Un pezzo schifosamente retorico sul ritorno in serie A della Fortitudo

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La chiamarono V rosa.

Era un derby di forse vent’anni fa. La Fossa dei Leoni acquistò un congruo numero di boxer, li colorò della suddetta tonalità affinché simulassero l’incarnato posteriore, e compose una coreografia grande come la curva dando le spalle alle squadre.

Fuor di metafora: mostrarono il culo, in duemila. Alcuni per davvero. Con tanto di stella al centro per impreziosire l’opera.

Sotto, i giocatori della Virtus facevano la ruota. Si scaldavano. E ridevano. E io con loro. Perché quel piccolo capolavoro di grevità, in fondo, omaggiava i perculati. E scolpiva a suon di chiappe la grandezza di basket city. Quando eravamo re. E l’ironia, ma mica sempre, ci rendeva grandi e migliori. Tutti.

Ho sempre amato la Virtus. Per me il basket cominciò con un piccolo telo bianco che portavo al Madison, a nove anni, sul quale mia zia Anna aveva cucito con due lacci di scarpe una specie di V. C’era Tom McMillen, in campo. C’era Peterson in panca con le basette paraboliche e i pantaloni a campana da monaco tibetano. C’erano Villalta, Bonamico, Bertolotti che tirava da tre quando il tiro da tre manco c’era. C’era Charlie Caglieris che ruotava il pugno.

Ricordo perfettamente la prima radiocronaca, secoli dopo, al parco Ruffini di Torino, anno ’89. Il muro era ancora su. E anche Richardson era molto su. E ricordo quando il mio capo a l’Unità, Franco Vannini, mi annunciò che sarei andato in Belgio per la prima trasferta europea della mia carriera: Sunair Ostenda-Knorr. Gli dissi che per festeggiare avrei acceso un cero alla Madonna di San Luca. Mi rispose che eravamo comunisti: bastava che non perdessi l’aereo.

Per anni ho scritto di basket e per anni sono stato in mezzo, anche se in un giornale piccolo, alle diatribe tra le due parrocchie. La Virtus chiamava per lamentare l’occhio di riguardo per la Fortitudo. E viceversa. Tutti i santi giorni.

Quando Giorgio Seragnoli s’improvvisò Saputo abbronzato, presi a seguire in giro per il mondo anche l’Aquila. Una volta ci fecero salire su un Antonov bulgaro per Berlino, due giorni dopo che era precipitato un Antonov romeno a Verona. Tutta la comitiva stazionava ai piedi del velivolo, terrorizzata. L’equipaggio implorava di salire. Poi, in ritardo, arrivò Carlton Myers con le cuffie a palla e si lanciò sulla scaletta. Il bello di non leggere i giornali.

Il “tiro da 4” di Danilovic lo vidi che ero già in sala stampa: non volevo bagnare il computer col primo champagne dell’Aquila, ero scappato prima. Coniglio. Ma Dominique Wilkins aveva in mente un’altra storia.

A quelle diatribe lego la mia giovinezza, ma non è questo il solo motivo per cui sono contento che la Fortitudo sia tornata in A. In fondo poco m’importa di questi anni faticosi, di case madri, parchi delle stelle, matricole vecchie e nuove. Poco m’importa e in fondo poco so, perché ormai il basket mi è quasi irricevibile, visto che non fa nulla per farsi capire e amare.

Ma sono felice per la vecchia e cara Effe, che smarrii per strada quando cominciò a stravincere, perché mi restituisce una parte di me. Perché quando ritmavano “non abbiamo mai vinto un cazzo” erano una meraviglia vera. Perché gli spigoli della memoria col tempo diventano curve, come diceva De Gregori. E senza la Fortitudo, senza le palette di Santi Puglisi, senza lo stile di Dan Gay, senza l’orgoglio di Stefano Pillastrini, senza Black Nino Pellacani e le sue magliette, senza belle penne come Lorenzo Sani ed Emilio Marrese, senza gli insulti di Alberto Vecchi quando faceva il capoultrà, avrei trascorso anni molto meno divertenti e appaganti.

E Bologna con me.

Così, l’altra sera, a vederli sciamare sul parquet di Forlì, ho fatto festa pure io. E ho pensato che quella scena sarebbe piaciuta molto anche a Paolino Castelli dell’Ansa. Un altro che come me barcollava tra le due sponde di basket city col sorriso sulle labbra. Uno che m’insegnò come si stava al mondo, quello strano mondo di giganti.

L’avrebbe raccontata benissimo, Paolo. Ci avrebbe raccontato cosa siamo stati. E cosa, chissà, un giorno torneremo a essere. Poi avrebbe riso forte e si sarebbe acceso un’altra sigaretta.

Anche per lui: bentornata, Fortitudo.

Uscito sul Corriere di Bologna

Renzi, Grillo, Casson e un partito che festeggia le sconfitte: un’inutile riflessione

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(ANSA – BRUGNARO) Renzi indica a Casson un comunista in sala, anziché la security faccia il proprio dovere

In Liguria i civatiani non hanno votato la Paita. E il Pd ha perso.

A Venezia i renziani non hanno votato Casson. O sono rimasti a casa. E il Pd ha perso.

La costante: il Pd ha perso.

E Renzi risponde che invece no, ha perso la sinistra.

I renziani aggiungono che è anche colpa dei Cinque Stelle, che in Laguna non hanno nemmeno saputo votare un personaggio a loro affine (o, meglio: affine a ciò che dicono di voler essere e che Grillo mai sarà) come Casson.

Io non capisco niente, né di politica né di altro, ma a Renzi e ai suoi mi permetto di dare un piccolo suggerimento: occhio a crogiolarsi con l’isolamento grillino.

Oggi, con l’Italicum, il Movimento Cinque Stelle andrebbe al ballottaggio col Pd. E siccome la destra si ricompatta contro i candidati “comunisti” (Venezia, appunto, docet) potrebbe persino vincere.

Questo potrebbe lasciarsi Renzi: un Governo Dibba. Con Salvini all’opposizione (o magari in coalizione: sui migranti hanno le stesse idee).

E, anche, un partito che festeggia le sconfitte.

E’ il combinato disposto di un leaderismo estremo che fabbrica nemici diversi ogni giorno: sindacati, giornalisti, belle anime della sinistra, opposizione interna, tutti trattati come fastidiosi e superabilissimi impacci sulla via delle decisioni ineluttabili.

Non è una domanda di scuola: visto che i tuoi storici avversari, appena possono, si rimettono a sostenere chi hanno sempre votato, fossero anche cadaveri politici come Berlusconi, e di fronte alla marea importante di ruspe e vaffanculo, dove può arrivare uno che si è scelto per nemici parte di quelli che ancora lo votano?

#rifareiconti

Bologna, cosa faranno dopo la promozione?

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Finisce come doveva, col meritato giro di campo trionfale per chi tanto ha fatto per la promozione in A: la traversa sotto la curva Andrea Costa. Ma è già domani: cosa succederà ora ai rossoblù? Acquafresca tornerà a fare il dentifricio? Cacia andrà a litigare con gli umarells di quale città? Ma soprattutto: nel concitato finale, ieri sera, Merola fumava impassibile una grossa sigaretta. Non è che lo porta via la narcotici?

JOEY SAPUTO Festeggerà sobriamente con un concerto in Piazza Maggiore di Paul McCartney e Ringo Starr (“Volevamo anche John e George ma purtroppo si sono negati al telefono”) e allestirà un Bologna di ambizione e tradizione: Negri; Furlanis, Pavinato; Tumburus, Janich, Fogli; Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti. All’obiezione che si tratterebbe di una squadra troppo stagionata, Saputo ha già risposto che pure il provolone che smercia ai canadesi è stagionatissimo, ma se lo mangiano che è un piacere.

JOE TACOPINA Lascerà il Bologna. Visto l’entusiasmo con cui ha travolto una città desolata e senza speranze, nonché le incredibili capacità comunicative, Matteo Renzi in persona l’ha voluto per rilanciare un’istituzione che inspiegabilmente non gode di buona stampa: Equitalia. Già pronta la prima iniziativa: sostituire gli Autovelox con dei selfie che il trasgressore deve scattarsi appena si rende conto di aver superato i limiti. Curiosamente la Polstrada nicchia.

DELIO ROSSI Il mister si godrà le parole con cui Saputo ha voluto da subito infondergli fiducia per il prossimo futuro: “Le grandi squadre si fondano sul lavoro, sull’abnegazione, sulla riconoscenza. E’ per questo che qui e ora voglio dire grazie e augurare un ottimo futuro all’allenatore del Bologna: Roberto Mancini”.

PANTALEO CORVINO La geniale strategia comunicativa con cui ha gestito gli ultimi sei mesi – “Andate in serie ché poi vi cambiamo tutti” – non è passata inosservata e ha già partorito un’importante collaborazione: Corvino diventerà il responsabile marketing della Lista Merola con cui l’ormai ex sindaco Pd sfiderà il suo vecchio partito. Pronto lo slogan: “Volevamo Montezemolo, ma c’è questo. Accontentatevi”.

ANTHONY RIZZA Passerà i prossimi sei mesi a cercare di spiegare che nonostante il combinato disposto tra nome e cognome no, non era lui quello nel cast dei Soprano.

FILIPPO FUSCO Festeggerà la promozione rossoblu con un gesto di grande generosità: una telefonata alla Maga Chiatella per togliere il malocchio che aveva richiesto a gennaio.

DIEGO LOPEZ Manterrà la docenza del Master di “Sfanculamento Cronisti” alla “Giulio Tremonti University” di Houston, di cui è diventato insegnante dopo l’esonero. Il corso comprende teoria e pratica del ribaltamento polemico, seminario di faccette ostili con cui rispondere a domande sgradite, prolegomeni del “Dimmelo tu” con cui affrontare ogni rilievo tecnico. Al suo fianco, per aggiungere una carica di simpatia, previsto l’arrivo di Mazzarri.

VIRGINIO MEROLA Il sindaco annuncerà di voler di legare la rielezione al progetto di Saputo per il nuovo Dall’Ara, in cui è previsto uno stadio che inizia in via Andrea Costa e finisce a Ferrara, parcheggi sotterranei per 160.000 auto, centri commerciali a soppalco, otto linee di metropolitana, l’allargamento di San Petronio, la ricostruzione completa delle Mura abbattute nel 1906, il completamento del People Mover. “Anche se sul People Mover – preciserà Merola – ci andrei coi piedi di piombo”.

ALBANO GUARALDI “La promozione è anche un po’ merito mio”, dichiarerà in un bar di Castenaso dopo la vittoria. La prognosi è di 15 giorni salvo complicazioni.

MONSIGNOR VECCHI Verrà fermato dalla polizia municipale durante il tentativo di scrivere “Saputo c’è” sotto un cavalcavia.

FEDERICO CASARINI Giocherà da un’altra parte e ci farà un mazzo tanto dimostrando che altrove, se non sei cresciuto qui, qualche volta puoi prendere persino più di 6,5 in pagella, anche se al posto dei piedi non hai aggeggi da ricamo. Ciao Federico, che Carpi ti sia lieve.

FRANCELINO MATUZALEM Resterà a Bologna. I suoi tatuaggi sono stati dichiarati patrimonio dell’Unesco, il solo cui Bologna possa ambire finché non ripulisce i graffiti. L’unico rischio è che una volta esposto riempiano di Tag pure lui, ma Francelino è contento perché almeno stavolta non dovrebbe pagare i nuovi tatoo.

GENNARO TROIANIELLO Pazzesco, c’era pure Troianiello. Te t’è vest un bel mond.

Uscito sul Corriere di Bologna

Matteo Renzi e la non vittoria: un’analisi noiosa

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Fuor di satira, a Matteo Renzi voglio bene.

In parte perché soddisfa ogni giorno la mia voglia di buono, di una minchiata, e del cioccolato. Anche se ieri non sembrava cioccolato.

Un po’ perché nel supermarket post-ideologico in cui sta trasformando il Pd c’è ancora uno 0,00000000000000000000000000001 periodico del dna cui la mia microscopica storia politica deve le poche convinzioni residue.

In virtù di questo afflato, mi punge vaghezza di spiegargli che sottovalutare il voto di ieri è, per dirla con Voltaire, una fragorosa cazzata.

Come avrete notato, la cavalleria renziana (ufficiali e fanteria) suona all’unisono lo stesso slogan: “5-2, tutti a casa. Se questa è una sconfitta”.

E’ una sconfitta.

Non archiviabile con un hashtag.

Perché:

  • La candidata in Liguria era sbagliata. Controdeduzione: ha vinto le Primarie. Contro-controdeduzione: se le Primarie mettevano di fronte un clone della Carfagna e il preistorico Cofferati, significa che la classe dirigente in Liguria del Pd sta a zero. Preoccupatevi.
  • La candidata in Veneto era sbagliata. L’idea che fotocopiare le idee silvio-leghiste e imbellettarle col pilates porti a sicure vittorie, conduce la Lega a stravincere. Per il nostalgico verde-azzuro, allora, meglio la destra vera. Specie se governi da un anno e hai partorito:
  1. Annunci a raffica
  2. Pochissimo di concreto
  3. Quel poco di concreto ostile alla tua base tradizionale.
  • Se vinci per miracolo in Umbria, dove votano Pd anche i cinghiali, qualche domanda devi fartela.
  • In Campania ha vinto De Luca. Il quale si impone malgrado il Pd, tanto che tra impresentabili ripudiati e rivendicati ti ha dimostrato che a comandare è lui. Ma De Luca è anche uno che, come Bassolino a un certo punto, pensa che certe spinte “esterne” si possano addomesticare, filtrare, battere con l’omeopatia. Invece no. Il messaggio che tu e lui date, insieme, è quello di un partito per cui le leggi si aggiustano. E’ esplosivo, terrificante, un punto di non ritorno. Che poi la Severino sia una legge confusa, lo sapevate anche prima. Ma pare fosse più urgente distribuire qualche mancia a pioggia.
  • Le Marche non esistono.
  • In Toscana ha vinto un bersaniano di acciaio, uno che Verdini cerca di investirlo anche fuori dalle strisce, uno che volevi rottamare ma hai dovuto tenere a malincuore perché portava voti e consenso.
  • In Puglia ha stravinto uno che nomina assessore una tizia del M5S, candidato contro il partito nazionale. Uno della ditta.

Basterebbe per analizzare il voto senza fare spallucce, ma – da cazzaro applicato alla politica – mi permetto di sottolineare un ultimo dato: liquidare come gufi, rosiconi, civatiani, tutti quelli che azzardano qualche critica alla non vittoria, o addirittura una tenue resistenza alla marcia non più trionfale del partito della Nazione, somiglia in modo impressionante ai grillini che liquidavano come servi del Pd tutti quelli che muovevano rilievi sull’ipertrofia Grillo-Casaleggio.

Appena i vertici (la base, molta base no) hanno compreso la necessità di mutare almeno la strategia di comunicazione, il M5S ha ripreso a volare.

Consiglio, quindi, di cambiare verso.

E pure in fretta.

Immigrazione e pensioni: ma magari la Moretti avesse detto quel che le è toccato di smentire

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(ANSA – GATTOPARDO) Alessandra Moretti nel momento esatto in cui pensa: “Questo è morto: passo con Renzi”

La notizia: la candidata alla Regione Veneto del Pd, Alessandra Moretti, parla di immigrazione con David Parenzo in Cruciani.
Forzando e fuorviando le sue parole, Libero e il Giornale scrivono che Moretti propone agli anziani di arrotondare la pensione accogliendo in casa un migrante.
Sulla sua pagina Facebook – della Moretti, non di Parenzo – parte una sarabanda di insulti, “comunista di merda”, “sparati troia”, il tradizionale “ospitali a casa tua” condito da enormità sessiste.
Allora la Moretti precisa.
Se la prende anche con Crozza, che ha celiato sulla percezione comune della notizia, e garantisce su Facebook – la Moretti, non Crozza – che mai al mondo avrebbe proposto una scemenza simile, che infatti ha detto ben  altro, che c’è una campagna contro di lei.
Mi chiedevo questo, ma ovviamente sbaglio:
visto che le nostre case sono piene di badanti stranieri già ora, e che gli anziani spesso fronteggiano una pensione da fame, perché un’esponente Pd si scusa di aver detto una frase che non ha detto ma sarebbe stata considerata, un tempo, anche dal suo stesso popolo, una buona idea di accoglienza, integrazione e sostegno sociale?
Ma sia chiaro che non ho detto quel che ho appena detto.