La guerra di Piero

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Non ho alcuna particolare simpatia per Piero Fassino. Lo ricordo ministro non particolarmente meritevole – meglio Bersani, volendo – e politologo menagramo: invitò Grillo a farsi un partito, se ci riusciva. C’è riuscito.

Fece anche alcune brutte figure davanti alle telecamere di Report (anche se temo le faremmo in molti, a dover difendere l’indifendibile).

Però oggi m’è proprio venuto da solidarizzare con lui.

Quel medio che gli è scappato davanti agli ultrà del Toro che lo contestavano solo in quanto “gobbo di merda”, e non per quello che stava dicendo in qualità di sindaco – l’onore e il rispetto per la Torino granata, la promessa di onorare Superga, e quella terribile storia, con gesti concreti – me l’ha reso sodale.

A me era capitato giusto la sera prima. Un tizio su Facebook mi aveva insultato (le solite cose: “i tuoi padroni”, “piddino”, ovviamente a “piddino” non ci ho visto più) e mi era sfuggito, in risposta, un motteggio sul fatto che poteva anche andarsene laddove lui, il suo amico Telespalla, e quell’altro che ne fa da ventriloquo, spediscono chiunque non sia d’accordo con loro.

Poi ho pure cancellato, non mi andava di usare lo stesso linguaggio. Allora lui l’ha ripostato, offeso, o irridente. Non ho capito bene. E io l’ho lasciato lì. Perché mi pare la plastica dimostrazione di un Paese in cui l’insulto gratuito è ormai la norma di ogni dialettica (di più sui social, ma è il messaggio che è il mezzo, non viceversa) secondo una curiosa regola d’ingaggio per cui c’è chi le deve sempre prendere e chi deve darle sempre.

Ha fatto male Fassino. Ho fatto male io. Un ruolo pubblico anche minimo ti obbliga ad accettare anche le critiche più grevi. Si chiamano social. Sennò te ne stai a casetta. E nessuno ti obbliga a fare il sindaco, se sogni l’unanimità. O a scrivere i tuoi pensieri su Fb.

Però ho capito una cosa: il potere degli ultrà (politici, sportivi, di qualunque campo) si basa su un equilibrio fragilissimo, e cioè sul fatto che qualcuno continui a mantenere due regole di convivenza civile nonostante gli piova melma addosso da ogni dove, spesso senza memoria e senza alcuna ragione specifica.

Quella stessa melma che fa comodo a chi lucra il proprio piccolo potere (appunto: politico, sportivo, in qualunque campo) sulla prevaricazione zozza del “tutti uguali”.

Il giorno in cui la Boldrini, a prescindere da ogni possibile demerito, risponderà “coglione ignorante” a Bonanno che le dà della stronza, temo purtroppo che farò la ola. Anche se io, nel mio piccolo, prometto di non rispondere più.

E comunque “tutti uguali” il cazzo.