E quindi la smentita di Beppe Grillo sulle mammografie smentiva una dichiarazione vera

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Dopo l’autoproclamata marcia Perugia-Assisi, e dopo che i giornali e le agenzie gli avevano attribuito dichiarazioni di cui non c’era esaustiva prova video, Beppe Grillo ha postato un messaggio per dare addosso ai soliti cronisti che si erano inventati tutto.

Ha così innescato alcuni debunking ideologici, alcuni errori di valutazione da parte di testate solitamente autorevoli, ha fatto aprire una curva sud saltellante sulle balle di chi – come me – si fidava di giornalisti capaci e onesti come Annalisa Cuzzocrea di Repubblica.

Ecco, una settimana dopo Il Post ha trovato quelle parole e l’unica discrasia è che le donne, oltre a essere una categoria inferiore che si informa sul cancro leggendo Donna Letizia, leggono anche Grazia.

Grazia, Graziella e Grazie a Peppe.

Che ha detto di non aver mai detto quello che aveva detto. Che ha smentito frasi pronunciate per davvero sperando che non ci fosse prova video. Che ha sparato sui giornali puntando sui fan che se la sarebbero bevuta per diritto divino.

Il che è positivo: quando governerà, grazie all’Italicum, almeno non ci farà rimpiangere Silvio e Matteo.

Bologna e il caso Merola: certi nemici, molto onore

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Le possibilità che il sottoscritto voti Pd alle prossime elezioni sono vicine a quelle che ha Mancosu di vincere quest’anno la classifica dei cannonieri. In Premier League.

Se proprio devo scegliere un partito liberista, che irride i sindacati, scatena contenziosi generazionali e sociali a puro scopo propagandistico, riempie le coalizioni di personaggi impresentabili, annuncia operazioni epocali e poi si dedica al piccolo cabotaggio elettorale, allora vado dritto su Forza Italia.

Che però a Bologna manco esiste. Come del resto non c’è il MoVimento Cinque Stelle. Siamo praticamente l’unica città in cui l’opposizione è implosa. Ne avrebbero avuti di motivi per generare un progetto politico intorno al poco o nulla combinato da palazzo d’Accursio. Non era difficile. Invece siamo qua a scrutare (io, in verità, con un certo terrore) le prove tecniche di coalizione demoleghista. Male che vada #cambieremoverso al manganello.

Però, se mi è concesso, voglio proprio difendere Virginio Merola.

Non solo perché senza di lui farei molta più fatica a inventarmi le rubriche. Pietre miliari come il referendum ignorato sulla scuola, la giravolta da Bersani a Renzi, i lavori per il Crealis durante il boom di turisti per l’Expo – “Oh, what a wonderful cantierone!” – sono una garanzia per la vita della satira.

Quanto soprattutto per una vecchia massima di Freak Antoni: “Dimmi con chi vai, ti dirò se vengo anch’io”. Cui ho sempre aggiunto una variante personale di un celebre detto del pelatone di piazza Venezia: “Certi nemici, molto onore”.

Che a crivellare l’esperienza politica di Merola siano figure stimabili come Andrea De Maria, che però conosco da quando in via Barberia lo spolveravano insieme al busto di Breznev, mi suona un filo anacronistico. Se poi leggo i nomi dei presunti candidati alle primarie cui dovrebbe sottoporsi (ma sfiduciatelo e basta: davvero volete fargli fare la fine di Silvia Bartolini?) sobbalzo ancora di più.

Lasciamo stare il Rettore: lì il problema è funzionale. Sarebbe forse l’ora che la politica si riprendesse un posto centrale, senza delegare le proprie scelte ad altri e degnissimi mondi. Se il Pd non ha un candidato in proprio, come direbbe Renzi, è un problema suo. Endemico.

Ma Galletti? Fossi uno qualunque – e lo sono – della fu base piddina, mi chiederei come sia possibile che l’Ogm del vecchio partitone voglia affidare il futuro della città a un assessore della peggior Giunta mai vista a Bologna. Quella che, al di là della stima per l’uomo Guazzaloca, assestò la spallata definitiva alla buona amministrazione che già scricchiolava sotto il peso della nomenklatura ex comunista.

Anche per questo, que viva Virginio. Il grigio Virginio. Il confuso Virginio. Lo scaricato Virginio. Cui riesce, sul filo di lana di una corsa che forse perderà, il miracolo di essere molto meglio di chi gli ha già preparato corda e sapone.

Uscito sul Corriere di Bologna

Renzi ha ragione: sulla scuola ha sbagliato comunicazione

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“Forse abbiamo sbagliato. Abbiamo sbagliato qualcosa nella comunicazione”.

E’ la frase cruciale dei 17 minuti di monologo nel quale Renzi ha spiegato, senza quei rompicoglioni dei giornalisti a fare domande, cosa intende per #buonascuola.

Tradotto: l’80 per cento degli insegnanti e la gran parte degli studenti che protestano non hanno capito. Lui concede: “Colpa nostra”. Ma pare d’intuire che pensi: “Mo’ ve lo rispiego, ciuchi”.

La riforma, parer mio, che non ho capito, ha due punti deboli su tutti. Apparentemente poco pratici, ma fondanti:
1)    E’ pensata contro qualcuno. E’ uno spot pubblicitario contro quei fannulloni degli insegnanti.
2)    Sparando contro gli insegnanti, ne rade al suolo la credibilità e disarticola quel minimo tessuto connettivo di impegno ed entusiasmo che ha supplito per troppi anni alla carenza di strutture e denari.

Ma questa è un’opinione, anzi due.

E’ invece un dato di fatto che, mentre si concedono sgravi a chi mandi i figli alle Private (private, non paritarie: chiamare le cose col loro nome è indice di onestà intellettuale), siano stati tagliati, Finanziaria dopo Finanziaria, i fondi all’istruzione. Anche da questo Governo.

Spendiamo infinitamente meno di ogni altra civile realtà europea.

Ciononostante il carrozzone sta in piedi. E per risanarlo, rendiamo bersaglio chi prova a tenerlo su con lo scotch.

Perché il punto è solo uno: parlare di meritocrazia, inflessibilità, regole cartesiane, è giusto. E’ giusto essere spietati con i professori lavativi (ce ne sono) che hanno scambiato il loro ruolo per una pensione anticipata, magari con la scusa che gli cascano le aule in testa e devono insegnare in istituti preistorici.

Ma per farlo, per avviare la rivoluzione, occorre crediblità.

E non sei credibile quando non applichi nemmeno uno di questi principi, per esempio, all’evasione fiscale. Che supera i 120 miliardi di euro l’anno. I 15 che servono alla scuola potresti prenderli da lì. E non sei credibile se, a proposito di merito, hai costruito la tua squadra di governo sul principio dell’obbedienza e dell’appartenenza geografica. Altro che competenze.

Non sei credibile  – e qui sì c’è un errore di comunicazione – perché hai adottato, incidentalmente, inevitabilmente, per il tuo immaginario così Eighities che parte dalla ruota della fortuna e… si ferma lì, tutte le posture comunicative dell’uomo col quale hai scritto il Patto col Nazareno. Di fronte al quale l’Italia si è sempre divisa in due. Non tra destra e sinistra, categorie superate, ma tra chi sapeva che cacciava palle, eppure decideva di crederci in funzione “anticomunista”, e chi riconosceva quelle palle ma non aveva gli strumenti, il coraggio, la forza politica per contrastarle degnamente.

Ma entrambi sapevano trattarsi di palle.

Per questo, è vero, avete sbagliato comunicazione. Perché anche se la riforma fosse condivisa (non la è), sincera (non la è), lungimirante (non la è: consiglio questo bel commento del professor De Mauro), se anche la tardiva apertura a un minimo dialogo fosse vera (non lo so), la sua rappresentazione coinciderebbe in tutto e per tutto col coté estetico un po’ cialtrone e un po’ “virile” di zio Silvio.

Forse per questo, quel video, invece che l’Attimo fuggente, sembrava Pierino torna a scuola.

ESCLUSIVO: QUEI FALSARI DEL FATTO QUOTIDIANO. CLICCA QUI!

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Nelle polemiche seguite all’uscita di Beppe Grillo sulla prevenzione dei tumori, i fan dell’ex comico si sono molto industriati nel debunking della notizia.

Tra i molti riflessi pavloviani, molti hanno scelto di postare questo, nelle discussioni sui social: un fritto misto ideologico e piuttosto maldestro che parte da un caposaldo dell’ideologia pentastellata: la disintermediazione dell’informazione.

Ora, lasciamo stare che quando fa da intermediario, Grillo propone spessissimo notizie-spazzatura come quella del blog, di Tze-Tze e della Fucina, ma concentriamoci sul punto: gli attacchi reiterati ai giornalisti per difendere la libertà di stampa (che è più o meno come licenziare la gente in massa per poterla assumere più facilmente) hanno il compito primario di delegittimare chi scrive, creando un’unica fonte cui abbeverarsi.

La sua.

In questo caso, anche se non si può scriverlo con chiarezza, l’attacco frontale, l’accusa di falsità, è rivolta addirittura al Fatto Quotidiano, che nella sua versione online ha coperto la cosiddetta marcia Perugia-Assisi molto bene.

Nel momento in cui i fan di Peppe ricordano che il video del giornale di Travaglio non contiene le parole dell’articolo – e questo è vero – ci si trova di fronte a un bivio: o si crede a quel che il Fatto Quotidiano (occhio: non Repubblica, non il Corriere, non la Gazzetta della Troika) riporta a latere, accettandone l’intermediazione in quanto fonte qualificata, oppure si pensa che il Fatto Quotidiano (il Fatto Quotidiano, che ha come bacino di lettori una consistentissima quota grillina) decida scientemente di inventare una bufala con dovizia di particolari, tipo quello delle donne che si informano solo su Donna Letizia*, dai quali Grillo emerge come uno squilibrato sessista.

Per danneggiarlo.

Io preferisco credere che quel virgolettato sia vero, perché mi fido di alcuni cronisti e di alcuni giornali, anche quando non ne condivido in toto la linea, e ritengo quel quotidiano piuttosto coraggioso e molto spesso affidabile (come altri, come Repubblica che è di massima filorenziana ma diffonde notizie e commenti sgraditi a Renzi, come il Corriere che è sempre molto cauto e istituzionale ma sui guai giudiziari di Berlusconi, per esempio, ha raccolto più scoop che tutti gli altri messi insieme. Una volta devo aver trovato una notizia vera persino su Il Giornale).

In generale, per capire se un debunking è affidabile, basta vedere com’è scritto. Se a un certo punto parla d’altro e attacca una delle due parti in causa – Veronesi – con argomenti che nulla hanno a che fare con la polemica, è facile sia schierato. Perché è possibile che Veronesi abbia detto cazzate sugli inceneritori (possibile) ma è un argomento che ha a che fare con questa vicenda come il sottoscritto con la termodinamica non lineare.

In alto i cuori.

 

*Nota a margine: Donna Letizia non è un giornale. Era lo pseudonimo con cui Colette Rosselli, moglie di Indro Montanelli, teneva la rubrica di posta del cuore su Grazia e su Gente. Ma siccome era svizzera, c’è anche caso che pure questo sia un complotto del Bildeberg.

Aggiornamento Nextquotidiano ha dato una ricostruzione della vicenda che mi pare sensata. La faccio mia.

 

GRILLO E LA MAMMOGRAFIA: QUELLO CHE I GIORNALAI NON VOGLIONO FARTI SAPERE

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La stampa di regime, i pennivendoli per colpa dei quali siamo al 2474esimo posto nella classifica della libertà di stampa, dietro a Burkina Faso, San Marino e Ladispoli, hanno colpito ancora.

E quel che è più grave l’hanno fatto per spostare l’attenzione dai contenuti, che spaventano lorsignori, suddditi di Renzie che prima o poi dovranno fare i conti col volere del popolo. E verranno fatti neri.

Durante la marcia Perugia-Assisi organizzata dal MoVimento Cinque Stelle, Beppe Grillo ha pronunciato le seguenti parole: “È il sistema che non va. Veronesi, ad esempio, pubblicizza le mammografie, ripete di continuo alle donne di farle. Probabilmente Veronesi parla così per avere sovvenzioni per il suo istituto. Dicono che bisogna fare una mammografia ogni due anni e le donne la fanno perché si informano male, leggono Donna Letizia, del resto la differenza di mortalità tra chi la fa e chi non si sottopone alla mammografia ogni due anni è di due su mille. Certo è qualcosa, ma comunque pochissimo”.

Purtroppo però giornali notoriamente anti-grillini come il Fatto Quotidiano, finanziati dal Pdmenoelle attraverso un torbido giro di solarium collegati ad Andrea Scanzi, ne hanno tratto una sintesi del tutto impropria, e cioè che Grillo voleva attaccare Veronesi accusandolo di propagandare la prevenzione del cancro per proprio tornaconto personale, e che, sostanzialmente, sottoporsi a quegli esami non serve a una beneamata minchia.

Beppe, da persona mite e sincera qual è, ha allora spiegato, anche a chi non voleva sentirle, l’esatto significato delle sue parole, con un limpido comunicato: “Non penso che la mammografia non sia utile o necessaria. Anzi penso che sia utilissima. Ce l’avevo con la cattiva informazione che fa credere che facendo questo esame non venga il tumore. Credo che le donne si debbano informare perché a volte ci sono dei falsi negativi o dei falsi positivi che possono allarmare inutilmente”.

E anche qui i giornalai, che ricordiamo vivono in ville con piscina grazie ai miliardi di euro pubblici che ognuno di loro riceve personalmente ogni anno, hanno travisato, col vile pretesto che nessuno al mondo crede alla mammografia come cura per il cancro, che Grillo non sa un cazzo di medicina e dà corpo al neoluddismo di ‘sta fava che in tema di terapie ci ha regalato i Di Bella e i Vannoni, e che comunque quando racconta una cazzata è sempre colpa dell’informazione come ai tempi di Silvio.

Bene: è ora di basta.

E’ ora di informarsi su siti affidabili, non sensazionalistici, indipendenti, come Tze-Tze.

Ma soprattutto è ora di basta ai giochi torbidi dei poteri forti.

Perché, al di là del fatto che, come tutti sanno, i tumori si curano con acqua e bicarbonato – ma questo non vi viene detto per il noto complotto del Bildeberg, di Scalfarotto e della triade sindacale – questa polemica montata sul nulla ha avuto il solo effetto di oscurare in parte i cinque milioni di persone scesi ieri in piazza di fianco a Beppe e Roberto, e di togliere attenzione al quesito principale:

ma come cazzo vi salta in mente di intestarvi il percorso apolitico e apartitico della marcia Perugia-Assisi?

Ma non vi vergognate?

Nemmeno un po’?