Nano Nano e ballerine (la differenza)

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Non ho rapporti con Vittorio Zucconi. L’ho visto due volte in vita mia. Non ci siamo mai parlati al telefono, scritti. Entrai a Radio Capital a sua insaputa, chiamato da Linus. In 8 anni di trasmissione, nella quale dico cose spesso antitetiche alle sue, non mi ha mai (e dico mai) rotto i maroni su alcunché. Godo di totale libertà. Ma non lo conosco. Ciononostante, qualcuno penserà che scrivo quel che sto per scrivere per leccargli il culo: amen. Per fortuna è una cosa breve. Un giornalista che twitta un giudizio su Robin Williams (“grande, anche perché non scese in politica”) esprime un concetto magari opinabile – per me manco quello – ma legittimo. Un politico che scatena contro quel giornalista un linciaggio mediatico, additandolo come sciacallo agli insulti e alle minacce dei suoi fan, è un tizio con pericolose tendenze autoritarie. E’ una banale questione di ruoli, di abc democratico: chi fa informazione deve poter dire quel che vuole, persino cazzate, senza che il tenutario di milioni di voti ne faccia un bersaglio. Perché prima o poi qualcuno che tira uno scappellotto a un giornalista “non allineato” arriva. E sarà colpa di quel tizio, quello che spala letame su tutto ma non tollera una virgola di dissenso. In alto i cuori. Nano Nano.

L’agenzia delle entrate di favore

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(ANSA – ARNOLD’S) Matteo Renzi nella celebre esecuzione di Splish Splash alla Leopolda

In una lunga intervista al Corriere, la nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate spiega che gli evasori fiscali vanno fermati ma non rincorsi. Che è un po’ come se, durante una rapina in banca, la polizia dicesse: “Dovevamo fermarli prima, mo’ è inutile che gli andiamo dietro”.

Dev’essere un combinato disposto del Governo Renzi, il più retrivo. Quello più vecchio e democristiano, altro che #cambiaverso. Lo riassumerei così: “Non ti sono bastati gli 80 euro? Non li hai avuti perché non hai uno stipendio? Rubacchia come tutti, chettefrega. Arrangiati. E sta’ tranquillo: non vogliamo rincorrerti. Casomai ti fermiamo prima”.

Cosa fa il governo Renzi per fermarli prima? Come si batte contro i grandi evasori (“Il guaio saranno mica due scontrini? Il problema è ben altro”) che paiono il vero obiettivo del nuovo corso?

Al momento, ma posso sbagliarmi, nulla.

Mi pare di non aver mai sentito l’espressione “lotta all’evasione fiscale” tra le pur roboanti dichiarazioni di questo premier. E anche “lotta alla criminalità” non mi pare gettonatissima.

Obiezione: si fa ma non si dice, funziona di più.

Possibile.

Ma ‘sto 41 per cento di cui ti bulli, ‘sto consenso alla Erdogan del lampredotto potresti pure usarlo – opinione mia – per propagandare un minimo di legalità, e non solo per litigare con Draghi o tirare due calci agli stinchi sempre appetibili di grillini e dissidenti.

Sì, lo so, le tasse troppo alte, eccetera. E’ un ritornello che può permettersi chi le paga, o almeno ci prova. Ma Renzi (e mo’ pure la nuova direttora dell’Agenzia delle Entrate, che bolla i blitz tipo Cortina – due evasori su tre controllati, cazzo – come inutile protagonismo) non parla a loro. Parla agli altri, a chi arrotonda.

Per i quali inaugura una specie di condono verbale. Un po’ come le riforme della Giustizia che da noi si fanno sempre cercando il consenso degli imputati e mai di chi il reato lo subisce.

Che poi è vero: chi si ritrova il 60 per cento da pagare è un martire. E la burocrazia. E lo Statuto dei lavoratori troppo protettivo, per carità. I diritti dei lavoratori sono cose arcaiche, da abbattere, magari insieme al tizio che scrisse il Lodo Alfano per salvare il culo a Berlusconi.

Ma se nessuno investe da noi, oltre che per l’articolo 18, sarà mica perché siamo un Paese senza regole, che titilla ladri ed evasori, e ha una fetta di economia in mano alla mafia?

Mentre ci pensiamo, via con un’altra canzoncina scout.

Sigla.

 

 

Luca e il professore: secondo estratto

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Riassunto delle puntate precedenti: per una sfavorevole congiunzione astrale incappo in un livorosissimo articolo del professor Alberto Bagnai sulla chiusura de l’Unità. Significo al Bagnai, su Twitter, una certa qual forma di irritazione ed egli mi risponde in modo piuttosto sgangherato.

Lo scambio epistolare mi porge il destro per un breve commento in cui contesto l’eloquio del cattedratico, l’opportunità del suo scritto e poco altro. Non avanzo, per dire, l’ipotesi che un giornalista de l’Unità abbia in passato giaciuto con una fidanzata – in carica – del noto polemista.

Bagnai si tace.

bagnai bisOggi però torna sul tema, chiamandomi in causa con un altro arguto link  che festeggia a pernacchie compulsive la chiusura del giornale in cui ho avuto l’onore di formarmi.

Lungi da me duellare ancora col professor Bagnai, che da questo momento in poi, per quanto mi concerne, può proseguire in piena solitudine il suo viaggio verso Plutone.

Mi limito solo a segnalare che ‘sta fava si scrive con l’apostrofo. E, dunque, ad avanzare l’ipotesi che egli voglia uscire dall’euro così non dovrà più rispettare regole imposte dalla casta come il fiscal compact e l’ortografia corrente.

Quanto all’epiteto di “anima bella”, preferirei – ove concesso – quello, più relativo, di “anima più bella”.

Con certi avversari è davvero facilissimo.

(Aggiornamento Mi si segnala che il professor Bagnai era tornato sull’argomento in modo torrenziale dandomi tra l’altro dello gnometto e del coglione. Lo aggiungo solo per completezza d’informazione. Sarà mia – gratificante – cura non dargli risposta neppure in questo caso)

Ma voi chi? (Un cordiale saluto al professor Alberto Bagnai)

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(ANSA – BILDEBERG) Il professor Bagnai in un pacato saluto ai lavoratori de l’Unità

Che poi io sarei pure in vacanza.

Però poi leggo questo, e purtroppo non mi tengo.

Cioè: prima vado a vedere chi è l’estensore di queste cartelle scritte con eloquio da ragazzo di seconda media e non dei primi banchi (cit.) e scopro trattarsi di uno stimato professore universitario. E lì sì che mi spauro.

Capisco se a esultare per la morte del quotidiano in cui imparai il mestiere è un Bugani qualunque. Ha i mezzi che ha, povero. Non puoi davvero volergli male.

Ma ‘sto bullismo accademico? Ma ‘sta gente che si esprime come sul muro di un Autogrill davvero insegna in un’università? Gente che – seriamente – sostiene come l’Unità abbia chiuso perché:

1)    Era una manica di criminali affossatori del popolo;

2)    Non era d’accordo con lui, (mentre lui sì che scriveva cose giuste e dunque aumentava i clic)

Perché poi non m’interessa tanto quel che dice il prof in questione su Monti. Deprivato della salsa complottista, il mio giudizio su quel governo non è lontanissimo dal suo. Anzi: per me Monti a Palazzo Chigi manco doveva esserci, l’ho scritto e detto in tutti i luoghi e tutti i laghi (cit.) anche se poi – sempre sponda il Fatto – mi toccò di discutere con uno stimato collega che mi diceva “voi che avete difeso Monti…”.

Ecco, appunto: ma voi chi?

Voi che andate in onda sulla radio di Repubblica? Voi che scrivete minchiate anche sul Corriere? Voi che spacciate motteggi anche a qualche (bravo) comico. Voi che tifate Bologna? Voi che siete sovrappeso?

bagnai 1No, perché lo stesso professore prima mi ha risposto alla Minzolini (“Certo: meglio ballare sulla bara del Paese come voi, si sta più comodi”) poi si è dato perché magari aveva di meglio da fare, mentre intanto diversi suoi fan mi spiegavano che avevo pestato una merda perché lui sì che era cazzuto (cit.), partivano con qualche insulto, in generale ritwittavano la stramba teoria per cui io (sì, proprio io) portavo la responsabilità personale di aver affossato l’economia del Paese.

La cosa divertente – io sono un paria dei social, ma qualche meccanismo forse l’ho capito – è che in molti casi bastava rispondere con calma perché il “coglione!” iniziale diventasse “e dire che leggevo sempre Cuore”. Argomentavano. Dopo. Perché in rete va così: se metti dei fiori nei cannoni spesso arriva qualcuno che se li fuma.

Quindi, per tornare a bomba, dai navigatori casuali mi aspetto tutto e il suo contrario. Da uno che si presume abbia letto due libri, sappia far di conto, insegna pure, esigo (spero, va’) che sappia distinguere tra i rutti da curva e un minimo di analisi. L’Unità non ha affossato niente. L’Unità non fa parte di alcun complotto globale. L’Unità non ha distrutto questo Paese ed era un giornale povero, fatto da poca gente, che chiude perché è arrivato alla fine di una parabola molto interna al Partito Democratico.

Non piaceva? Amen.

Si può dire e scrivere senza suonare “Romagna mia” con le ascelle, senza spalmare pece e piume su chi ci lavorava, senza scambiare una legittima linea editoriale (e politica) come adesione acritica a un nuovo ordine mondiale che ambisce alla distruzione del popolo. Quelle sono cazzate (nel caso in questione, pure scritte male) che però alimentano, in rete e non solo, tutto quel ragionamento ad alzo zero che porta consenso ma intossica chi ne viene investito.

I lavoratori (lavoratori: bella parola) de l’Unità non sono carnefici, semmai sono vittime. E facevano un giornale decente nelle condizioni date. Personalmente, credo non esulterei manco per la chiusura di Libero – anche perché mi regala tanta ciccia per la mia attività satirica – ma certamente, ove trapassasse, eviterei di ornarne la tomba con una vasca di letame solo perché al 99 per cento non sono d’accordo con quello che scrive.

Al massimo, siccome sulla carta d’identità alla voce professione ho scritto “pirla” , cercherei una battuta decente. Perché quello faccio.

Secondo me c’è una parola che abbiamo perso per strada, in questi anni in cui il Berlusconi in noi (cit.) ha definitivamente preso il sopravvento: opportunità. E’ normale, legittimo, plausibile che un’intera classe intellettuale – giornalistica, accademica – chiosi qualunque notizia con una salva di peti atti a generare like, inviti in radio e tv, una qualche rubrica da confondere tra mille altri urli.

Però non è opportuno.

Questo volevo dire al professor Alberto Bagnai, che saluto caramente.

 

 

Amen (l’ennesimo sermone più che perfetto di Scalfari su Renzi)

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(ANSA – 80 EURO) Matteo Renzi mentre sta per rispondere alla tradizionale domanda: “Sai chi ti saluta un casino”

Eugenio Scalfari da la Repubblica del 27 luglio 2014

Dopo tanti nomi, dalla Bolognina di Occhetto in poi, il Partito democratico ha subìto una rilevante modifica, non ufficiale ma reale: si chiama ormai partito democratico renziano. Non mancano i contestatori ma sono pochi e discordi tra loro. Manca un gruppo dirigente di cui il leader sia l’espressione ma non il padrone. I luogotenenti sono numerosi, giovani, uomini e donne, ma nessuno di loro ha una voce propria, salvo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ma questo si sapeva e il suo ruolo tende a restringersi.

Fa bene Napolitano a dichiarare che non esiste un rischio d’autoritarismo; fa bene chi si oppone al contingentamento del dibattito; fa bene chi non vuole l’ostruzionismo. Fa bene chi vede addirittura mettere un termine di calendario alla riforma del Senato: 8 agosto, a costo di non dormire neppure la notte di domenica. Fanno tutti bene ma attenti perché con tutti questi divieti, a volte chiamati ghigliottina e altre volte tagliola senza che sia chiara la differenza tra quelle due parole, l’autoritarismo rispunta inevitabilmente. Rispunta non perché qualcuno lo voglia ma perché se ne creano le condizioni. Se parla e decide solo il capo, la democrazia dov’è? Dice Renzi: ne parliamo da tre anni di queste riforme. Ma chi ne ha parlato? E di quali riforme?

I tre governi “presidenziali” di Monti, Letta, Renzi, alcune riforme le hanno fatte e il Parlamento le ha approvate. I tempi non sono stati particolarmente lunghi; il preteso balletto tra Camera e Senato che sarebbe il male numero uno della democrazia italiana, non ha rallentato le leggi, ne abbiamo già fornito le cifre. Ma ora ne diamo un’altra di cifra, estremamente significativa: 800 leggi, approvate da entrambe le Camere durante i tre governi sopraindicati, non sono ancora entrate in vigore. Pensateci bene: 800 leggi approvate da entrambe le Camere non vengono attuate. Perché? Perché mancano i regolamenti attuativi che dovrebbero essere studiati e ufficializzati dalla burocrazia ministeriale. Ottocento leggi. E poi si parla di balletto tra le due Camere, magari, ma il balletto non è quello: riguarda la burocrazia ministeriale, in gran parte in mano al Consiglio di Stato.

Si vuole abolire il Senato per snellire il potere legislativo e farlo diventare monocamerale. Ma non è affatto questa la ragione. Se la burocrazia resta quella che è, il monocameralismo non farà diminuire i tempi nemmeno di un giorno.

Ricordo ancora la mia ultima intervista con Aldo Moro, quindici giorni prima del suo rapimento. Mi spiegò perché l’alleanza tra la Dc e il Pci di Berlinguer era inevitabile: «Bisogna modernizzare e rifondare lo Stato. È ancora quello della destra storica, poi modificato dal fascismo. Ci vorrà almeno un’intera legislatura, forse non basterà. Quando avremo adempiuto a questo compito, i due grandi partiti riprenderanno il loro posto e si alterneranno democraticamente. Ma non prima e non bastano pochi mesi per ottenere un risultato storico di questa natura».

Forse Renzi non ha mai letto quel documento. Forse, con grandi intese e tre mesi di tempo dati alla Madia pensa di farcela. Ma nel frattempo perché non prova a far attuare quelle 800 leggi paralizzate? Quanto alle tagliole e alle ghigliottine: il presidente del Senato ha il potere di abolire alcuni emendamenti chiaramente ripetitivi, ma la procedura prevista dai regolamenti è estremamente gravosa. Non varrebbe la pena di modificare e dare a Grasso (e alla Boldrini) il potere di cassare gli emendamenti volutamente ripetitivi? Probabilmente gli ottomila previsti si ridurrebbero a poche centinaia e si lavorerebbe col tempo necessario.

Ma in realtà non è per questo che Renzi vuole abolire il Senato. Vuole potenziare l’Esecutivo e ridurre al minimo il Legislativo. È vero che c’è la trovata del referendum confermativo ma è, appunto, una trovata: gli elettori dei partiti delle larghe intese voteranno in massa l’abolizione del Senato; non gliene importa nulla di quella riforma. Provate a mettere a referendum una legge che abolisca il prolungamento dell’età lavorativa o che aumenti gli 80 euro a 100 e vedrete il risultato.

Renzi vuole il monocameralismo, dove agirà come presidente del Consiglio e leader del partito. Berlusconi farà altrettanto. Così andremo avanti fino al 2018. Se almeno riformassero lo Stato, ma temo sia l’ultimo dei loro pensieri.

In Europa però le cose non vanno molto bene e l’Italia è guardata con giustificato sospetto. Insiste molto sulla flessibilità, ma intanto il Pil scende, la produzione scende, i consumi scendono, la natalità scende. Dovrebbero abbassare le tasse, ma quali e come? Hanno bisogno di soldi da investire e volete che abbassino le tasse? Semmai dovrebbero tassare un po’ di più i ricchi e alleggerire i poveri. Le rendite le hanno toccate, anche le pensioni che superano un certo tetto. Ma sono quisquilie, c’è l’evasione da stroncare. C’è molto e molto da fare. Abolire il Senato non serve a niente e all’Europa non interessa affatto.

Draghi ha detto quali sono le leggi di riforma da attuare: competitività, produttività, aumento della base occupazionale, equità sociale. Lo ripete quasi ogni giorno. Renzi non gli dispiace, anzi gli piace. Se farà quelle riforme che, tanto per dire, la Spagna ha portato avanti e infatti sta andando meglio di noi. La Spagna ha ricominciato a crescere, noi no.

Speriamo nella Madia. E nella Boschi. E nella Pinotti. E nella Mogherini. Se il pifferaio suona bene, loro faranno un buon coro, ma se il pifferaio stona, il concertone rischierà di diventare una gazzarra. Il pericolo è questo.