Tanti auguri a Giorgia Meloni per una gravidanza felice e una maternità ricca di soddisfazioni

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meloni okConfesso, ho fatto una battuta sulla Meloni.

“La Meloni è incinta. Il primo che aggiunge ‘sempre’ è una brutta persona”.

Tecnicamente è pure una battuta sbagliata, perché il riferimento al celebre proverbio riguarderebbe semmai la genitrice della celebre parlamentare.

Ma è piaciuta, è stata condivisa, e mi ha cagionato la nomination nella nazionale sessisti stilata da Laura Eduati sull’Huffington Post.

Sono recidivo, peraltro.

Tempo fa postai una vignetta sul ministro Boschi (la sua foto e lo slogan: Proteggi le oche, boicotta Moncler) che avevo fatto tale e quale la mattina in radio, ma sulla Minetti, senza che accadesse nulla. Con l’importante differenza che la Minetti pare giacesse con Berlusconi, mentre la Boschi ci stava riscrivendo la Costituzione. Dunque mi sembrava un filo più pericolosa.

Quella foto mi guadagnò le stesse accuse di malagrazia. Per la precisione, arrivarono da il Giornale, il Fatto Quotidiano e Libero

Un po’ come se Mario Adinolfi ti criticasse la dieta.

Ecco, ci sono ricascato.

Ho motteggiato sulla pinguedine di Adinolfi (che in parte condivido) perché mi pareva buffo. Chiedo scusa. Effettivamente è troppo facile e, se posso, cerco di evitare: il sovrappeso non è un dato politico. Adinolfi ha ragione.

La Meloni, temo, meno. E chi pensa di difenderla dal sessismo, forse, ancora meno. Una figura (uomo, donna, trans, pegaso) che vada al family day annunciando al mondo intero che è incinta, ma fuori dal matrimonio, costituisce occasione di battuta.

Di più, si scrive da sola. E usare la questione di genere per difendere il presunto bersaglio dall’ironia mi risulterebbe ottuso, improvvido, scentrato, controproducente, addirittura un filo ipocrita.

Verrebbe quasi da dire “Farsi una risata: se non ora, quando?”.

Non fosse che quando fai battute ci sta anche che non siano capite.

E che, anche se capite, a qualcuno facciano cagarissimo.

Quindi io mi tengo l’accusa di sessismo, per carità, vale tutto.

Ribadendo sommessamente che era una battuta su una che è andata al family day per dire che è rimasta incinta fuori dal matrimonio.

E che io di figli fuori dal matrimonio ne ho due, ma non è che rompo i coglioni alla gente, in piazza, per dire che quelli come me non meritano diritti.

Ecco.

Tanti auguri a Giorgia, al pargolo, e un abbraccio (foto di Anna)

 

Family day: il programma della giornata

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In occasione del precedente Family Day, il settimanale Left pubblicò questo mio articoletto satirico sul programma della giornata. Ne seguì un doppio miracolo: scomparvero sia la mia collaborazione con Left che gli emolumenti per l’articolo. Siccome il 30 gennaio si replica, il pezzo torna attuale. Basta sostituire un paio di nomi e sembra scritto oggi. Perciò lo ripubblico. Gratis anche stavolta, ma almeno lo decido io.

Compagno/a Amico/a lettore di Left, l’articolo che vai a compulsare rappresenta per te una grande occasione. Perché è inutile girarci intorno: col partito democratico siamo entrati tutti a far parte di una nuova e grande famiglia. Quale migliore occasione di santificarla con una bella capatina al Family Day? Però affrettati. Le adesioni fioccano. I biglietti latitano. Gli organizzatori prevedono più folla che al prossimo concerto di Vasco, e addirittura più gente che al prossimo consiglio dei ministri. Ritaglia perciò subito il pratico coupon che trovi in fondo alla pagina e conferma quanto prima la tua presenza alla segreteria organizzativa: Family day, c/o Paola Binetti, via del Concilio di Trento 1563, Roma. Oppure scarica il modulo dal sito ufficiale della manifestazione: www.lefigliedimariasonleprimeadarlavia.com. Poi, segui le istruzioni. E anche tu potrai dire: “Qualcuno ha il telefono di Fabio Mussi?”.

Come arrivare

Come in occasione del Giubileo, Walter Veltroni ha predisposto per i pellegrini il massimo dell’assistenza. Le auto saranno accolte all’ingresso in città da appositi volontari che le indirizzeranno in tre ordini di parcheggi: famiglie (dietro al palco di piazza San Giovanni), single (nei pressi del grande raccordo anulare), coppie di fatto (fuori Viterbo). Gli organizzatori hanno comunque fatto sapere che la Santa Sede preferirebbe mezzi alternativi: treni – secondo una recente revisione evangelica, un viaggio con Trenitalia equivale in termini di salvezza dell’anima a due settimane di cilicio – e aerei. La compagnia scelta per i voli speciali è tedesca: la RatzingAir.

Con chi arrivare

Ma chi con preferisci, ovviamente. A dispetto dei facili pregiudizi, il Family day è infatti un avvenimento inclusivo, aperto anche a chi ha deciso di trascorrere l’eternità tra le fiamme dell’inferno. Le recenti posizioni contro i Dico del rabbino di Roma, Di Segni, hanno tra l’altro gettato un ponte definitivo tra le due culture: vecchio o nuovo testamento non importa, l’importante è che l’erede fosse regolarmente sposato.

Cosa portare

La famiglia, innanzitutto. Chi ne avesse più di una, come Silvio Berlusconi, verrà invitato a scegliere prima di mettersi in viaggio. Chi l’avesse smarrita, come Pierferdinando Casini, potrà richiederne copia alla segreteria. Non vanno bene famiglie di altri, né il tipo di famiglia con cui intendeva presentarsi Marcello Dell’Utri. Ogni manifestante riceverà in omaggio una maglietta con la scritta “Non possumus” e una bomboletta spray con la quale potrà andare a scrivere “Andrea Rivera, per te non viene sera” sui muri di una Casa del popolo a scelta.

I conduttori

Com’è noto, la conduzione della giornata era stata inizialmente affidata a Gerry Scotti e Giovanni Mucciaccia, quello di Art Attack. Scotti è stato accantonato dopo aver proposto di iniziare la manifestazione con la frase “Credo in un solo Dio padre onnipotente, l’accendiamo?”. A Mucciaccia sarebbero invece stati fatali gli occhiali: com’è noto sin dai tempi di Bonifacio VII, con troppo Fai da te si è sempre diventati ciechi. Alla fine la scelta è caduta su Paola Rivetta, giornalista del Tg5, e ad Alessandro Zaccuri dell’Avvenire. Almeno fino a quando non si verrà a sapere che i due da anni intrattengono una bollente relazione sadomaso: la Rivetta tortura Zaccuri leggendogli la rubrica di Carlo Rossella sul Foglio.

Chi c’è al Family day

Hanno ufficialmente aderito: Associazione italiana guide e scouts d’Europa, Associazione Medici Cattolici Italiani, Acli, Azione Cattolica, Maschere dei cinema per il Cattolicesimo, Cammino neocatecumenale, Gruppo Interconfessionale Sacerdoti col riporto, Centro sportivo italiano, Centro italiano femminile, Centro varie ed eventuali, Blockbuster, Coldiretti, Comunione e Liberazione, Inter Club Giacinto Facchetti di Locate Triulzi, Comunità di Sant’Egidio, Comunità di San Siro, Comunità dello Stadio delle Alpi, Consulta nazionale aggregazioni laicali, Centro italiano per la salvaguardia degli enti inutili, Copercom, i fans del cantante Michele, Movimento cristiano lavoratori, Autogrill per l’Europa, Misericordie d’Italia, Movimento per la vita, Vita per il Movimento, Retinopera, Pretinopera, Rinnovamento nello Spirito Santo, Udeur, Udeur Secondo Estratto, Unione cristiana imprenditori e dirigenti, Benzinai per il Concordato, Unione Giuristi Cattolici Italiani, Intimissimi, Unitalsi, Anas, Aiscat, Società Autostrade. Ancora in forse la collaborazione dei gestori Agip.

Chi non c’è al Family day

Al Family day non parteciperanno tutte quelle componenti della sinistra italiana che hanno sempre saputo mantenere la schiena dritta e non scendere a facili compromessi su temi come la laicità, la separazione tra Stato e religione, l’autodeterminazione dei comportamenti personali. Al momento di andare in macchina, risponde a questi requisiti il solo geometra Gian Bernardo Piroddi, di Cagliari, che però giusto ieri è incappato per errore nell’ascolto di Radio Maria e, dopo esserne rimasto ipnotizzato per oltre cinque ore, starebbe pensando di convertirsi all’adorazione di un enorme vaglia postale.

Il programma della giornata

Ore 8 Breve saluto ai presenti di S.E. cardinale Angelo Bagnasco.

Ore 8.15 Brevi gestacci agli assenti di S.E. cardinale Angelo Bagnasco.

Ore 9 Conferenza Seminario: “Lasciate che i bambini vengano a me, ne siamo proprio sicuri? Il caso della chiesa Usa”. Ne discutono Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni. Coordina Giuliano Ferrara. Con Padre Ralph.

Ore 10 Tavola rotonda Seminario: “Cattolici e sindacato: porgi l’altra chiappa” Coordina Savino Pezzotta. Intervengono Luca Cordero di Montezemolo, Marcello Pera, Michela Brambilla, e la sua grossa frusta.

Ore 11 Incontro Seminario: “L’integralismo islamico: se ci impegniamo possiamo fare di più?”. Con Magdi Allam.

Ore 11.30 Coffee break.

Ore 11.45 Ostia break.

Ore 12 Cerimonia del figliol prodigo: Francesco Rutelli, indossando la maglietta “Sono partito democratico e torno indietro bigotto”, sale sul palco per dare alle fiamme un’enorme foto di Francesco Rutelli quando era radicale. Poi racconta che per espiare le colpe della gioventù ha persino sposato la Palombelli.

Ore 13 Rogo di altri documenti impuri: un reggiseno trafugato a Franco Grillini, un Pacs importato clandestinamente dalla Francia, l’agendina di Franco Califano.

Ore 13.30 Intermezzo musicale con il coro della Guardie svizzere, che per la prima volta cantano “Chi ha ammazzato il capitano Estermann”.

Ore 14 Convegno Seminario: “L’omosessualità è contro la morale cattolica e so quello che dico”. Conduce don Gianni Baget Bozzo.

Ore 14.30 Workshop Seminario: “Tv e religione: i miracolati”. Conduce Lorena Bianchetti.

Ore 15 Convention Seminario: “La conoscenza carnale secondo la dottrina di Santa Romana Chiesa: verso i Famolo Day”. Conduce Claudia Koll.

Ore 16 Incontro Seminario “La Storia siamo Voi: se fosse vero l’evoluzionismo, come si spiega Mario Borghezio?”. Conduce Giovanni Minoli.

Ore 18 Kermesse della Madonnine che piangono. Conduce Giovanna Melandri.

Ore 20 Gran finale con lo “Show della famiglia”. Presenta Irene Pivetti con lo pseudonimo di Vandea Osiris. In scaletta, il grande ritorno di Frate Cionfoli, i Cugini della campagna per la vita, Gabriella Carlucci arrivata sul palco direttamente in macchina, Peppino di Capri, Clemente di Ceppaloni, il comico Martufello con alcuni delle sue celebri storielle (“Un musulmano entra in un caffè. Bum”) e la cabarettista Rosy con i suoi celebri calembour: “Più che Dico, Direi”.

Ore 24 Novena per il miracolo della moltiplicazione dei presenti: 1.000.000 secondo gli organizzatori, 100 milioni secondo la Questura.

luca@bottura.net

La Procura di Bologna e il surreality show

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Provo un rispetto quasi sacrale per la Magistratura, non foss’altro che nel mio peregrinare satirico ha sempre difeso la libertà d’espressione.

Piccole cose, piccole querele (Nicola Porro, un ex assessore socialdemocratico, Manes Bernardini, Forza Nuova, un gruppetto neonazista che non voleva essere chiamato per nome) che si sono sempre concluse con l’assoluzione perché il fatto non sussisteva.

Abbracci, simpatia, viva l’articolo 21 della Costituzione.

Aggiungo che, da battutaro quale sono e fui, penso di aver comunque compreso l’impianto formale che sorregge le accuse della Procura sulle occupazioni. E temo non sia infondato. Mi pare (posso sbagliare) che il ragionamento sia: anche a Bologna, c’è chi usa il disagio sociale come un tram per il proprio percorso ideologico di illegalità diffusa. Che è un po’ come dire che alcuni No Tav manco saprebbero indicare la Val di Susa sulla cartina, ma intanto sono in prima fila a strumentalizzare le ragioni – giuste o sbagliate che siano – di quella battaglia.

Detto questo, ribadito il rispetto per chi giudica, in un Paese che ripudia e sente altro da sé chiunque applichi la legge, scolpito sul marmo che le sentenze si rispettano e le indagini pure, gli avvisi di garanzia al piddino Mazzanti e alle sellina Cathy La Torre hanno un che di surreale.

Uso questo termine, surreale, perché è lo stesso che è valso al capogruppo Pd la querela. E lo faccio non già per sfida, ma per inserirlo nella coda di opinioni che ho espresso in queste poche righe. Criticabili o no. Ma appunto opinioni.

Ne aggiungo perciò un’altra: il sindaco e l’assessore Frascaroli hanno gestito le occupazioni con la lucidità e la consapevolezza di chi sa che l’emergenza sociale, qui come altrove, è stata affrontata poco e male. Hanno fatto il loro, secondo il sottoscritto. Se poi in quelle occupazioni siano stati commessi reati, e quali, lo stabiliranno appunto i giudici. Senza neanche bisogno di andare a Berlino. Basta e avanza via Farini. Ma così, d’acchito, per la rubrica “ascolta un cretino” parrebbe proprio che il Comune abbia agito per salvaguardare i deboli. Sprezzante, pare incredibile anche a me, dei calcoli elettorali.

Pensarlo, e affermarlo, è davvero reato? Proprio perché rispetto i Giudici, aspetterò che si pronuncino. Sperando che nel frattempo non tocchi anche a me di scontare l’aver parlato degli assessori che parlavano del sindaco che parlava delle occupazioni che al mercato mio padre comprò.

Intanto posso affermare con certezza che a causa di questa complessa vicenda s’è consumato un terribile delitto: ho appena passato 40 righe a difendere Virginio Merola.

Roba, effettivamente, per cui meriterei almeno l’ergastolo.

 

Uscito sul Corriere di Bologna

Il caso Diawara: di curve, insulti e prevalenza dei cretini

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Ha fatto bene. No, mi correggo: ha fatto benissimo. Amadou Diawara non poteva festeggiare meglio il gol che al 92’ ha permesso al Bologna di espugnare Marassi. Disponendone, gli avrei fornito un cartello lampeggiante con la scritta “gugu fatelo a vostra sorella”. Ma mi accontento che abbia imitato le movenze di un gorilla. Perché ci voleva un ragazzino a dirci che certe convenzioni si possono abbattere. Che quella roba lì è razzista, sbagliata. E sì, certo, poi è stato espulso. E tutti i cronisti hanno subito commentato dicendo che non si fa, che deve rendersi conto, che non è questo il modo. E il portiere avversario Perin ha detto che Diawara ora imparerà come vanno le cose negli stadi. Cioè che una massa indistinta può dare del negro a qualcuno, ma che il centro di cotanta attenzione manco può sfogarsi se per caso gli capita qualcosa di bello. E per assolverlo hanno persino detto che si era confuso col rossoblu della curva del Genoa e dunque ha esultato sotto la curva sbagliata. Perché si sa come sono quelle teste calde che vengono dall’equatore o giù di lì, mica hanno il senso dell’orientamento. Ha fatto bene, Diawara. Perché ‘sta roba che ci fa ridere e disperare è un gioco. Esultare non è reato. E in un mondo normale lo stadio non è un luogo nel quale i diritti civili vengono sospesi, nel quale gente che in strada da Diawara fuggirebbe a gambe levate, può permettersi di sputare su qualcuno per la pelle che porta. Ha fatto bene, Diawara. Lo rifaccia, la prego. Magari dopo un gol suo. E forza Bologna.

Uscito sul Corriere di Bologna

Di “bastardi islamici”, social network e altre futilità

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Ho elaborato un concetto di alta sociologia: se stai in un posto di merda, più facilmente diventi un terrorista.

E non parlo di Raqqa. O dell’Afghanistan piagato dai nostri scarponi. O di Aleppo, che era un luogo bellissimo, un crocevia di convivenze, prima che lo radessero al suolo mentre noi (pure io) ordinavamo tranquilli l’ennesimo Pastis.

Parlo del Belgio.

Che per molti versi è un luogo davvero tremendo. E non pensate a Moolenbeck, il ghetto di Bruxelles che ha fatto da innesco per le volontà omicide di 500 foreign fighters. Pensate a Liegi e alle sue periferie terrificanti. Al combinato disposto tra i centri di potere e chi quella vetrina la guarda dalla finestra. All’integrazione fallita in un Paese che sembra l’Italia in miniatura: conflitti etnici con motivazioni ridicole, corruzione, economia basata sull’assistenzialismo, un tempo persino gli anni di piombo della Brabante Vallone, cui si ispirarono quei loschi figuri della Uno bianca.

Se stai in un posto di merda, diventi facilmente violento. Soprattutto se al contempo hai un altro posto in cui combinare le tue identità. Cioè i social. Le pagine Facebook dei tizi che sparavano alla schiena delle ragazze al Bataclan le abbiamo viste tutti: figa, auto, calcio e jihad. L’identikit del capobastone è quello di un paranoico sfottuto al college che ha trovato il modo di farcela vedere, a tutti noi, in questo non dissimile da un qualunque coglione americano che fa strage nella sua scuola. In questo, anche, perfettamente aderente alla presunta civiltà antitetica che sostiene di voler combattere. Mentendo in primis a se stesso.

I social ci hanno abituato a una concezione binaria della vita. Non è colpa loro, ma del nostro profondo che cerca sempre nuove approssimazioni con cui raccontarsi il bisogno belluino di aggredire il prossimo. Ma se quella selezione tribale, ancestrale, grossolana viene affrontata da uno psicopatico col kalashnikov a tracolla, ecco cosa succede.

Un flame. Nel senso concreto del termine.

Perché il mondo non è binario. E un tizio che posta la sua preoccupazione per la campagna acquisti del Paris Saint Germain, può essere lo stesso che salta per aria nel quartiere Saint Denis poche settimane dopo.

Attenzione: non è colpa di Facebook. Ogni guerra si pasce delle tecnologie e del retroterra culturale di cui dispone. C’erano le trincee, nel ’14-‘18. C’erano gli aerei e l’atomica, nel ’40-’45, oggi ci sono i Tweet e i video jihadisti montati come in un film di Francis Ford Coppola. O in un gioco “spara spara” Non è colpa dei social, no, che certificano una malattia endemica. E ne hanno solo modernizzato la propaganda, e gli esiti.

Quando ero bambino, vicino a casa mia abitava una signora zoppa e gentile. Claudicava per via di una pallottola nazista che le era finita in una gamba mentre si fingeva morta, a Marzabotto, sotto un mucchio di cadaveri. Proprio come l’altro giorno in un camerino di Parigi, o in un ascensore maliano. Uomini e donne inconsapevoli. Innocenti. Terrorizzati. Col sangue altrui come cuscino. Dalla parte sbagliata di una guerra che non avevano dichiarato. Senza alcuna responsabilità se non quella del tutto incidentale, inevitabile, di non essersi accorti per tempo della tirannia e averla debellata, con uno di quegli atti di coraggio che chiediamo facilmente agli altri (gli islamici “moderati”) e non sappiamo compiere noi, quando si tratta di mettere in campo piccoli gesti politici di onestà e di contrasto quotidiano alla mentalità mafiosa che tutti ci permea.

E permea tutta l’ipocrisia cosiddetta occidentale.

In questi giorni abbiamo scritto, in molti, che la miglior risposta al terrorismo è continuare la vita di tutti i giorni. Ristoranti, sesso, divertimento, cinema. Ora: a parte il fatto che pagherei, per vivere davvero così, ma temo non basti. Temo che oltre alla normalità ci sia bisogno di un altro sostantivo: la consapevolezza. Che passa attraverso la conoscenza. Nessuno di noi, io per primo, sa esattamente come e perché i sunniti combattono gli sciiti, chi arma chi, quali connivenze internazionali hanno favorito l’Isis. Molti credono di saperlo perché leggono i giuliettochiesa o altri complottisti acrobatici che ripetono loro una sola verità: è colpa di altri poteri, tu non c’entri.

Tu nei sei fuori.

Ognuno di noi che non sappia, che non provi curiosità di conoscere, che rimuova più o meno scientemente la parte del mondo che incuba odio, e ne semina i germi in questa landa del pianeta, quella cui abbiamo dato il tasto “condividi” senza condividere un cazzo d’altro, chi ci attacca perché ci somiglia troppo, e lo sa, e appiccica ideologia e religione a uno scontro tribale che – tra l’altro, ma non è tutto lì – favorisce interessi economici, chi, insomma, riduca tutto al derby tra “bastardi islamici” e resto del mondo, probabilmente si crederà assolto.

Ma resta per sempre coinvolto.