. Chiediamo loro il voto anche da sinistra, dando de facto dei babbei a chi si comporta decentemente. Nonostante tutto.

Li deridiamo se siamo di destra. Dicendo che non ci sono i soldi. Quelli dell’Iva che ci teniamo in tasca.

Per questo, su quei libri, ci sarà un poliziotto di Monaco e non un marinaio di Lampedusa. Per questo potevamo fare la Storia, e ancora una volta l’avremo subita. Per colpa di una minoranza vincente che applaudirebbe i migranti solo se sfilassero dentro a una cassa di legno.

Viva l’Italia.

Qui non c’è una foto choccante

Standard

fotoAnni fa Vittorio Sgarbi posò nudo per la copertina di Panorama.

Chissenefrega, dirà il lettore.

Un attimo.

Anni fa Vittorio Sgarbi posò nudo per la copertina di Panorama e su Cuore, settimanale satirico piuttosto noto nei roaring Nineties, pensammo di perculare lo scandalo che ne derivò pubblicando il nudo di un lavoratore metalmeccanico che, a differenza di Sgarbi, mostrava fieramente anche il proprio importante basso ventre.

Tradotto per Salvini: faceva vedere pure l’uccello.

Il titolo recitava: “Nudo operaio: è più scandaloso quello che ha tra le gambe o quel che non ha in tasca?”.

L’iniziativa ebbe successo.

Allora pensammo di alzare il tiro. Di alzarlo molto. Si era nel periodo, se non ricordo male, dell’annuale lamentazione sterile sull’abbattimento del Dc9 di Ustica, la cui icona – per chi abbia la mia età – è una sola: la foto di un passeggero seminudo il cui corpo galleggiava sulle onde del mare.

Volevamo titolare così: “Nudo di Stato”.

Chiamai personalmente Daria Bonfietti, che presiedeva l’associazione familiari vittime di Ustica, per chiedere una sorta di consenso. Mi industriai a raccontare il motivo della scelta, la nostra buonafede, la possibile valenza liberatoria e accusatoria.

Non volle.

E noi non pubblicammo la copertina.

Ciononostante, o forse perché quell’idea estrema era anche mia, sono fieramente d’accordo con la scelta del manifesto che ha deciso di mostrare ai propri lettori l’immagine del piccolo migrante arrivato senza vita sulle spiagge della Turchia.

Sono d’accordo con quel titolo, “Niente asilo”. Condivido forma e sostanza del combinato disposto con l’immagine. Credo rappresenti la naturale mediazione giornalistica di una testata che ha sempre battagliato sui diritti dei popoli meno felici e oggi può a ottima ragione scalciare la pancia di chi si adonta, di chi grida allo scandalo, di chi maltollera la cruda verità che ogni giorno qualcuno rimuove, qualcuno rivendica.

Sono d’accordo perché il mezzo è il messaggio. E perché nei giorni scorsi, quando le prime immagini del disastro umanitario cominciavano ad affollare le bacheche, mi ero chiesto se non potesse essere giusto riversarle sulla bacheca, dico un nome a caso, di Matteo Salvini. Qualcosa del tipo “Bambini per Salvini”.

E mi ero risposto di no. Perché si rischiava di insegnargli un linguaggio. Ero certo avrebbe risposto, fatta decantare la provocazione e assorbiti gli stilemi del caso, postando immagini a caso di italiani con le pezze al culo, italiane molestate da stranieri, varie ed eventuali a stampo razzista.

Questo è il motivo per cui pensavo fosse sbagliato diventare mediatori in proprio di quella disperazione, perché il protagonista sarei diventato io, il mio ego, la mia rivendicazione di stare dalla parte del bene, il mio lavacro della coscienza – che resta niente affatto candida, perché sul tema sono un leoncino da tastiera come quasi tutti -.

Se poi voi l’avete fatto, avrete certamente avuto i vostri ottimi motivi.

Ciao.

Analogie e differenze tra il compagno Fantinati e noi (noi chi, peraltro, ma dovevo citare i Cccp)

Standard

 

Con una mossa propagandistica di luccicante furbizia, il cittadino Mattia Fantinati del MoVimento Cinque Stelle è andato al Meeting di Rimini, regolarmente invitato, per cantarle chiare ai Ciellini.

Ha parlato di lobby intollerabili, di incompatibilità tra cristianesimo e affarismo, di laicità applicata alla politica.

Dette così, paiono affermazioni “di sinistra” (per usare categorie Novecentesche) sulle quali non sono io a essere d’accordo con Fantinati, ma è lui a concordare con ciò che molti di noi pensano e dicono da sempre.

Invece.

Invece c’è un passaggio che scolpisce plasticamente le differenza tra Fantinati e il sottoscritto: “Il M5S si indigna che si possa strumentalizzare in questo modo tanta brava gente e credenti cattolici”.

Secondo quello che da questo momento chiamerò il pensiero fantinatico, dunque, la brava gente e i credenti cattolici sarebbero stati fuorviati da un potere superiore che ne ha travisato gli ottimi propositi.

Cercherò un’analisi politica raffinata: sciocchezze.

Sciocchezze che stanno alle fondamenta di quel grande scarico delle coscienze chiamato MoVimento Cinque Stelle.

La favola che la gente comune (sia essa cristiana, atea, pastafariana) rappresenti una massa indistinta strumentalizzata dai poteri cattivi è appunto una favola.

I ciellini hanno scelto il loro carnefice, hanno applaudito negli anni i peggiori mafiosi, hanno accettato e rivendicato l’accesso al regno dei cieli con una scala dorata di vantaggi concreti.

Non sono innocenti. E non sono innocenti gli italiani che per anni hanno votato Berlusconi, la Lega, An (o il Pd, per sposare la vulgata del “tutti uguali” che Renzi si sta incaricando di rendere verosimile) e poi sono passati a Grillo perché diceva loro: “Tranquilli: se questo Paese è ridotto così non è colpa vostra”.

Fantinati è andato dai ciellini a dire che era colpa di Formigoni ma loro erano e sono persone perbene.

Palle.

Palle di un Paese che non è mai stato fascista, non è mai stato berlusconiano e un giorno non sarà mai stato ciellino o grillino. Sempre per convenienza. Sempre votando chi gli dice che le responsabilità sono ben altre.

L’altro giorno ho conosciuto casualmente un aspirante ingegnere fisico. Spera di specializzarsi in nanotecnologie, ma Brunetta non c’entra. Per mantenersi, d’estate, fa il cameriere in un bed and breakfast. Si lamentava dell’Italia com’è, degli evasori fiscali, dei leoni da tastiera.

E’ una persona deliziosa, perbene. Uno di quelli che ti danno un minimo di speranza per il futuro di questo paese.

Vota Cinque Stelle.

Bene, se devo pensare a qualcuno strumentalizzato, penso a lui. Dai guru del MoVimento. E da questi partiti che, a occhi giovani, vergini e privi di ideologia, non hanno lasciato altra scelta del “proviamo anche questi”.

Tra dieci anni, magari al Circo Massimo, qualcuno salirà su un palco a dire che i valori del MoVimento sono stati traditi e che non si può pensare di cambiare l’Italia partendo dalla sistemazione dei bilanci della Casaleggio e associati.

O forse no, perché certe cose Peppe non le permette.

Nel caso, comunque,  qualcuno condividerà a nastro quel video.

Lo definirà “storico”.

E avrà ragione: perché è sempre la stessa storia.

Anzi – grazie a noi italiani – sarà sempre la stessa Storia.