In morte di Michele Serra. Un’analisi classica.

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(ANSA – BRUTO) Michele Serra in una recente istantanea

Aascoltatemi amici, romani, internettari, io vengo a seppellire Michele, non a lodarlo.

La cazzata che l’uomo scrive vive oltre di lui, per almeno 48 ore, finché l’hashtag non scolora come lacrime nella pioggia. Scusate, ho sbagliato citazione.

Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Michele.

La nobile rete vi ha detto che Michele era classista. Grave colpa se ciò fosse vero e Michele con grave pena la sconterà.

Ora io con il consenso della rete e degli altri, poiché la rete è pregna di scienza, vengo a parlarvi di Michele morto.

Egli è mio amico. Lo è anche quando non siamo d’accordo. Per quello lo è.

Si è vero. Sul pianto dei miseri Michele lacrimava. Un paraculo dovrebbe avere scorza più dura di questa.

Sì, è vero, egli scriveva che è la scuola a essere classista, e che bisogna porvi rimedio.

Si è anche vero che tutti voi dovreste conoscere Neoproletariato, il celebre libello di Tommasus Labrancae, laddove si afferma che il potere lavorò per convincere i poveri di essere borghesi, con obiettivi facili da riconoscere.

Ora: i miei figli vanno alla scuola pubblica, da sempre, fieramente. E so quali insegnanti meravigliosi combattano ogni giorno in ogni istituto superiore contro la malagrazia di proletari e fighetti, riccastri e teppisti di ogni risma che assorbono violenza e la rigettano come spugne. E spero, proprio come quel guitto di Michele, che ognuno sia concesso non già il privilegio, ma appunto il diritto, di non frequentare mai scuole di serie B. Di non tornare agli anni Sessanta, quando le Medie conferivano il timbro: manovale o figlio di.

Così non vengo qui a smentire la rete ma soltanto a riferirvi quello che io so.

Tutti voi amaste Michele un tempo, non senza causa. Quale causa vi vieta oggi di comprenderlo?

Soltanto fino a ieri la parola di Michele scuoteva il web e ora giace qui, e non c’è un solo uomo che sia così miserabile da dovergli il rispetto, signori.

Signori, se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per muovervi all’ira alla sedizione farei torto a Twitter, torto a Facebook, social d’onore, come sapete.

No, no. Non farò loro un tal torto. E tuttavia io ho con me trovata nei suoi scaffali una pergamena con il sigillo di Michele, il suo testamento.

Ebbene se il popolo conoscesse questo testamento, che io non posso farvi leggere perdonatemi, ma che ben conoscete perché ne ha scritto e pensato per tutta la sua vita, il popolo si getterebbe sulle ferite di Michele per baciarle, per intingere i drappi nel suo sacro sangue, no…

No, amici no, voi non siete pietra né legno, ma uomini.

Meglio per voi ignorare, ignorare… che Michele vi aveva fatto suoi eredi.

Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste? Dovrei… dovrei dunque tradire gli il web facilone che l’ha pugnalato?

Tutti voi conoscete questo mantello. Anzi, questa Amaca. Io ricordo la prima sera che Michele lo indossò. Era una sera d’estate, nella sua tenda, dopo la vittoria sui Biscionii.

Ebbene qui, ecco. Qui si è aperta la strada il pugnale del Cassio.

Qui la rabbia dei like.

Perché se io fossi Twitter e Facebook, qui ora ci sarebbe un Eugenio che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna delle ferite di Michele donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi.

Perché come diceva Quintiliano: siamo tutti limpidi con le scuole degli altri.

E “Che schifo Michele”.

“Ma per sicurezza mio figlio lo mando alla Steineriana”.

 

 

Bettino Renzi e Ciriaco Di Maio

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Amico lettore, oggi ti chiamo a dirimere una ilare diatriba tra me e un caro amico che di politica ne capisce più di me.

Dico, io, che questa cosiddetta Terza Repubblica è tale e quale alla prima, dunque ne ripercorre stilemi e figure. Dice, lui, che questo ragionamento è passatista. Antico. Inadeguato. E che (banalizzo) Toninelli e Forlani hanno la stessa sovrapponibilità di Mauro Corona e un rapporto cordiale con l’igiene personale.

Vado perciò ad argomentare.

La mia tesi: Di Maio è De Mita, Renzi è Craxi.

Spiego: il MoVimento Cinque Stelle è, ad oggi, la Democrazia Cristiana con la base elettorale di Ukip. Il gioco di prestigio sui programmi è persino banale: se per anni anabolizzi l’uditorio promettendo di uscire dall’Europa, dalla Nato, dall’Euro, dall’assemblea di condominio, mai potrai aspettarti che i tuoi groupie la pensino in modo men che antagonista. La rivoluzione da tinello è stato il tuo tratto distintivo. Poi però devi presentarti tra i broccati, nei salotti, davanti al baldacchino post-Mattarella del Quirinale, ed ecco ti doroteizzi platealmente. Apri e chiudi forni. Rassicuri. Anestetizzi. Porti cioè a compimento, finché dura, il disegno che Casaleggio, attraverso Grillo, aveva da sempre propagandato: incanalare la rabbia popolare per farne strumento di democrazia (sostiene lui) o di accentramento del potere (la realtà).

Perché Renzi sia non già Berlusconi, come la vulgata satirica suggerisce da anni (siamo guitti, si fa per celiare) ma l’erede di Bettino, è presto detto. Come lui, ha preso un partito di grande storia. Anzi, due. E l’ha disassato. Come lui, ha pensato di cavalcare un’onda lunga di infinita gestione della cosa pubblica, ma gli si è rovesciato il surf. Come lui, miscela intuizioni concrete e arroganza spicciola, seleziona classe dirigente solo se consenziente, commette plateali errori di strategia ma resta in sella. Tanto che sarebbe ora si riprendesse ‘sto benedetto partito, se deve gestirlo con lo stesso controller che usava per la Playstation di Orfini.

Entrambi, infine (Ciriaco e Bettino) sanno che questo treno potrebbe non passare più. Personalmente, per la collezione di chissenefrega del lettore, ritengo l’accoppiata Pd-M5S un buco nero che potrebbe inghiottire entrambi. Forse auspicabilmente. Certo è che Di Maio, in un angolino di se stesso, sa di essere Di Maio. Cioè la prosecuzione della Raggi con altri mezzi. Una Tesla senza conducente che vede avvicinarsi il guard rail perché il software non ce l’ha e non se lo può dare. Renzi, di contro, possiede il software – Minniti e compagnia – che in teoria potrebbe rallentare o evitare l’impatto. E a differenza di Berlusconi è già stato deprivato di veti da parte di chi solo tre mesi fa gli dava del mafioso, del dittatore, del Jerry Lewis meno divertente. Dunque si sta attrezzando per lucrarci su.

Sarà un’analisi naïf, ma potrebbe essere la piattaforma del governo Fico. Cioè di un esecutivo basato sulla convenienza e sul disprezzo reciproco.

Proprio come nella Prima Repubblica.

Autodasé

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Ieri mattina su Twitter ho commesso un errore.

Ho indicato come errore un errore altrui che non lo era.

Per la precisione, il titolo qua a fianco.

Cioè, in realtà ho detto che quell’accento non serviva. Ma in qualche modo volevo sfottere l’imprecisione o la malagrazia altrui, e quindi fingiamo io abbia detto che era un errore.

Ne è seguita una divertente e prolungata discussione da cui ho imparato alcune cose.

La prima: benché la mia maestra delle elementari, tutti gli insegnanti successivi, i miei capiservizio, il mio gusto anti-pleonasmi, fossero sempre andati nella direzione di un “se stesso” senza accento, si può scrivere anche con. Anzi: la Crusca – mica cazzi – lo consiglia. Si potrebbe obiettare che è stato insegnato diversamente per anni nelle scuole di ogni ordine e grado, però sarebbe come mettersi contro il Codice della Strada: se su una Statale c’erano i 90, e poi mettono i 50, non puoi rispondere “si è sempre fatto così”. Persino quando, come in questo caso, si possono fare i 90 ma anche i 50.

La seconda in realtà la sapevo già, ma un memento non guasta mai: se perculi qualcuno, anche blandamente, non puoi permetterti di essere impreciso. Te lo faranno notare. E ci devi stare.

La terza: se sbagli tu, visto che spesso fai le pulci agli altri, ci sarà una breve ola di gente a cui stai sui coglioni. Nel mio caso peraltro devono mettersi in fila. E anche lì ci devi stare.

Comunque: non scriverò mai “se stesso” su Rep, perché pure loro si rifanno alla Crusca e verrei corretto. O magari sì. Sticazzi. Ma resta tutto molto istruttivo. Anche il dibattito grammaticale che si è sviluppato sotto il mio post. E pure la consapevolezza che tocca sempre essere aggiornati, specie a una certa età, evitando di dare per scontato ciò che si è ragionevolmente sicuri di conoscere bene.

Un caro saluto agli amici de La Verità, che mi pregerò ugualmente di perculare a sangue sui contenuti appena ne avrò occasione: basta che quel giornale rimanga fedele a  se stesso.

Un abbraccio (foto di Anna)

Governo, una parola di chiarezza da Adriano Celentano

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Ricevo (?) e volentieri pubblico

Di Adriano Celentano*

Caro direttore ……………………… scrivo a te, perché ormai eri l’unico giornale a cui non avevo ancora mandato una lettera ……………………….. con le mie considerazioni sul momento mica facile che, insomma, ci siamo capiti.…………………. La questione delle alleanze di governo  ………………………………….. mi ha molto colpito…………………………… Il momento è………………………………. un attimo che chiedo a Claudia l’aggettivo ……………… CRUCIALE ……………………………….. per un rinnovamento ……………….. eh? ………………… IMPONENTE …………………… che i comunisti ……………….. cioè quelli lì di Renzi……………………. che poi io già ai tempi di “Chi non lavora non fa l’amore”………… esatto. Poi uno mi fa……………………. ma allora ieri hai scritto al Fatto ………………. che devono accordarsi…………….. e sei un po’ GRILLINO anche tu…………………………….. ma  io ……………………. no, perché poi Claudia mi mette giù un bel muso…………………. che CELENTANO………………………. che poi sarei io …………………….. non vende più dischi agli altri che votano qualcosa di diverso…… ………………………… Però……………………. sei forte! ………………………..…… il fatto è che io…………………………. qui a Galbiate tutto il giorno ………………………………… mi annoio TANTISSIMO……………………………………… e allora prendo il computer …………………… guardo fuori dalla finestra ……………………. c’è una foresta davanti a casa mia ………………………… l’ho piantata io……………………. dove c’era una città ora c’è l’erba…………………….. ho perso……………………………… IL FILO ……………………………………. dicevo …………………….. guardo fuori e scrivo un articolo molto LUNGO ……………………… e lo spedisco……………….. Micky? Sei tu?……………………………………………..  a volte magari prima telefono per avvisare ……….. ho notato che ultimamente………….  i direttori fanno la voce NASALE …………………………………… e fingono di essere qualcun altro per non parlarmi ………………………………… Allora……. volevo dire………………………….….. con tante maiuscole ………………………. Rosita mi ha spiegato che le maiuscole ………………. se le scrivi ……………………………… significano che URLI …………………….. volevo dire…………………………. sei forte! …………………………………. io VOGLIO CANTARE! …………………………………….. Solo che……………………………….. l’ho capito prima di Grillo ………………………… se non pianti un casino in Italia non ti si ……………….. come si dice, Claudia? ………………………… no, quello non si può scrivere……………… non ti si CALCOLA nessuno……………………… ma io……………… l’ho già detto che mi ANNOIO? ………………………………. perché poi mi tocca giocare a briscola con Platini…………………………………………………….. eh? …………………………………….. Ah, certo: Fitoussi ………………………………l’economato…………………… economista………….. ma mica lo capisco bene, quel che dice…………………………………………………….. cioè, m’interessa anche……………………………………………….. ma io………………. quel che dovevo dire………………… l’ho sempre………….. CANTATO………………………………………. allora, questo sarebbe tipo un appello ……………………………………… dovreste ringraziarmi………………………. con tutta la gente che mi segue…………… che non ho fatto un PARTITO…………………………….. che è un bel modo per avere un pubblico……………………. ma non ne ho bisogno……….. dicevo…………………………………. sei forte! ……. Se qualcuno mi scrive qualche bel pezzo…………………………….. ma anche giovane…………………………. tipo Natalino Otto……….. De Gregori…………… Paolo Conte……… ok Claudia………. anche Gazzè……………. No, Fabri Fibra no……………. allora io poi canto………… e non scrivo più ai giornali………………….. perché non so se l’ho detto…………………………………… lo faccio perché MI ANNOIO TANTISSIMO!

Sei forte!

 

Testo raccolto da Luca Bottura

 

(nb I puntini sono le pause)

Lavia per chiudere un programma: istruzioni per l’uso

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(ANSA – DEMOCRATICA) Un’intensa immagine di Mario Lavia

L’altra sera ho avuto un flame, come dicono quelli che parlano male, con Mario Lavia.

E io se fossi in voi già avrei smesso di leggere.

Se invece siete ancora qui, mi corre l’obbligo di spiegare:

  • Cos’è un flame.
  • Cos’è Mario Lavia.

Il flame, è ‘na robba de social. Uno scrive una cosa aggressiva, tu gli rispondi male e quello s’incazza finché non s’è fatta una certa e dovete andare entrambi a dormire perché il giorno dopo lavorate.

Mario Lavia invece è il vicedirettore, credo, di Democratica, l’organo – rigorosamente online – del Pd che ha sostituito l’Unità. In passato ha diretto unita.tv, sito fantoccio de l’Unità vera, che nel frattempo era stata passata per le armi dal Nazareno senza manco seppellirne la salma.

Anzi, seppellendola troppo in profondità, perché quando unita.tv prese il posto di unita.it venne azzerato l’archivio. Per reperire il quale ora tocca cercare nel deep web. E che al sottoscritto manchi traccia di oltre dieci anni in quella gloriosa testata, anche sticazzi.

Ma da Togliatti a Fortebraccio, e anche molto oltre, c’è l’intera storia di un giornale che si è persa. Insieme, non a caso, a quella del partito che rappresentava.

Lavia ha chiesto su Twitter la chiusura di un programma (#cartabianca) a cui mi onoro di collaborare. Nello specifico, ce l’aveva con l’intervista allo scrittore/alpinista/igienistasporadico Mauro Corona, che da qualche settimana apre il programma. 

Non gli è piaciuta. E questo, ci mancherebbe, è del tutto legittimo. La tv è un lavoro fatto di mediazioni, soprattutto quando c’è la necessità di coniugare servizio pubblico e gradimento del medesimo. Può scriverlo chiunque, anche un giornalista diretta emanazione di un partito. Anche se ci sarebbe qualche ragione di opportunità per non farlo.

Ma se invochi una chiusura (come in passato fece Michele Anzaldi, pasdaran renziano in Commissione parlamentare di vigilanza) hai un peso diverso. E questo forse a Lavia sfugge. Così come, temo, ai molti del vecchio e nuovo Pd che la pensano come lui. Gli sfugge, inoltre, che finora a chiedere la chiusura dei programmi Rai – considerati evidentemente cosa loro, anche da chi si è sempre dichiarato ostile allo strapotere dei partiti – erano sempre stati destrorsi e grillini. A iscriversi al club non si fa bella figura. Soprattutto pubblicamente. Almeno telefonate come al solito.

Ho risposto male. Ho detto che se vogliono farci chiudere, basta che ci facciano dirigere da lui così finiamo come l’Unità. Ha detto che il programma è penoso. Gli ho detto che se volevano evitare programmi penosi potevano evitare di premere perché la Berlinguer fosse cacciata dal Tg3 e gli ho chiesto lumi sull’archivio. Mi ha dato del provocatore e intimato di andare a nanna, parlando di attacchi personali. Gli ho specificato che anche questo è molto grillino: prima spari ad alzo zero, da una poltroncina politica, poi ti lamenti perché ti rispondo a tono.

A freddo, volevo scusarmi con Lavia.

E, anzi, ringraziarlo. Perché col suo lessico, il suo comportamento scomposto da chi manco sa manovrare i social con cui la sua testata campa, il tono grossier, mi ha esemplificato perché gli squatter che hanno occupato la mia area politica non mi rappresentano. E intanto, come Brecht prima e Paolo Rossi, invece di cambiare classe dirigente pensano di cambiare gli elettori. O chiunque non fosse sul carro dei vincitori che, immagino per riconoscenza, continuano a difendere.

Posso sbagliare anche qui, ma non mi pare che finora abbia portato successi travolgenti.

Un cordiale saluto (foto di Anna)